Sarah Flex è stata una bambina

669 69 140
                                    


"Allora, piccoletto, cosa devo fare?"

Ero ai giardinetti pubblici della mia città, un luogo che non frequentavo da quando avevo sei anni. Henry si era accomodato sotto lo scivolo mentre io avevo continuato a girarci intorno, sfiorando le vecchie scritte sul legno ormai marcio. I giovani erano alquanto volgari. Sorrisi, pensando che ormai potevo affermarlo, insomma non facevo più parte della gioventù visto che ero morta. 

"Siediti, mi metti ansia" borbottò lui, fissandomi con quei suoi occhi grandi e neri.

Alzai lo sguardo al cielo, qualcuno mi avrebbe dovuto informare che da morta avrei fatto da babysitter a un moccioso sconosciuto di dieci anni. La peggiore età, a quanto si diceva in giro... Che fine avevano fatto i problematici sedicenni? Scrollai le spalle e mi accomodai davanti a lui, incrociando le gambe e aspettando pazientemente.

"Woo!" esclamai di scatto, spostandomi un po' indietro.

In mezzo a noi era comparsa una scacchiera di legno bruciacchiato, simile a quella che usavo io per giocare con mio nonno.
Sfiorai i bordi rovinati finché i miei polpastrelli non riconobbero quelle sei parole, scritte con una scrittura infantile.

"Nessuna regola, nessuna aspettativa, nessun rimpianto" lessi incredula.

"Deve averlo scritto una persona davvero disperata. Insomma come si fa a vivere senza queste cose?"

Già, come si fa a vivere senza queste cose? La verità è che quella scrittura era la mia, mi ricordavo perfettamente il giorno in cui avevo inciso quelle parole sul bordo del mio letto, nascoste dal sottile lenzuolo.
Continuai a guardare la scacchiera, spostando lo sguardo dal campo alle pedine: erano trasparenti e mi parve quasi di scorgervi dentro dei volti. Chiusi gli occhi e li riaprii. Non c'era niente, solo una sensazione di vuoto.

"Il gioco è semplice: ogni tua mossa ti permette di rivivere specifici momenti della tua vita. Se distruggo i tuoi pezzi, perderai la memoria di quel giorno finché uno dei due non fa scacco matto. Semplice, no?"

"Cosa succede quando uno di noi vince?"

Henry esitò, strinse i pugni e mi guardò dritto negli occhi.

"Non lo so."

Aggrottai la fronte, non avevo intenzione di perdere gli attimi della mia vita, avevo vissuto ogni singolo momento come se fosse l' ultimo.
Non poteva certo chiedermi di cancellare una parte di me.

"Però so che ogni volta che rivedi un momento, hai la possibilità di modificare qualcosa della tua vita. Non vuoi lasciare ai tuoi cari un bel ricordo di te?"

"Per essere un piccolo nanerottolo, giochi sporco."

"Non ho tutta la vita davanti per aspettare una tua decisione, Sarah."

"No? A me sembra che tu non abbia nient'altro da fare nella tua vita! O forse dovrei dire non-vita?" sbottai.

La mia ultima frase provocò un leggero tremolio del suo labbro; odiavo quando i bambini si mettevano a piangere, perché non sapevo come calmarli. Però Henry non lo fece, ritornò a essere serio come un quarantenne. Lanciai un'occhiata alla scacchiera, non avevo niente da perdere, quindi tanto valeva provarci.

"D'accordo, hai vinto, piccoletto"  mormorai, concentrandomi sulla partita.

Mossi di due caselle avanti il pedone che copriva il mio re. Il passo più banale, ma non mi ricordavo più come si giocasse a scacchi e non avevo intenzione di perdere la testa per una mossa.

Nessuna regola.

Davanti a me non c'era più Henry, però mi trovavo ancora sotto lo scivolo.

"Sarah, dove sei? Dove ti sei nascosta?" sentii una voce profonda chiamarmi.

La riconobbi immediatamente, balzai in piedi e mi diressi verso la fonte di quelle parole. Nello stesso attimo, una bambina mi superò, correndo in braccio a un anziano.

"Nonno, non trovo Peter".

Nonno.
Quella era l'ultima volta che lo vidi, mi aveva portata al parco e poi a prendere il gelato. Fu anche l'ultima volta che mi recai in quel luogo. Li raggiunsi, guardando il volto pieno di rughe di mio nonno: era esattamente come me lo ricordavo
.

"Peter, il tuo coniglietto?"

"Sì" rispose la bambina, arricciando il labbro.

Anche da piccola ero esigente e testarda. Sorrisi, ripensando a quel momento. A dire il vero non mi rammentavo quel giorno, come se avessi dimenticato quella me.

"Non può essere andato lontano. Peter, dove sei? Dai Sarah, cerchiamo questo birbone che ha deciso di giocare a nascondino".

Peter, per la cronaca, era un peluche.
La bambina annuì e iniziò a chiamare il coniglietto, stringendo la mano del nonno. Li osservai, non avevo mai detto quanto gli volessi bene. Sentii le lacrime pungermi gli occhi. 
La bambina si fermò.

"Nonno, ti voglio tanto bene."

Io non lo avevo detto, ne ero certa.
Non ho mai detto a nessuno di volergli bene. Lui si fermò e le rivolse un sorriso pieno di bontà, poi si inginocchiò per essere alla sua altezza
.

"Anche io ti voglio bene, mio piccolo cigno" concluse, stringendola in un abbraccio.

Chiusi gli occhi per ricacciare indietro le lacrime, ma, quando li aprii, mio nonno non c'era più e io ero seduta davanti a Henry.

"La tua prossima mossa" borbottò lui come se non fosse successo niente.

"Ho visto mio nonno e me, da bambina".

"Wow che cosa emozionante! Anche Sarah Flex è stata una bambina, chi l'avrebbe mai detto! E dimmi, già da bambina eri una piromane provetta?"

"Quello è stato un incidente e..." mi interruppi, guardando Henry.

"Come fai a saperlo?" chiesi.

Quando avevo tredici anni mi ero messa in testa di imparare a governare il fuoco, peccato che alla fine avevo lasciato cadere la fiaccola per terra incendiando metà maneggio. Non ero mai stata scoperta e avevo deciso di portarmi questo segreto fino alla mia morte.

"La tua prossima mossa" rispose.

Mi morsi il labbro, non avevo altra scelta. Il Teorema della Vita era diventato un azzardo, avevo bisogno di rivederli tutti per un'ultima volta.


Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
LIFE THEOREMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora