Capitolo 11

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Le mie gambe avanzano velocemente, più della testa.
È il primo momento in cui sono sola dopo la festa e ancora non riesco a realizzare cosa sia accaduto. Non posso essere stata così stupida, non posso immaginare cosa sarebbe successo se il mio stomaco non avesse deciso di fare le capriole proprio in quel momento.
Cammino in fretta salutando in maniera robotica qualche persona che mi saluta di tanto in tanto. Poi fisso lo sguardo a terra, sulle converse bianche di Giorgia.
Io non sono così.
Non sono una di quelle ragazze che tradirebbero il fidanzato, non potrei mai fare questo a Michael, il mio Michael. Il cuore inizia a battere al solo pensiero delle mani di Matteo strette sul mio vestito, ma subito caccio via quell'idea che si trasforma in rabbia.
Matteo non potrà mai eguagliare in nessun modo quello che lega me e Michael come io non potrò mai raggiungere quello che hanno lui e Lucrezia. Questo ultimo pensiero mi provoca una fitta di malinconia, di sconfitta, perché non sarò mai all'altezza, anche se non dovrebbe interessarmi.
Che lo abbiano voluto o meno, loro hanno un bambino, hanno una persona in carne ed ossa di cui entrambi sono i genitori. Saranno legati pur non volendolo e qualsiasi altra persona verrà sempre dopo tale legame.
Mi fermo quando capisco di essere arrivata al parco.
Ho quindici minuti per restare a sentire ciò che ha da dirmi Matteo, poi attraverserò l'incrocio più avanti e Michael sara lì ad aspettarmi. Non ho dovuto scegliere, d'altronde ci sarei passata comunque.
Appena mi giro lo sorprendo a fissarmi da quella panchina ormai piena di scritte nere. Ha lo sguardo penetrante e quella semplice maglietta blu sembra fatta a posta per mettere in risalto i suoi tatuaggi. Mi avvicino velocemente, in modo che non abbia troppo tempo per scrutare il mio abbigliamento per nulla curato e la mia camminata poco femminile. Quando arrivo davanti a lui però, mi accorgo che non è solo. Il sorriso di un biondino mi colpisce dal basso e il piccolo Davide mi tira teneramente la giacca di raso bianca.
Ricambio il sorriso e senza pensarci mi abbasso alla sua altezza per guardarlo meglio.
- Ciao Davide, io sono Serena. - Mi presento ufficialmente. Quegli occhietti mi scrutano attentamente ma ha l'aria rilassata e credo di piacergli. Con la sua manina indica qualcosa sulla mia testa.
- Vuoi questa?- Chiedo io prendendo la molletta a forma di farfalla tra i miei ricci.
Lui subito la afferra e dopo qualche verso che probabilmente sarà la traduzione di "grazie", si siede a giocarci insieme ad un trenino.
- Non pensavo saresti venuta.- Dice Matteo riportandomi nel mondo dei grandi.
- Nemmeno io, a dire il vero.- Rispondo seria.
- Puoi smetterla di fare la dura per cinque minuti? - Mi chiede lui con una serietà che non gli si addice.
Non gli rispondo, ma mi siedo sulla panchina a gambe incrociate fissando gli alberi intorno a me. C'è una gran confusione al parco, le risate di bambini sulle giostre si fondono col cinguettio degli uccelli e la loro spensieratezza mi rilassa. Dopo qualche secondo di silenzio Matteo alza lo sguardo.
- Un dragone che sputa fiamme.- Dice pensieroso.
Convinta di non aver sentito bene mi giro verso di lui e subito capisco.
- No, è palesemente una nave dei pirati.- Dico io nascondendo un sorriso.
Il gioco delle nuvole era il mio preferito, passavamo giornate intere con il naso all'insù facendo lavorare la fantasia.
- Ok, ma quella decisamente è fungo. - Continua indicandone un'altra.
- Scherzi vero? Non potrebbe essere altro che un elefante!-
- Un ombrello?- Mi fa indicando la terza.
- Un cigno vuoi dire! - Perdendomi in una risata.
- Lo vedi? Non l'hai ancora persa la polvere di fata. - Si interrompe Matteo.
Non mi capacito di come possa ricordarselo. Spesso raccontavo della mia tesi per cui man mano che cresciamo l'immaginazione, che all'epoca chiamavo polvere di fata, si affievolirebbe. Avevo così paura di perdere la mia fantasia che ogni giorno la allenavo con questo gioco e se per caso non fossi riuscita a trovare la somiglianza con una nuvola, avrebbe voluto dire che stavo crescendo.
- Mai! - Rispondo io.
Matteo si china davanti a me e resta con le ginocchia piegate di fronte alla panchina per potermi guardare meglio.
- Ok, prima di spiegarti ogni cosa devo riconquistare la tua fiducia, giusto?- Fa Matteo avvicinandosi parecchio e io mi raggomitolo sulla panchina.
-Chiedimi tutto quello che vuoi, qualunque cosa seppure scomoda ed io risponderò sinceramente ad ogni cosa. - Continua e da questa distanza riesco a sentire il suo profumo, è quello di casa sua, non è cambiato.
Mi sta intrigando e poiché avrei mille cose da chiedergli non esito. Cerco il suo sguardo impertinente color nocciola.
- Cosa hai fatto quando Lucrezia te l'ha detto? Come hai reagito alla notizia di essere padre?-
Non sembra scandalizzato dalla mia domanda, probabilmente la immaginava.
Appoggia una mano sullo schienale della panchina ma sposta lo sguardo in un altro punto.
- Ero spaventato, ero piccolo e avrei voluto sbattermi la testa al muro.-
Scoppio in una risata naturale e poi mi tappo la bocca con la mano in segno di rispetto.
- Che ti ridi?!- Mi domanda con un mezzo sorriso -
- Scusami!- Faccio. - Avrei reagito allo stesso modo, chiunque a vent'anni si sarebbe spaventato. - Rivelo seria.
Il cellulare vibra ma essendo un messaggio decido di ignorarlo.
- Già, ma oltre alla paura di non essere in grado io, c'era la paura che non fosse in grado Lucrezia. -
A queste parole cerco il suo sguardo che si è fermato sulla mia catenina d'argento, un regalo di Michael.
- Cosa intendi?- Domando con un'infinita sete di sapere.
Lucrezia era mia amica, ed è sempre stata una ragazza molto responsabile, quasi mi da fastidio che possa pensare questo di lei.
In un secondo rabbrividisco alla vista di ciò che sento. Una voce piccola e agitata urla e sembra chiamare Matteo. Il piccolo Davide è fermo a tre metri da terra in un uno dei tubi di plastica colorati e semitrasparenti in cui i bambini più grandi di solito giocano.
-Cazzo!- Esclama Matteo correndo verso di lui.
Io spaventata come non mai mi precipito dietro lui.
- Non trova l'uscita!- Faccio io agitata e guardandomi intorno per cercare qualche bambino che lo tiri fuori ma sono tutti troppo piccoli.
Davide piange, è spaventato, e non mi capacito di come sia arrivato lassù.
Altri genitori assistono alla scena di Matteo che si arrampica ma è troppo grande per andare a recuperarlo e impreca contro il tubo.
- Cazzo! - Sferrando un pugno. -Davide tranquillo! Cammina avanti! Avanti piccolo!- Prova a fargli capire, ma è troppo piccolo per farlo e l'unica reazione è un fiume di lacrime ed urla.
-Faccia andare la signorina! - Esclama un signore anziano con la barba folta indicando me con il suo bastone.
Matteo mi guarda dalla testa ai piedi e io sento l'agitazione farsi largo dentro di me.
-Io..?-

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