Parte 19 Dimmelo!

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Il Signor K capendo che non era più un mondo per lui decise di farla finita.

Ad una serata di tango argentino, tornato appena da Berlino, conobbe una ragazza. Il viaggio fu propiziatore. Non aveva nessuna intenzione di far nulla quella sera. Stanco e deluso dall'essere di ritorno. Nel Signor K scatta sempre come un senso di non finito nel ritorno, come se avesse dovuto completare qualcosa e non è riuscito nell'intento; così quando ritorna è sempre...come dire...insoddisfatto! Conobbe una signora sull'aereo, palesemente interessata a conoscerlo, ma conoscendolo capì che non lo era più. In compenso lo invitò quella sera ad un ballo "etnico". 

Qualcosa andò giusto al Signor K, andò al ballo e conobbe un'altra ragazza, perché gli riuscì una tecnica di seduzione, come era inevitabile certo, essendo un esperto, descrisse l'immigrazione normanna-arbëreshë! Quale ragazza non avrebbe ceduto a quelle avances!?

Il Signor K le disse che era in anno sabbatico e che di norma lavorava all'ufficio immigrazione.

Lei credette veramente che ci fosse dietro quello personaggio una mente seriamente interessata e appassionata del suo lavoro. Ma al Signor K dell'ufficio non gliene fregava niente. Questo è il solito problema di quando ci si innamora di cosa faccia l'altro e non di chi sia.

K voleva fare a modo suo. E lei non parlava. E un giorno se ne andò.

Gli scrisse un biglietto e lasciò la lettera sopra il tavolo di casa sua, vicino una fruttiera vuota e la finestra per il gatto sempre aperta.

Iniziava così...   "Sto cercando di capirti. Ma non ci riesco. Bello sarebbe il programmare qualcosa sul tavolino di un bar e un giorno ritenerci più che soddisfatti, se di tutti quei sogni ne avremmo realizzati almeno la metà!"

Pensare al tavolo, quando mi consegnò la lettera, gli faceva male. Un tavolo di legno impiallacciato ed umile. Parlava di cene passate in due a parlare di loro, sigarette lasciate a metà e incisioni involontarie sul legno dei foglietti scritti dei posti da visitare. 

Nella lettera, l'inchiostro blue era sbavato ed espanso, le lacrime dovettero essere state molte, uno scorrere a fiotti densi e inermi nelle righe da leggere: l'oro blue assomigliava ora ad una macchia d'acquerello brillante e sfumata. Continuava...  

"Non mi far vivere il sesso come un premio. Mi annoierebbe. Sono una donna risoluta. Non riesco a capire cosa intendi te per maturità. Sembra tu mi stia cercando di controllare e possedere per una certa paura e insicurezza di fondo, non per paura di perdermi, altrimenti capiresti che non ce ne sarebbe il motivo, ma è tutto costantemente riferito al tuo bisogno di conferme, che io non ne posso più. Se mancano in te, io che ci sto a fare qui?!? Dimmelo! Non credi che nutrire il desiderio forse sia una ottima risorsa per il futuro, se mai ce ne sarà, per quando verrà sormontato dal dare l'altro come scontato e la vita di coppia sarà insonnolita dalla routine!? Questa non è casa mia ed è giusto che vada. Ma ti ripeto le contraddizioni che ho notato: volevi andare piano ma m'invitasti a casa tua. Quando una persona sta iniziando a percepire l'altra non vuole si bruci, inizio però a pensare che sono io in difetto, essendo sempre molto restia a lanciarmi spensierata nelle avventure e follie d'amore. 

Iniziato a percepire l'imbroglio ho iniziato a bruciare io. Quello che è falso io lo distruggo. Non lo voglio intorno. Sgattaiolo come la tua gatta di soppiatto.

Non la prendere male, ma le critiche servono in un rapporto che stai instaurando, per misurare me e te insieme. Volevi andare piano, ma molte tue azioni mi hanno fatta pensare che eri sicuro e mi sono adeguata, venendoti dietro fino a constatare la persona diversa in cui ti eri trasformato. Sarei stata ben contenta di telefonarti, tanto più che a mia volta anch'io ero trattenuta dal fatto di non volerti assillare. In molte cose sbaglio, ma non m'impongo, diciamo so cosa voglio. Non sei lucido e razionale. Anche se in apparenza lo sembri. Anch'io posso farmi prendere dall'emotività, ma il fatto che tengo a te mi riporta a ridimensionare le mie sensazioni di frustrazione, a razionalizzare la situazione. Il fatto che io parlo tanto di quello che succede tra noi ti aiuta, ma quello che i miei discorsi ti producono internamente io non lo conosco. Non voglio limiti. E non voglio regole. Io amo come vivo. Eternamente e senza confini. Non voglio nessuno accanto che rigiri l'affetto in controllo, l'ingenuità in raggiro e la spontaneità in calcolo. Credevo fossi diverso, ma sei immerso in una mentalità vecchia, piena di paranoie, fisime, piccoli rancori, dispetti, capricci e calcoli al fine di ottenere uno scopo. Vorrei qualcuno che con il tempo sappia apprezzarmi e capirmi nell'interno e impari a gestire le mie energie, per condurci verso un benessere psichico a cui possa accedere, per coronare un successo e dei sogni pratici, sui quali vorrei fosse con me al fianco."

Quando lessi le parole che questa ragazza scrisse, capii che la psichiatria non aveva funzionato. Il Signor K stava iniziando a credere di essere immerso in una spirale di condanna, di destino ineluttabile. Era capodanno quando scelse ad una serata tra amici la solitudine della notte del mare, sotto il chiaro di una maestosa luna, piena e gigante, nella costellazione del Cancro; quando si abbandonò al freddo del bagno notturno, immerso nella notte, fino alla testa, dimenticandosi o non badando di aver lasciato la ragazza conosciuta da poco più di un mese ad una serata forse non altrettanto solitaria, sicuramente inaspettata. 

Il Signor K ha paura che non esiste la donna giusta. La lettera era troppo lunga e me ne riporterò solo gli ultimi stralci:

"Vorrei insegnarti quello che so fare, capendo e investendo sulle tue potenzialità, permetterti di stare al mio fianco sui sogni che costruiremo insieme ma avermi lasciata lì, domandandomi se mi fosse stato bene rimanere a festeggiare il primo dell'anno da sola mi ha fatto capire di non conoscerti come credevo."

Il Signor K poteva trovare se stesso ma non lo ha fatto, non c'è riuscito. 

Comincio, da psichiatra, a pensare di dover rivedere le mie tesi: non era un atteggiamento d'antagonismo, romanticismo o provocazione la sua. Al Signor K veramente non interessava niente della vita, non perché non stava facendo quello che gli piaceva fare, ma per un senso di risposta che alla vita non compete. Non ha scopo né senso. 

"Sui sogni - continuava la lettera - se qualcuno ti sta aprendo l'anima, ci si cammina alzando il tallone da terra, delicatamente scalzi, non con degli stivali senza cura. I sogni sono il frutto di una vita passata a costruirli e di un'altra dedicata a cercarli di realizzare, prendere gli altri come controfigure della nostra esistenza, su questo palcoscenico dove crediamo veramente di esserne i protagonisti, non è più proponibile. Ho bisogno d'amore. Non di ripicche e dispetti, corri e fuggi adolescenziali. Indecisione. Senza razionalità, questo non fa parte di me. Aspetto giorni per vederti, ore in quel giorno per percorrere chilometri, stando a tempi e spazi tuoi e alla fine tu non sei pronto, lasci aspettarti con la solita scusa del traffico o perché non riuscivi a trovare la macchina dove l'avessi parcheggiata, lascia perdere! Non funzioni. L'amore non è altro che una costante scelta. Il castello più alto è sempre quello su cui hai scelto di lavorare di più, il più confortevole e familiare quello in cui ogni giorno hai deciso di abitare e quello che conosci meglio è quello che sempre più hai girato in lungo e in largo, dalle guglie celesti delle torrette, fino alle segrete più purulente e infestate da blatte. Ed il castello è della coppia. Nessuno deve mettere bocca, al di fuori di chi lo abita, sul colore delle tende da mettere alle finestre. E tu ne vai a chiedere consiglio al tuo psichiatra se è normale che io ti parli di altri uomini di altre brevi relazioni avute precedenti alla nostra, forse sicuramente non sono perfetta e ci sarà stato un motivo per cui te ne parlavo, bastava ascoltare e poi sarebbe stata tua la scelta."

K le rispose per messaggio: "Basta che mi tranquillizzi e poi inizierò a dedicarmi ad altro. Vado per priorità ricordi? Voglio iniziare a costruire la nostra vita insieme. Lavorando per te, lavoro per me. Quando torno a casa vorrei poterti raccontare i miei segreti, fino a non averne più paura. Invece sei sempre tu che parli, non lasciandomi spazio."

Rimise la lettera nella busta e me la consegnò io la riposi nella sua scheda-paziente e questa nell'archivio nell'armadio, capii che il mio lavoro era finito. K forse c'è riuscito a suicidarsi.

Le storie del Signor KDove le storie prendono vita. Scoprilo ora