Quando Bellamy Blake mette piede nella casa in cui e nato e cresciuto sente dentro di sé emozioni contrastanti e solo per un momento tutto il resto, compresi suo padre e sua sorella, scompare, il ragazzo si ritrova solo tra quelle quattro mura ancora dissestate ed impregnate dal forte odore di tabacco per pipa che Michael aveva l'abitudine di fumare da giovane.
Non è cambiato nulla: gli anni hanno scalfito i mobili, ingiallito le pareti, logorato qualche utensile ma il maggiore dei Blake percepisce gli stessi odori di un tempo, se chiudesse gli occhi con una semplicità incredibile, potrebbe rivedersi correre nel modesto saloncino, o immaginarsi seduto in tavola ad imboccare una piccolissima Octavia.
Il leggero tonfo che accompagna le valigie posate a terra dalla sorella lo risvegliano da quell'evocazione ed il moro si vede costretto a riappropriarsi del presente in un modo fin troppo brusco, ancora una volta non è sicuro di essere pronto.
"Avevo iniziato a cucinare"
Dice il vecchio Mike grattandosi il capo. E risuona quasi come una frase di congedo, è equivalente a dire
'Ci penso io qui, adesso siete liberi di risentirvi a casa, di riprendervi i vostri spazi.'
Octavia coglie il suggerimento e, senza dire nulla, sale le scale a due a due scomparendo nel piano superiore, persino il modo in cui si sente il parquet scricchiolare sotto ogni suo passo leggero non è cambiato.
Bellamy si guarda intorno ancora per un po', tentenna, muove qualche passo incerto, cerca di riconoscere i suoi luoghi, passa una mano sulla libreria: ci sono ancora i suoi vecchi testi universitari di seconda mano e gli innumerevoli pamphlet e manifesti che il padre da convinto socialista e massimo esponente della classe operaia americana continua a costudire gelosamente.
E' naturale che il suo sguardo indugi quindi sulla figura paterna, che la analizzi ne colga le differenze, otto anni possono pesare molto più di quanto sembri, possono essere accostati quasi all'eternità.
E ora li rivede in ogni ruga del volto concentrato di Mike quegli interminabili anni, in ogni sfumatura grigiastra che i capelli dell'uomo dimostrano in modo schietto, nello sguardo più opaco e nella curva della schiena piegata dal lavoro e da fatiche più o meno necessarie.
E' invecchiato e Bellamy per la prima volta pensa a quella burbera solitudine che deve averlo condannato a sembrare molto più avanti con gli anni di quel che è, si chiede se si sia mai dedicato a se stesso, se abbia avuto il tempo di trovare nuove amicizie, se abbia avuto rapporti con altre donne, se sia stato in grado di amare nuovamente.
Conosce già la risposta ma vorrebbe disperatamente convincersi del contrario.
"Tu come stai?"
Quella domanda gli esce in un soffio è apprensiva e per un attimo pensa che dovrebbe essere il contrario perché la regola vuole che siano i padri a preoccuparsi per i figli e non il contrario.
L'uomo si passa una mano sulla barba e offre al figlio un ghigno amaro, lancinante.
"Va tutto bene, Bell. Normale, credo. Sai com'è ad una certa età, si tira avanti."
Si sta trattenendo, lo legge nei suoi occhi ridotti quasi a due fessure.
Annuisce ma dentro di sé sente il cuore andare in fiamme, vorrebbe spronarlo a fare meglio, vorrebbe vederlo nuovamente sereno, vorrebbe urlargli contro di pensare di più a sé stesso che loro, ormai non sono più bambini bisognosi di mille attenzioni, sanno cavarsela e sapranno capire ma capisce subito che sarebbe una battaglia persa in partenza e dunque Bellamy Blake non può far altro che assecondare il suo vecchio annuendo ancora e guardando altrove.
"In Australia invece com'è andata?"
Sgrana gli occhi che ritornano repentinamente su Mike quando quella domanda vaga ma così difficile da porre per lui, arriva alle sue orecchie.
"Sai che non fa per me. Ma tutto sommato poteva andare peggio."
"Per tua sorella non è stato lo stesso, non è così?"
Chiede il padre ed è buffo, Bellamy sa bene quanto gli costi parlare di quella terra dove hanno vissuto per un anno prima che nascesse Octavia: Sydney città natale di Aurora ed incubo di Michael.
Blake junior cerca di focalizzarsi sulla domanda, sua sorella aveva trovato il suo posto finalmente, quello che lui aveva cercato disperatamente a Washington, lei lo aveva trovato tra le onde alte, le stagioni invertite ed i muscoli di Lincoln, surfista dal cuore d'oro che in un primo momento aveva fatto perdere non poche staffe al maggiore.
Ma non è quello il momento adatto per andare a scavare nei rimpianti della piccola O' e nei capricci di Aurora.
"Già, suppongo di si ma Washington è sempre stata generosa con noi Blake ed Octavia deve solo ricordarsi dell'infanzia felice che ci ha regalato."
Ricorda che la notte prima di andare via O' aveva bussato alla sua porta ad un orario improbabile, frignava come una dodicenne anche se ormai prossima alla maggiore età; non ne voleva proprio sapere di lasciare le sue amiche, il suo liceo, il suo quartiere e Bellamy la capiva meglio di chiunque altro.
La sera prima avevano dato una specie di festa d'addio, il maggiore dei Blake, forte dell'aiuto della sua combriccola, aveva deciso di fare le cose in grande, non poteva permettere che venisse dimenticato nell'oblio, la partenza dei fratelli Blake doveva essere maestosa, avrebbe dovuto imprimere nel cuore di tutti un ricordo infuocato.
La scuola e la sessione d'esami per chi già frequentava l'università erano acqua passata: doveva essere un Luglio atipico perché nessuno era ancora partito per le vacanze e così il terrazzo di casa Griffin si era trasformato nella location perfetta per quell'ultima riunione.
Senza l'aiuto di O' non sarebbero riusciti nell'impresa ovviamente, Bellamy non nutriva particolare simpatia nei confronti di Clarke Griffin o così voleva far credere ai più. La verità è che non amava averla intorno, si sentiva inspiegabilmente vulnerabile perciò aveva deciso di convincersi che non le andava a genio ma a mali estremi...
Octavia l'aveva convinta in men che non si dica, quelle due sembravano vivere in simbiosi, tanto che per un momento il ragazzo aveva temuto che la lontananza dalla biondina avrebbe provocato non poche problematiche all'animo sensibile della piccola Blake.
Erano arrivati in casa di Clarke di pomeriggio e la ragazza per dargli il benvenuto lo aveva preso per il colletto della camicia non appena messo piede nell'ampia terrazza
"Se solo uno dei tuoi amici prova a fare qualcosa di stupido..."
Bellamy non le aveva lasciato finire la frase.
"Non accadrà."
Aveva poi preso nella sua la mano pallida della ragazza e con un gesto più delicato del previsto l'aveva convinta a lasciare la presa sulla stoffa morbida.
Le aveva sorriso, non voleva farlo eppure lo aveva fatto in maniera talmente spontanea da non potersi controllare, le iridi acquamarina della ragazza si erano dilatate leggermente, la presa in quel preciso istante si era sciolta e chinando leggermente il volto Clarke si era sbrigata a voltargli le spalle per andarsene.
Lui però era stato repentino nel stringerle nuovamente il polso tirandola leggermente a sé con uno scatto, quel tanto che bastava per far incrociare nuovamente i loro sguardi ad una distanza minima.
"Grazie Clarke."
Lei aveva annuito trattenendo il fiato, o almeno così sembrava al maggiore dei Blake, conosceva abbastanza bene da saper ormai riconoscere l'effetto che aveva sulle ragazze.
"Non lo sto facendo per te ma per O'."
Aveva risposto lei in un soffio stizzito ma comunque poco convincente alle orecchie del maggiore dei Blake.
"Sarà così ancora, senza alcun dubbio"
Quelle parole distolgono Bellamy dai ricordi fin troppo limpidi che lo hanno sopraffatto. Sono parole d'incoraggiamento, in quella frase c'è tutto ciò di cui ha bisogno: credere che qualunque cosa tornerà al suo posto è ciò che deve fare, lo sa perfettamente eppure sembra maledettamente difficile.
E' come se la sua vita in Australia sia stata solo una lunga pausa da quella che ha passato lì tra quelle mura, in casa Blake, in quel quartiere così distante da tutto.
Non è del tutto convinto che premere nuovamente play sarà semplice, sono passati troppi anni e quel vecchio mangianastri impolverato che è il contenitore della sua vita potrebbe tentennare da un momento all'altro.
Sente bussare sommessamente alla porta d'ingresso, dunque è così, suo padre non ha nemmeno riparato il campanello in tutto quel tempo.
"Vado io."
Dice il moro più giovane mentre l'altro è ancora intento a darsi da fare con pentole e padelle varie.
Chi poteva essere?
Sicuro qualche scocciatura, decide quindi di far calare sul suo volto un'espressione seria ed impassibile mentre lascia che la sua presa salda schiuda la porta scricchiolante.
Quello che accade subito dopo è piuttosto difficile da spiegare.
Ci sono due occhi blu lucenti, un sorriso raro e dei capelli, gettati all'indietro in modo confuso, biondo cenere.
Johnathan Murphy non ha il tempo di dire nulla, non vuole farlo, semplicemente stringe a sé il suo migliore amico, l'unica persona alla quale si è permesso di voler bene davvero.
E Bellamy Blake si lascia scaldare da quel gesto così naturale, si perde tra le braccia del ragazzo di poco più basso di lui, strizza gli occhi, quasi lucidi, in un moto incredulo.
Il silenzio fa sì che Michael si affacci all'entrata e partecipi alla scena con un sorrisetto soddisfatto, sa perfettamente di aver fatto la cosa migliore, chiamare il giovane Murphy è stato un gesto spontaneo, non vederlo bivaccare sul suo divano per tutti quegli anni è stato orribile quasi come vedere quella stessa casa svuotarsi del tutto.
Quando l'abbraccio si scioglie Bellamy non sa bene cosa dire, è come se le parole potessero rovinare tutto, in quel momento un briciolo di sicurezza si fa spazio nel suo cuore: forse non è tutto perduto ed il sorriso di Murphy non fa che confermare quella flebile supposizione.
E' chiaro che sia lui quindi a spezzare il silenzio
"Stasera sei con noi, non ci sono scuse."
Il maggiore dei Blake lo guarda leggermente confuso, costringe l'altro a continuare
"La voce ormai aleggia in tutta Washington mio caro, è tempo che la banda si riunisca."
"Non lo so..."
"Non sai cosa?"
"Devo disfare le valige e..."
C'è qualcosa di cui Bellamy ha maledettamente paura: rivedere quei volti, riascoltare quelle voci è ciò che desidera di più al mondo ma teme che quel desiderio non sia ricambiato, a chi è mancato? Perché le loro vite non sono state messe in pausa proprio come la sua? A Washington DC tutto ha continuato a scorrere senza di lui e se non fosse in grado di riprendere quel treno già in corsa?
"Stronzate. Le tue valige possono aspettare. Siamo stati settimane ad aspettare il tuo ritorno, non puoi farti attendere ancora, Ci tieni ancora così tanto a mantenere la nomina di re ribelle, pidocchioso di un Bellamy Blake? Forse sei un po' cresciuto per questa roba, non trovi?"
Eccolo, se ne sta lì con le spalle al muro, non c'è via di scampo e dunque non fa altro che sospirare
"D'accordo. Quali sono i programmi?"
"Una mostra, in centro."
"Cosa?"
Deve aver sgranato appena i suoi occhi nero carbone, quindi adesso quei ragazzini di periferia se ne andavano in centro alle mostre? C'è qualcosa di perverso in quell'invito, o almeno così la vede lui, si deve esser perso davvero un gran passaggio di qualità se i suoi vecchi amici adesso sono interessati all'arte, di venerdì sera per giunta.
"Pensavi che avremmo passato il resto della nostra vita ad appassire su quel muretto?"
"No ma..."
"Senti Bell, niente ma, niente domande scomode, niente di niente, andrà tutto bene, passo a prenderti dopo cena, fammi sapere se tua sorella ha voglia di raggiungerci, credo ci siano alcune vecchie compagne che morirebbero pur di vederla ed ho un posto in più in macchina."
"Mhh. Ne dubito ma comunque va bene, mi farò trovare pronto."
Il biondo gli riserva una pacca sulla spalla e saltellando quasi, percorre il vialetto di casa Blake per poi sparire in un'utilitaria blu.

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Out of Breath
Fanfiction[Bellarke - Modern.AU] Dal testo: "Mi dispiace." Sussurra timidamente. E sa che dovrebbe porgere le sue scuse ad ognuno di loro ma vuole essere sicura che sia proprio lui ad udirle per primo. Ad ogni modo se c'è una cosa che Bellamy Blake sa...