"Clarke, stai bene?"
La voce di Raven Reyes rimbomba nella piccola stanza, la giovane donna, amica, collega e assistente se ne sta seduta alla scrivania dello studio mentre la bionda contempla in modo fin troppo silenzioso il panorama dell'Avenue al di fuori dell'ampia vetrata che inonda di luce l'ambiente.
La Griffin sospira appena, cosa dovrebbe dirle? E' davvero in grado di esternare tutti i pensieri che nelle ultime ventiquattro ore si sono impossessati di lei?
"Volevo chiederti scusa."
Mugugna lievemente.
L'altra allora alza il volto dallo schermo cercando di captare qualche segnale ma l'amica è ancora di spalle, sforzandosi appena però riesce a rilevare il suo viso riflesso sulla vetrata e le sue labbra s'increspano in un'espressione preoccupata.
Non vede Clarke in quello stato da così tanto tempo che stenta a ricordare quand'è stata l'ultima volta che la ragazza le fosse risultata così turbata.
Forse dopo la partenza di Octavia, si ritrova a pensare la mora, quando tutti loro ormai non mettevano piede in quel liceo da più di un anno e la giovanissima Griffin si era ritrovata d'improvviso sola, senza più alcun punto di riferimento.
"Perché dovresti?"
Capisce subito che deve lasciarla sfogare, deve farlo prima che sia troppo tardi, prima che possa pentirsi ancora di non essere una buona amica come quell'ultima volta.
Lexa è nuovamente lontana e stavolta non potrà essere presente per lei come durante la serata d'inaugurazione o alla fine del liceo.
"Per ieri."
Dice voltandosi
"Per aver iniziato il nostro lavoro insieme con così poca attenzione..."
"Clarke... Non fa niente, può succedere e poi eri scossa, con la partenza di Lexa e tutto il resto."
Ma la bionda scuote la testa velocemente appena le parole della ragazza arrivano a destinazione.
Non ha avuto il tempo di pensare a Lexa se non per pochissimi e superficiali istanti e si sente un vero e proprio mostro, ora che è in grado di rendersene conto.
"Ho fatto un casino Rav'."
L'altra le rivolge un'occhiata intensa senza più essere in grado di prevedere dove questa conversazione le porterà, realizza subito però che le sue supposizioni potrebbero essere del tutto errate quando ascolta il tono della voce di Clarke rotto dall'angoscia.
"Non l'ho nemmeno salutata... Dopo l'altra sera non ci siamo più riviste, l'ho lasciata andare via così, come se nulla fosse."
"Frena un attimo, non riesco a seguirti. Se non sei stata con lei allora cosa hai fatto ieri?"
Clarke si morde il labbro inferiore, sta per uscire fuori tutto, sta per ammettere ciò che fino adesso ha solo tentato di rimandare.
"Ero con Bellamy."
Un filo di voce che risuona pregno di colpevolezza tra quelle mura bianche.
Raven strabuzza gli occhi e l'amica non è in grado di sorreggere quello sguardo inquisitorio.
"... Blake? Per quale assurdo motivo, credevo non lo sopportassi."
"Dovevo farlo, gliel'avevo promesso l'altra sera all'inaugurazione..."
"Okay, ma perché?"
E Clarke la guarda di nuovo, sente gli occhi bruciarle, non ha bisogno di uno specchio per sapere che devono essere lucidi e completamente arrossati.
"E' una storia lunga."
"Oh no, non funziona così. Non puoi gettare la pietra e nascondere la mano."
Sta solo cercando di spronarla e Clarke lo sa bene per cui trova il modo di riprendere fiato e riassumere il tutto in poche frasi.
"Dopo la separazione dei suoi, Michael, suo padre, ha frequentato la clinica in cui facevo tirocinio, ti ricordi?"
La mora annuisce senza aggiungere nulla, attendendo semplicemente altre delucidazioni.
"Alcolismo. Dovevo dirglielo, aveva il diritto di sapere, sono tornati perché Mike è finito in ospedale Rav' e loro erano all'oscuro di tutto, per otto anni non hanno mai saputo nulla, mai dubitato."
Lo sguardo della ragazza si ammorbidisce lievemente ma basta poco perché la giovane Reyes torni all'attacco.
"Va bene ma cosa c'entra questo con Lexa? Non avresti potuto rimandare di qualche ora o di un giorno l'incontro con Bell?"
Ovviamente nulla sfugge alla mente meticolosa e brillante di Raven, quella donna è pragmatica, severa, ordinata, tanto da apparire irreale ed incapace di provare empatia a volte e questa è decisamente una di quelle.
"Avrei potuto, sì. Ma non l'ho fatto."
"E' piuttosto evidente... O non saresti in questo stato."
"Senti, non lo so che mi è preso... Io volevo solo vederl... Voglio dire..."
Si trattiene, non può mettersi a nudo così quando nemmeno è stata in grado di farlo davvero in solitaria.
La confusione regna ancora sovrana nella sua mente.
"Voglio dire che volevo solo scrollarmi questo peso di dosso e mi sembrava la cosa più giusta da fare."
L'amica fa fatica a trattenere un sospiro che risulta quasi esasperato.
"Più giusta per chi Clarke? Possibile che tu non sia riuscita a mettere da parte il tuo spirito da crocerossina, nemmeno per la persona che ami? Ad ogni modo penso che dovresti chiamarla, prima che sia troppo tardi... Non so mi sembra che tu non abbia ben chiara la situazione, sai? Per te è solo più comodo pensarla così, dire che non hai la più pallida idea di ciò che sta accadendo, è una scusa e tu sei abbastanza intelligente da riconoscerlo."
Le parole di Raven sono taglienti ma non feriscono Clarke, la conosce bene ormai e sa che quello è semplicemente il suo modo di convincerla a fare la 'cosa giusta'.
Solo che non vuole pensare a Lexa, non ora e non sopporta l'idea che l'amica abbia bypassato completamente il resto e si sia focalizzata solo sulla sua ragazza.
Certo non può biasimarla, Raven come chiunque altro è all'oscuro di tutto ciò che ha passato con Bellamy prima e con Michael poi.
"Io non so davvero cosa devo fare... ma non è tutto..."
"Cosa c'è ancora, scusa?"
Ogni ruga del suo viso è crucciata.
"Ho rivisto Octavia."
Raven si passa una mano tra i capelli e aguzza le orecchie facendo cenno alla sua interlocutrice di continuare.
"Nulla. L'ho rivista, avevo riaccompagnato a casa Bellamy e stavo tornando alla macchina, l'ho incrociata per strada e lei ha attraversato non appena mi ha riconosciuto, mi ha evitato come si fa con la peste."
"Me lo sentivo..."
Dice la mora sovrappensiero, più a sé stessa che a lei.
"Ti sentivi cosa?"
"Che il ritorno dei fratelli Blake avrebbe portato scompiglio."
Clarke ha un'espressione indispettita dipinta sul volto, forse si aspettava qualcosa in più.
Ma l'altra riprende subito la sua attenzione
"Lo so cosa stai pensando... Credi che io sia un'insensibile non è vero? Bhè, senti qua, non abbiamo più sedici anni e soprattutto non abbiamo tempo per le scenate, per i drammi esistenziali, dobbiamo voltare pagina, andare avanti e tutte quelle stronzate che ti dicono quando sei piccolo e non proprio non riesci a capire nonostante gli sforzi. Clarke dagli la giusta importanza, tu e Octavia vi siete volute troppo bene perché questa storia abbia un epilogo simile, dovete solo darvi del tempo."
"Tempo? Scherzi? Pensi che otto anni siano pochi?"
"Otto anni d'incomprensioni sono troppi Clarke è questo il punto e adesso siete su due linee parallele ma vedrai che prima o poi riuscirete a trovare un punto d'intersezione soprattutto perché, ora che siamo di nuovo al completo, volente o nolente dovrai passarci del tempo."
Eppure il pragmatismo della sua collega le sembra fare acqua da tutte le parti.
"Non sono sicura che lei sarà dei nostri."
"Non ha nessuno oltre noi e Octavia non è in grado di restare sola, combina solo guai, Bellamy l'ha viziata troppo, è sempre stato alle sue spalle, l'ha sempre sorretta..."
Dopo quel botta e risposta concitato Clarke si permette di restarsene in silenzio un istante, forse Raven ha ragione i fratelli Blake porteranno davvero scompiglio nelle loro vite e nulla sarà come prima.
Il giorno prima, lasciando casa Blake, ha sentito un vuoto dentro di sé, ha avuto paura che non lo avrebbe più rivisto, che lui non avrebbe più avuto motivo di parlarle, o di chiedere a qualcuno di lei.
Poi proprio quando quei pensieri la stavano divorando i suoi occhi si sono incontrati con quelli di Octavia.
Per ora le sembra di essere l'unica ad essere stata travolta in pieno dal loro ritorno.
"A cosa stai pensando?"
Scuote la testa.
"A nulla."
Raven Reyes scrolla le spalle consapevole che Clarke le ha appena mentito ma non forza più la mano e, dentro di sé, spera solo che quella ragazza trovi pace.
"Bene. Allora è arrivato il momento di rimboccarci le maniche, questo atelier non si terrà in piedi da solo. Abbiamo bisogno di iniziative, organizzare mostre, rassegne, chiamare artisti, entrare nel vivo dell'ambiente, insomma dobbiamo cercare di avviare le attività, non riusciremo a cavarcela con la sola vendita delle tue opere... Senza nulla togliere."
Le dice sorridendo con una punta di ironia che la bionda coglie accennando un ghigno.
"Sei tu l'esperta nella ricerca informatica, io posso farmi una passeggiata vecchio stile armata di volantini."
Dice con improvvisa serenità, è sempre stato così del resto, Clarke Griffin ha bisogno di fare per non pensare, per non farsi travolgere dalle emozioni lei deve semplicemente agire, vivere.
"Mi sembra un ottimo compromesso."
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Out of Breath
Fanfiction[Bellarke - Modern.AU] Dal testo: "Mi dispiace." Sussurra timidamente. E sa che dovrebbe porgere le sue scuse ad ognuno di loro ma vuole essere sicura che sia proprio lui ad udirle per primo. Ad ogni modo se c'è una cosa che Bellamy Blake sa...