La Valle delle Ombre

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Non c’è voce, oltre alla mia, che sia capace di raccontarvi cosa accadde diverso tempo fa, in quell’anno così cupo, la cui data è stata cancellata e ottenebrata dal tempo e dagli uomini: molti, infatti, erano coloro che desideravano venisse dimenticata. 

Nemmeno io mi sento in grado di proferire quella data così funesta, durante la quale molti fatti inspiegabili si verificarono. I morti evadevano le proprie tombe e ombre indistinte, oltrepassato il muro della Notte, si mostravano ai vivi.

E voi che fate ancora parte del mondo della luce, quando leggerete le mie parole, io sarò già partito per la regione delle ombre. Pochi saranno coloro che presteranno attenzione a ciò che scrivo, molti dubiteranno, ma ci saranno coloro, tra quelli che daranno fede al mio racconto, che mediteranno su quanto segue.

In quell’anno terribile i segni si potevano osservare sul mare e sulla terra, e nel giorno più cupo anche i cieli presagivano sventura e disperazione. Quel giorno di eclissi lunare, infatti, il diabolico Marte, lucente di una fiamma infernale, entrava in congiunzione con l'enorme Saturno.

Noi ci trovavamo in sei, ridevamo ed eravamo allegri, se così si può dire, per scacciare l’ombra di una pestilenza che aveva colpito le nostre terre già malate. Camminavamo verso l’ignoto, in cerca di un luogo, lontano dalle case e dalle strade, dove goderci il frutto del nostro lavoro. Noi, briganti, ladri e tagliagole, avevamo teso un imboscata ad alcuni viaggiatori, ed ora ci dirigevamo lontano da occhi indiscreti.

Coloro che avevamo attaccato dovevano essere delle persone benestanti, a giudicar dall’oro che portavano e dalle provviste che tenevano nel carro. Fui io, Itys, ad uccidere l’uomo che guidava il carro. Silenzioso e veloce come l’oscurità che avanza al calar del sole, mi portai dietro le spalle del cocchiere. Avevo ucciso altre volte in passato, sapevo cosa fare, e nel farlo provavo sempre una sensazione di potere che mi gratificava. Estrassi dal fodero il mio pugnale, il ferro scuro come la notte. Ed ecco, con una mano coprii la bocca dell’uomo, con l’altra, velocemente, passai la fredda lama nel suo collo. Subito le mie mani, gelide per il ghiaccio invernale, furono investite dal caldo sangue, zampillava rosso dalla gola recisa.

Gli altri miei compagni, appena videro il carro fermarsi, come avevamo pianificato in precedenza, si avventarono contro le portine della carrozza, con la stessa furia dei lupi che si lanciano su un cervo ferito.

All’interno trovammo una donna e un bambino, e ciò può sembrare normale, ma non fu così. Con gran stupore infatti ci accorgemmo che i due erano stati colpiti dalla pestilenza. La madre teneva il bambino privo di forze tra le sue braccia, ci implorava di lasciarli proseguire, poiché doveva trovare delle cure mediche per il figlio. Non la ascoltammo.

Le fracassammo il cranio con una pietra.

Non potendoci portare dietro un bambino malato ora non sapevamo che fare. Dopo alcuni minuti di discussione, infine decidemmo che l’unica cosa da fare era uccidere anche lui, ma non eravamo tutti favorevoli e quando venne il momento di farlo nessuno di noi se la sentì.

Il ragazzo continuava a tossire e a piangere sul corpo freddo e irrigidito della madre. Irato, Eaco prese un grosso bastone e decise di mettere fine a quella situazione. Il bambino cadde dopo il primo colpo.

Lasciammo i corpi al fianco della strada, insepolti, e depredammo tutto quello che c’era di valore, ben attenti a non toccare con mano i cadaveri appestati.

Camminavamo così, felici per il bottino e gioiosi, cercando di esorcizzare l’omicidio brutale di una madre e un bambino malati. Giungemmo infine alle catacombe, unico posto riparato e sicuro nelle vicinanze. Se avessimo potuto scegliere il luogo dove accamparci, naturalmente non avremmo optato per un cimitero, specialmente per delle vecchie catacombe.

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