Parte 20 Come lupi nella tormenta

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Gli animali selvatici, proprio per la loro sfuggevolezza e istinto, le loro caratteristiche di essere rari, sono preziosi, come qualcosa che abbiamo perso, che siamo e non siamo più.

A riparo dal vento, ramoscelli lungo le pareti e foglie per graticcio, gira su se stesso e si accovaccia, questo è il lupo in cerca del branco.

Orecchie basse nella foresta ch'è percorsa fino al deserto, dalla tundra dei ghiacci risale alle guglie aguzze delle montagne senza riparo nelle vette, il lupo è da sempre capace di sopravvivere e procreare ovunque altri non ne trovano traccia, così per la sua cucciolata trova uno spazio accogliente, una grotta, quando vuole. 

Quello che al Signor K fermava il gesto del suicidio, era un altro pensiero. Il pensiero di chi ama la solitudine. Il pensiero di chi ama stare lontani. Il pensiero di soffrire.

Perché un lupo che soffre diventa feroce.

Suicidarsi per K sarebbe stata la perdita della curiosità più grande, quella della vita; il risvolto è l'uomo che, come il lupo, riesce ad adattarsi a tutto, riesce ad abituarsi.

Spesso chi pensa non è sicuro di pensare, ondeggia fra l'accorgersi e l'affascinarsi, gli sfugge di mano, tra le dita, il suo saluto, le sue parole fatte di niente sono lasciate senza afferrare un senso del pensiero, la paura lo fa tremare.

Sulla carta confitto come Cristo in croce senza etichette è il suo andare e venire, cercando una sua religione di cui possa essere testimone, s'investe del suo canto.

Invece chi soffre sì, chi soffre è ahimè sicuro sempre, sicuro di stare soffrendo. 

E vorrebbe ridere in faccia a chi ha da pensare se ama o non ama veramente e non sa cosa provare e che la sua è un'anima e una posizione difficile, ecc con altre frecce all'arco del suo tormentare. Quello che abbiamo perso dei lupi in noi stessi, lo abbiamo traslato nei rapporti. 

Sono rapporti selvaggi ma incompleti. Quello che ci manca è il coraggio di avere fame.

I rapporti sono una continua tentazione di provare a se stessi di star ancora galleggiando, lì è l'esatto momento in cui abbiamo perso la nostra anima, non è sicuro che ci sconfiggiamo ascoltando l'istinto, senza ragionare, ma è sicuro che stiamo sconfiggendo una parte di noi stessi ragionando, una parte di vita che non potrà più essere, quando per lo sconforto ci saremo lasciati andare alla deriva, verso la riva più vicina e sicura. 

La solitudine è come un mare che non bagna nessuna riva, ma da esse è contenuto. 

La solitudine è come un onda nel mare immenso, aspetta sola e per lei soltanto un vento che la alzi, più forte, più alta di tutte e la faccia ritornare contenta tra le altre, dopo aver toccato il cielo. L'onda non vuole una libertà assoluta. L'onda va e ritorna. Per questo le piace danzare, perché mima un passo che nella vita non ha la forza di dimenticare. La nascita.

Si può così essere parti del tutto solo guardando il resto da fuori. Senza toccare il sole.

Abbiamo bisogno della solitudine per capire l'essere umano, fino poi ad accettarne di scoprire che quello che c'è da capire non è da capire. Non ne abbiamo la forza. Non ne abbiamo il contenuto.

Una cosa però è divenuta certa al Signor K, potevano togliergli tutto, ma non la sua coscienza. 

Accetta di soffrire ed essere cosciente, ma non potrebbe accettare di non soffrire e coscienti, una volta nella vita, purtroppo, lo saremo tutti.

Meglio allora vivere nell'eternità del dolore che cadere di schianto come da un sonno immaginario.

La notte finalmente era finita. Riagganciando la cornetta lo vidi più contento. Era cosciente.


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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 02, 2018 ⏰

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