Capitolo Due - Non sono una puttana

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Prese un profondo respiro, sistemandosi al meglio il beanie.
«Sammy, io esco un attimo. Chiudi la porta, e non fare entrare nessuno. Tra un'oretta sarò qui, e poi ti aiuto a fare i compiti, giuro.» Disse, lasciandole un bacio sulla guancia.
Sammy, impegnata a guardare un cartone animato trasmesso in tv, annuì flebilmente, la sua attenzione concentrata sulle animazioni.
Prese le chiavi, chiudendosi la porta alle spalle, prima di fermarla a chiave.
Sua madre non era neanche in casa.
Se c'era una cosa che Charlie odiava, quella era sporcarsi le mani.
Se avesse avuto più tempo, avrebbe cercato un lavoro decente, ma... A mali estremi, estremi rimedi.
Shane alla fine c'era riuscito davvero, a metterlo in contatto con Noah - quel ragazzo e le sue conoscenze! - comunicandogli che avrebbe dovuto incontrare quel tale Noah quel pomeriggio stesso.
Era uscito un po' prima da scuola, in modo da poter cucinare con calma. Era andato a prendere sua sorella, avevano pranzato e dopo aver sistemato un po' casa - aveva fatto il bucato, adesso doveva solo sperare che non si rimpicciolisse tutto - si era preparato per uscire.
L'appuntamento era stato fissato per le tre e mezzo di quel pomeriggio, e Charlie non voleva farsi aspettare.
Sistemò la fascia dello zaino, che gli stava scivolando dalla spalla, prendendo un profondo respiro.
Ce la puoi fare, Charlie.
Mise piede nella piazzetta desolata, dirigendosi verso il casolare adibito a garage, che fino a quella mattina aveva creduto abbandonato.
L'ansia alle stelle, prese un grosso respiro, poi bussò sulla piccola porta.
Un ragazzo con una bandana piegata a fascia legata alla fronte aprì la porta, guardandolo male.
O forse quello era il suo sguardo e Charlie si stava facendo troppe pippe mentali, ma dettagli.
«Ciao, dovrei incontr-»
Il ragazzo lo interruppe.
«Entra.» Disse, facendosi di lato per farlo passare.
Entrò dentro il garage, accorgendosi che in realtà era più grande di quanto sembrasse da fuori.
Il ragazzo gli fece un cenno del capo verso la saracinesca, che alzata, permetteva alla luce di pervadere la stanza.
Davanti a questa c'era un ragazzo, i capelli castani sistemati in un taglio corto, ma che mettevano in evidenza gli occhi verdi, grazie anche al suo colorito pallido. Probabilmente s'imbambolò a guardarlo, ma non fu colpa sua.
Aveva gli occhi più freddi che Charlie avesse mai visto in vita sua, eppure allo stesso tempo esprimevano una mascolinità non indifferente.
Non lo conosceva, ma l'istinto gli urlò di mettersi in difensiva. Quel ragazzo era un bastardo: questa fu la prima cosa che gli si stampò a caratteri cubitali dietro le palpebre. Sperava di sbagliarsi.
Eppure, ebbe uno strano formicolio alla pelle, lo stesso che si prova quando si ha l'impressione di aver già incontrato una persona.
Tuttavia, c'era un motivo se si trovava lì. E aveva intenzione di arrivare fino in fondo, costi quel che costi.
Si avvicinò a Noah, ma non ebbe bisogno di fare alcun rumore, visto che il castano girò velocemente il capo verso la sua direzione.
E che Charlie non si sentì più le gambe, nel momento stesso in cui i loro sguardi s'incrociarono, beh, quello non era dato saperlo a nessuno.
«Ciao.» Disse, cercando di apparire sicuro di sé.
Noah annuì, a mo' di saluto, studiandolo con gli occhi, poi li spostò alle sue spalle per un breve attimo, prima di concentrarsi nuovamente sulla moto, che Charlie presunse fosse sua.
Sentì una porta chiudersi alle proprie spalle, ma non si girò.
E non era né il momento, né il luogo giusto, ma si chiese come facesse a non sentire freddo con solo quella canotta addosso.
«Mi hanno detto che ti serve un favore.» Parlò allora il più grande, dopo un tempo che a Charlie sembrò infinito.
Ebbe i brividi.
«Sì.»
Smise di passare il panno sulla Harley - se non si sbagliava (il che succedeva di rado) si trattava di una 883 - raggiungendolo e superandolo.
Detto a parole semplici, non lo stava cagando di striscio.
«Che tipo di favore?» Chiese, afferrando il telefono appoggiato su di un tavolo affiancato alla parete, per poi metterlo in tasca.
«12 grammi di erba.» Disse, diretto e conciso.
Noah sbuffò fuori una risata, accennando un sorriso dal retrogusto di presa per il culo.
«È un bel po' di roba, ragazzino.»
Charlie non parlò, limitandosi a stringere la mandibola. Cosa avrebbe dovuto dire, dopotutto?
«E come hai intenzione di ripagarmi?» Disse il ragazzo, appoggiandosi alla superficie legnosa.
«Non ho soldi. Però ho questa.» Disse, avvicinandosi al tavolo e appoggiandoci sopra lo zaino.
Sperò con tutto il cuore che l'altro non notasse quanto le sue mani stessero tremando, mentre apriva la borsa e ne estraeva la macchina fotografica.
Era la cosa più preziosa che aveva al mondo, non solo a livello materiale. Ma non aveva davvero altro da offrire, e a malincuore, si era ritrovato a doverla usare come oggetto di baratto.
Noah iniziò a ridere.
«Cosa dovrei farmene, di questa?» Disse, il collo girato nella sua direzione, in modo da poterlo guardare.
E Dio, se riusciva a metterlo in soggezione.
«È una macchina professionale, vale qualcosa come cinquecento dollari, quindi praticamente ci guadagni.» Disse, scocciato.
Noah si appoggiò sui gomiti, fissandolo dal basso. Prese ad annuire ripetutamente, sembrando sinceramente divertito.
«Io ti ho detto "ripagare", non "pagare". Dei soldi non me ne faccio nulla.»
Charlie lo guardò, confuso. La situazione stava degenerando, se ne rendeva perfettamente conto. Ma non poteva più tirarsi indietro.
«Quindi, cosa vuoi in cambio?» Chiese, allargando le braccia.
«Qualcosa di esclusivo.» Disse, dopo aver finto di pensarci su.
Perché sì, Charlie sapeva si trattasse di finzione, lo sapeva e basta.
«Non ho niente di esclusivo.»
Noah raddrizzò la schiena, iniziando a fissarlo per l'ennesima volta.
E per l'ennesima volta, Charlie ebbe la pelle d'oca.
«In realtà, una mezza idea ce l'avrei.» Se ne uscì il più grande, iniziando a ghignare.
Charlie ebbe quasi paura di chiedere cosa fosse, ma lo fece comunque, uscendosene con un: "E cioè?"
«Il tuo corpo.» 
Il silenzio calò opprimente nella stanza. Il suo cuore dovette perdere un paio di battiti, perché a Charlie sembrò di non sentirlo più nel petto.
Magari se n'era andato, rifiutandosi di ricevere batoste su batoste.
Doveva aver capito male. Per forza.
«Come?»
«Hai capito bene.»
Charlie alzò le sopracciglia, scuotendo leggermente la testa.
«Ma io- non sono gay.»
Okay, magari qualche volta un'occhiata di troppo a qualcuno o un preciso pensiero, in un preciso momento c'era stato. Ma pensava fosse normale.
Ma non si riteneva gay. Non lui.
«E neanche una puttana.» Si affrettò ad aggiungere, dopo qualche secondo.
«Appunto. Che piacere ci sarebbe stato, altrimenti?»
Charlie si domandò se quello era tutto scemo, o ci faceva. Aveva per caso picchiato la testa, da piccolo?
«L'offerta è questa. Prendere o lasciare.» Se ne uscì il ragazzo, con un'alzata di spalle, prima di incrociare le braccia al petto.
Charlie passò a rassegna ogni altra possibile alternativa.
Avrebbe potuto chiedere a qualcun altro, ma probabilmente, anche se l'avesse trovato, non sarebbe riuscito a procurargliene così tanta.
Non aveva altra scelta, perciò, specialmente in così poco tempo.
Quindi era fottuto. Nel vero senso della parola.
Abbassò lo sguardo, cercando di reprimere l'orgoglio - arrivare a fare la puttana per ripulire i casini altrui? Quale madre avrebbe desiderato questo per i propri figli?
«Okay.» Si sforzò di pronunciare.
Noah sorrise, compiaciuto.
«Seguimi.» Disse allora, iniziando a dirigersi verso la porta d'entrata.
Charlie impallidì.
Così, subito?
Noah dovette accorgersene, perché si fermò.
«La vuoi la roba o no?»
Rilasciò il fiato, che aveva inconsapevolmente trattenuto, andandogli dietro.
Charlie non si era accorto dell'altra porta, visto che questa era coperta interamente da una tenda. Entrarono dentro, Noah accese la luce, poi aprì l'anta dell'armadio, nonché unico mobile presente nella stanza.
Doveva essere lì che teneva la sua roba.
Charlie aggrottò la fronte.
E lo faceva vedere così, a tutti?
Le cose erano due: o quel ragazzo si fidava ciecamente di tutti - cosa abbastanza improbabile, pensava Charlie - oppure era abbastanza spavaldo da sapere che nessuno avrebbe osato rubare a lui.
Aprì un sacco, contenente a sua volta una marea di bustine.
Noah ne afferrò dodici, poi riposò tutto il resto.
«Ognuna ne ha un grammo.» Gli comunicò, dopo essersi alzato.
Charlie si limitò ad annuire.
«Apri lo zaino.» Disse, infilandole direttamente lì.
Ritornarono nel garage.
«Quindi...» Iniziò a dire Charlie, mordendosi il labbro inferiore con forza.
Noah si accese una sigaretta.
«Puoi andare. Mi faccio sentire io.» Disse, sedendosi sulla sedia vicina al tavolo e appoggiando i piedi su quest'ultimo.
Charlie sgranò gli occhi.
Pensava volesse essere ripagato subito.
Beh, non che gli dispiacesse. Almeno avrebbe avuto il tempo di prepararsi mentalmente, per quanto possibile.
«Allora vado.»
«Ciao, ragazzino.» Lo salutò, senza degnarlo di uno sguardo.
Charlie si diresse alla porta, girando la maniglia, ma si fermò.
«Mi chiamo Charlie, comunque.» Disse, e solo allora abbandonò il posto.

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