Capitolo 19 - L'Origine di Myers

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Inghilterra, Londra, 1435

Daniel Knox (Detective Myers)

La mia vita era perfetta, vivevo in Inghilterra con mia moglie Agnes e i miei tre figli, Christopher di diciott'anni, Eloise di quattordici e il piccolo Kole, di soli otto anni.

Mia moglie aveva i capelli castani e gli  occhi verdi, come il piccolo Kole, mentre Christopher aveva i capelli castano scuro e gli occhi color ghiaccio come i miei. Eloise infine aveva gli occhi sul grigio e i capelli castani.

Eravamo nobili, per la precisione ero un Conte che prestava servizio alla corona inglese, sotto il regno di Enrico VI, ma di certo non sono qui per parlarvi di politica o almeno non ancora.

La vita di palazzo non mi entusiasmava, l'unica nota positiva era che potevo frequentare numerose cortigiane, io non avevo mai disdegnato la compagnia femminile, ma proprio questo fu l'origine dei miei guai.

Mi arrivò una lettera da Rose, una delle cortigiane, in cui mi chiedeva di vederci nel posto dove ci incontravamo sempre, cioè nel bosco di fianco ad un enorme quercia.

Arrivai puntuale all'appuntamento, anche se il messaggio mi aveva stupito. Avevamo deciso di stare più attenti con i nostri incontri e non si era parlato di vederci così presto.

Guardavo quell'immensa pianta, la più bella del bosco, le sue fronde trapassate dal sole, che tramontava, creavano incredibili giochi di luce e la sua maestosità lasciava a bocca aperta ogni volta che la si guardava.

Mentre aspettavo iniziai a sentire rumore di passi e subito dopo con mia enorme sorpresa vidi tre uomini uscire allo scoperto. Mi avevano teso un agguato!

Uno dei tre, spalleggiato dagli altri due sicari, si presentò come l'amante di Rose, gridando che doveva essere solo sua e che io dovevo sparire .

Ero completamente confuso, quel tizio sembrava interpretare come una relazione a tutti gli effetti quello che per me era un capriccio passeggero, una distrazione.

I tre si avvicinarono ed iniziò lo scontro, uno di loro subito mi colpì alla testa, io mi girai di scatto, estraendo un coltello con cui lo colpii allo stomaco uccidendolo. All'improvviso gli altri due mi afferrarono e mi bloccarono, tenendomi per le spalle.

Mentre mi divincolavo, uno di loro mi colpì alla schiena. Io mi abbassai per il dolore e così notai la spada dell'uomo ucciso. La presi velocemente e la puntai contro a chi mi aveva colpito, spingendolo con forza per terra  e infilzandolo diritto al cuore.

Lasciai l'amante per ultimo, nei suoi occhi si vedeva la sua convinzione di potermi battere, ma io ormai non avevo più paura di nulla avendo già sconfitto gli altri due.
Iniziammo a girarci attorno a vicenda; l'uomo cominciò a far partire dei fendenti che io parai abilmente, un po' meno evitai il colpo sulla testa, che mi diede con l'altra mano, così barcollai all'indietro e mi cadde la spada. Lui subito ne approfittò per colpirmi ma io riuscii a schivare il colpo.

Cercai di addentrarmi nella foresta per sfuggirgli, lui subito mi seguì, per poi perdermi di vista. Ero nascosto dietro ad un cespuglio e con la coda dell'occhio potevo chiaramente vedere il mio aggressore, che si guardava attorno per trovare delle impronte o anche solo per sentire dov'ero.

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