Quando è entrata in quello studio subito dopo essersi scontrata con il maggiore dei Blake, la testa di Clarke era da tutt'altra parte.
Aveva quasi dimenticato per quale motivo avesse messo piede in quel luogo.
Tutto ciò che la sua mentre riusciva a visualizzare era il viso rilassato di Bellamy Blake, le mille lentiggini che puntigliavano il suo volto radioso grazie a quell'ultimo sorriso che le aveva rivolto prima che lei si chiudesse la porta alle spalle.
"Salve, cosa posso fare per lei?"
La voce le è arrivata familiare, come se avesse avuto già modo di ascoltare quel timbro chissà dove ma soprattutto l'aveva catapultata bruscamente nella realtà.
I suoi occhi chiari allora hanno abbandonano l'uscio e si sono rivolti finalmente alla scrivania, dove un uomo dai capelli brizzolati era chinato su un foglio, da quella posizione Clarke non riusciva a captare alcun tratto del suo volto.
"Salve professore. Sono qui per il bando del corso di art-therapy, volevo chiederle qualche informazione."
"Prego, si sieda."
L'interlocutore aveva risposto in modo cordiale ma anche piuttosto distratto.
"Scusi finisco di compilare queste carte e sono da lei..."
Si era poi giustificato subito e Clarke Griffin aveva incrociato le braccia al petto in attesa.
Pochi minuti dopo, solo quando l'uomo si staccò da quei fogli che non aveva abbandonato nemmeno per un secondo, la ragazza quasi sussultò.
Ci volle poco perché riconoscesse quel viso, i suoi ricordi erano recenti, non avevano neppure una settimana e quella era inequivocabilmente la stessa faccia amichevole alla quale si era ancorata in quella serata così confusa fuori da quel dannatissimo ristorante.
Non aveva dubbi.
Anche l'uomo le dedicò uno sguardo piuttosto sbigottito.
"Ci siamo già visti io e lei, non è vero?"
"C-credo di sì. Fuori il ristorante 'Polis' nemmeno sette giorni fa, era davvero lei?"
Lui annuì lentamente.
"Bhè è sempre un piacere avere a che fare con un viso familiare, non trova? Il destino sa essere molto ironico alle volte."
Clarke si era riscoperta a trattenere a stento un risolino. Poi cercò di riprendersi prontamente
"Ad ogni modo non abbiamo avuto modo di presentarci, il mio nome è Clarke Griffin."
"Marcus Kane."
Le aveva risposto stringendole la mano con energia.
Quindi era proprio lo stesso Marcus Kane al quale solo pochi giorni prima aveva chiesto una sigaretta, uno dei più influenti professori americani e allo stesso tempo un uomo che le era apparso, nella sua ignoranza risalente ai giorni addietro, semplice esattamente come tutti gli altri, sommerso dai problemi quotidiani che la vita presenta.
E Clarke Griffin che nel destino non aveva mai creduto, per quella mattina dovette ricredersi dato che quell'uomo le aveva spiegato con una cordialità ed una disponibilità sconvolgenti tutti i passaggi necessari per l'iscrizione al bando, concludendo con un fin troppo incoraggiante:
"Tifo per lei, signorina Griffin! S'impegni al massimo."I risultati sono dentro quella mail, deve solo aprirla.
Il test è stato un gioco da ragazzi.
Attitudinale più che altro, con qualche domanda mirata soprattutto a capire se l'esaminando fosse pronto a relazionarsi con realtà giovanili e difficoltose.
Alla fine ha chiesto aiuto a sua madre, è riuscita a superare quella barriera che le due avevano innalzato, solo grazie alla consapevolezza che dopo tutto Abigail forse avrebbe capito.
Hanno pranzato insieme nel giorno libero di Abby, Clarke si è accordata di sua sponte un permesso lasciando tutto nelle mani della fidata Raven.
Hanno parlato e, dopo tanto tempo, sono riuscite a sciogliersi.
Sua madre le ha prestato un paio di volumi, le ha spiegato com'è che vengono elaborati quel tipo di test e la mente di Clarke ha recepito in fretta, immagazzinato con facilità quelle informazioni dettagliate.
"Devi capire cos'è che richiedono."
La figlia l'ha osservata per un momento.
Le rughe sempre più evidenti ma un ovale sereno, una curva spontanea sulle labbra e lo sguardo concentrato le hanno infuso tranquillità e la consapevolezza che sua madre si era finalmente arresa, si era lasciata andare, non per stanchezza ma per semplice comprensione.
"Bhè... Immagino che si aspettino qualcuno che mostri interesse in materia e capacità tecniche ma che soprattutto che sia in grado di trasferirle ad altri esercitando anche un'analisi attenta su ogni situazione individuale e cercando di rendere il lavoro ottimale e aderente alla risoluzione, seppur parziale, delle problematiche mostrate."
Ha detto in un soffio.
Abby aveva annuito con uno sguardo fiero, come se fosse orgogliosa della sua bambina e ne riuscisse a cogliere l'enorme potenziale rimasto sepolto nei confronti di un approccio più scientifico e legato al suo campo lavorativo.
Erano state chine sui libri per quasi tre ore, poi Abby aveva interrotto un ragionamento di Clarke sulla cognizione sensoriale legata alla sfera emotiva
"Ci serve una pausa."
"Dici?"
"Perché non mi porti all'atelier?"
E le labbra rosee della giovane Griffin si erano allargate in un sorriso riconoscente.
Clarke Griffin accovacciata sul letto con il portatile sulle ginocchia osserva lo schermo luminoso: la finestra della sua personale posta elettronica, troppi messaggi non letti, prima ancora del risultato del test inviatole direttamente dall'indirizzo istituzionale della Georgetown, ci sono un paio di Lexa Woods.
Non l'ha più sentita da quando è partita, non l'ha più cercata.
Non lo ha fatto con cattiveria, semplicemente non sapeva cosa dirle, da dove iniziare e così si è lasciata inghiottire dalle sue giornate, dalla nuova routine.
Non ci sono oggetti nelle mail della sua dolce metà, anche se le fa strano ormai identificarla come tale.
Sa che aprendole dovrebbe affrontare una realtà ben delineata, accettarla con la schiena contro il muro, senza vie di fuga, uscire per sempre da quel dubbioso limbo in cui davanti a lei si stagliano ancora infinite possibilità.
Sono giorni che rimanda, non ha voluto distrarsi, aveva davvero bisogno di ottenere quel posto per il progetto.
Non solo per una questione economica, doveva di nuovo permettere alla sua mente di concentrarsi su qualcosa perché Clarke è fatta così, non può lasciare che il suo cuore prenda le redini dei suoi sentimenti e per farlo deve alimentare il suo cervello, trovare uno scopo, concentrarvisi con tutte le sue forze.
Ma ora il test è acqua passata ed i risultati sono solo ad un click, non ha più scuse a cui aggrapparsi.
Trattiene il respiro.
Chiude gli occhi cristallini e l'oscurità s'impossessa di lei.
Si annulla e si lascia galleggiare ancora per qualche istante in quel vuoto nero.
Solo quando sente di non potersi trattenere più inspira dal naso l'aria del monolocale e permette di farla uscire poi dalla sua bocca schiudendola appena.
Allora i suoi occhi si aprono, mettono a fuoco velocemente lo schermo.
Scorre con il mouse lentamente, supera appena l'ultima mail ricevuta ed apre il contenuto mandatole da Lexa.

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Out of Breath
Fanfic[Bellarke - Modern.AU] Dal testo: "Mi dispiace." Sussurra timidamente. E sa che dovrebbe porgere le sue scuse ad ognuno di loro ma vuole essere sicura che sia proprio lui ad udirle per primo. Ad ogni modo se c'è una cosa che Bellamy Blake sa...