Parte 6 Parresìa

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Le sedute continuarono e il Signor K notò che quello che aveva previsto si stava avverando.

Non mi riportò esattamente le sue paure in questi termini ma era fortemente combattutto: si chiedeva se la sua mente lo stesse preservando come al solito dai pericoli e dalle delusioni della vita o stesse analizzando la realtà nella maniera corretta e oggettiva. Il suo istinto, ad ogni modo, era sempre quello di scappare, star solo.

Come sospettava la collega, sconosciuta e misteriosa, con i tacchi alti ed i vestiti lunghi, era calabrese, per la precisione della provincia di Cosenza. Questo non lo seppe direttamente da lei, ma glielo confidò il suo collega con cui aveva parlato lei, attaccando per prima bottone! Questo onore raggelò il sangue del povero Signor K, dato che ogni volta era lui che la doveva andare a cercarla, e sì, era un po' geloso, ma nello stesso tempo contento per il suo collega. 

K cercava sempre di correggere i suoi sentimenti negativi, alle volte si correggeva talmente tanto che possiamo dire si castrasse. Irretiva la sua persona, avendo paura di se stesso. Ovviamente se lui non era chiaro con se stesso, non poteva pretendere dagli altri che questi gli risolvessero i suoi timori.

Il giorno prima ci aveva parlato, all'uscita, con lei, chiedendole di dove fosse, ma sembrava che avesse paura del Signor K o fosse scocciata. Gli rispose semplicemente che era italiana, ma che avesse vissuto in Irlanda, lavorando come assistente di un solicitor. K non sapeva chi fosse un solicitor e glielo chiese, mentre non gli disse che anche lui aveva avuto un'esperienza in Irlanda. Puro masochismo, ingenuità, mancanza di strategia, coraggio di mostrarsi così come si era, senza paure, sensi di colpa o vergogne o per dare meno aspettative possibili? K non lo sapeva.

Ad un certo momento le squillò il cellulare e fece quel sorriso finto di dispiacere, mostrando la mano aperta alzata, scusandosi, ma pur non volendo, sembrava dicesse, cause e impegni di forza maggiore mi stanno chiamando.

Il Signor K capì immediatamente e disse che non l'avrebbe disturbata oltre, salutandola, preoccupandosi se le avesse potuto arrecare anche il minimo disturbo, rimanendo un solo secondo oltre di quando il desiderio le si era manifestato alla mente.

Il giorno seguente lei non lo salutò per prima quando si incrociarono e K non ci riuscì dall'emozione che gli impedì qualsiasi emissione vocale, fermandosi in gola, ma la seconda, quando s'incontrarono nel palazzo dove lavoravano, al secondo piano, lui la salutò e lei rispose.  Andandosene gli sembrò per giunta che lei esprimesse come un pensiero a voce alta per attirare la sua attenzione, ma poi a K sembrò improbabile, perché non ne avrebbe avuto bisogno di attirare ancor di più la sua attenzione e così rimuginò che probabilmente fosse stata sempre la sua mente a fargli supporre che lei avesse cercato una civetteria con lui; si rimproverò allora: perché questa mente gli faceva vedere sempre la realtà distorta, o esaltata o negativa, come se tutto il mondo lo disprezzasse e fosse superiore a lui e che le donne lo evitassero come la cosa più schifosa mai vista o prendendolo in giro o anche se fossero veramente interessate a lui, solamente per testare quanto lui fosse tenace! Così la sua mente lo vide come fosse un astro incandescente il quale sempre doveva rimanere da solo per non bruciare chi avesse intorno.

Lui comunque seguì la ragazza con lo sguardo infilarsi in una stanza. Aspettò una decina di minuti e si affacciò allo stipite della porta senza osare entrare, dicendole: 

- Hai una certa attitudine alla mobilità, naturale!

Stette per proseguire, ma lei non rispondeva, rimanendo girata... K stava morendo: perchè mai non doveva rispondere!? Forse sarà stata ad alzare gli occhi al cielo dannando quell'ennesimo creepy che la importunava?

K non ascoltò la sua mente stavolta e continuò: 

- Ti ritrovo... in ogni dove!

Nello stesso istante lei si girò. Stava ascoltando la musica con gli auricolari. K però a quel punto non ripeté cosa avesse detto prima, avrebbe balbettato altrimenti; l'emozione già lo stava divorando con la paura di starla importunando, continuò semplicemente: 

- Ti ritrovo sempre in una stanza diversa!

E lei:

- Sì volevo star sola per...

E lui, anticipandola, oramai schiavo di un senso di colpa che stava avendo ragione: 

- Ok. Avevi voglia di rivedere dei dati! 

E lei, sicuramente contrariata di essere stata interrotta, come lo sarebbe chiunque, quando qualcuno ci anticipa, dando l'impressione di non essere interessato: 

- No. Volevo stare sola per pensare.

Il Signor K non aspettò più oltre e mentre le lanciava l'ennesimo sorriso ebete, girandosi di lato mentre se ne stava andando disse solo: 

- Approvo!! Sì anch'io voglio stare... - non gli disse "sempre" - ...qualche volta da solo per pensare!

Ad ogni modo aveva quasi capito che tutti stessero consapevolmente giocando: lei, il suo collega M e il Signor K. e K ODIA GIOCARE GIOCANDO. Il gioco è una cosa seria, si ripeteva

Il Signor K continuava ad avere l'impressione che le ragazze lo giudicassero oltremodo ridicolo, sciocco, tuttto fumo e niente arrosto (sic) e quindi anche vanesio, sbruffone, in realtà ignorante, superficiale, con una vita materiale che rifletteva esattamente quello che era: un funzionario di basso livello della cosa pubblica, senza prospettive, intrappolato in una vita mediocre quale per sicumera credeva di non appartenere e anzi meritare di più.

Il giorno seguente ancora è il suo collega che per la seconda volta fu approcciato da lei, iniziando a dialogare su cosa stessero facendo, quali mansioni lui, quali lei, ecc.

A parere del Signor K c'era la possibilità che lei, vedendo che K e il Signor M, fossero amici e immaginando che parlassero tra loro di lei,  volesse più di loro continuare a questo gioco del corteggiamento, della civetteria, del cinguettio, ma poi una terza collega, la Signora G, disse ai due che la ragazza, quando vedeva M, diveniva rossa e questo fece pensare a K di abbandonare ogni velleità e guardare in faccia la realtà: l'ennesima ragazza non lo aveva trovato abbastanza interessante e acuto, addirittura uno sciocco, con poco da vantarsi e quel poco lo faceva per coprire il suo vuoto esistenziale.

Il Signor M esasperato e anche infastidito da questo continuare a tirare i remi in barca del Signor K lasciandosi andare alla deriva della malinconia, gli disse per tiragli su il morale: 

- Io sono M, sono divenuto assistente del direttore è normale che la collega mi cerchi. 

E a sua volta K: 

- Io sono K, il cane. 

M. rimase stupito e chiese, perché si desse del cane. E K rispose: 

- Mi dico cane perché faccio le feste a chi mi dà qualcosa, abbaio contro chi non mi dà niente e mordo i ribaldi. Ho provato ad essere diverso, forse lo sono stato, ma ora la mia natura corrotta, perché corruttibile, non può più tornare a quella che era un tempo.

K quella sera se ne andò ancor più sconsolato e con l'ennesima sconfitta portata come colpa, sulle spalle.


Le storie del Signor KDove le storie prendono vita. Scoprilo ora