Il giardino dell'Eden

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Erano gli anni sessanta. Eravamo giovani e forti. Eravamo risoluti nel voler cambiare tutto. Eravamo un sacco di stupide cose, ma soprattutto, eravamo. A quei tempi non vi erano molti lavori disponibili per una giovane donna, come me, allontanatasi da casa. Ero nata in un piccolo paese della Calabria, la terza di cinque fratelli, unica femmina. Erano gli anni sessanta... Sembra ieri. I Beatles cantavano “She loves you” e quella, per gran parte della mia famiglia, era la musica del diavolo. Per gran parte, ma non per tutti. Mio fratello, più grande di me di otto anni, era in congedo dal militare. Ed un giorno, prendendomi da parte, mi disse: "Maria, questo non è il tuo posto, gli altri forse fanno finta di non vedere, ma io vedo che tutto questo ti sta stretto. Vai via finché sei ancora giovane ed in grado di farlo, altrimenti aspetterai il momento per farlo, nel frattempo gli anni passeranno. E sarà troppo tardi allora.” Quelle parole mi colpirono e nel giro di qualche giorno me ne andai di casa. Non uso il termine “scappai” perché io non scappai proprio da nulla, non ero una fuggitiva, avevo semplicemente trovato la mia strada. Qualunque essa fosse, era lontana da lì.

Presi il primo treno che mi capitò di trovare, con i pochi soldi che avevo messo da parte. Questo treno portava ad uno sperduto paese tra le montagne della Basilicata. Era perfetto. Un posto in cui nessuno si sarebbe mai sognato di cercarmi. Il punto è che all’epoca un gesto del genere era considerato una follia. A quei tempi non si conoscevano concetti come “uguaglianza tra i sessi” oppure “emancipazione femminile”. Arrivai alla stazione di questo piccolo paesino. Per me si trattava solamente di una tappa del mio viaggio. Il mio piano era trovare lavoro in modo da poter mettere da parte abbastanza soldi per andare via dall’Italia. Mi sarebbe piaciuto andare nel Regno Unito oppure in Belgio. Qualsiasi posto che non fosse l’Italia andava bene, ma prima mi servivano dei soldi. Scesi dal treno e, come un segno della divina provvidenza, passando davanti alla bacheca della stazione un annuncio spiccava su tutti gli altri. – La casa di accoglienza “Il Giardino dell’Eden” cerca personale – . Fantastico pensai, era proprio ciò che faceva al caso mio. Estrassi la penna dalla borsa e segnai, sul retro del biglietto ferroviario, l’indirizzo della struttura.

Entrata nel piccolo bar della ferrovia per prendere un caffè, chiesi alcune informazioni su come raggiungere il luogo. Domandai all’uomo dietro il bancone se, per caso, sapesse indicarmi il posto in cui sorgeva l’edificio. Il barista dapprima cortese, una volta udito il nome dell’edificio si fece più scortese e sbrigativo: "Non è posto per giovani donne, quello. Faresti bene a risalire sul treno e tornare da dove sei venuta.”

Rimasi basita dalla risposta dell’uomo. Senza chiedere ulteriori spiegazioni, pagai il mio caffè ed uscii bar. Avrei trovato da sola il posto. Non ebbi bisogno di chiedere nuovamente in giro indicazioni in proposito. Appena uscita dalla stazione alzai gli occhi in direzione della grande collina che sormontava le poche case del paese. Un enorme edificio bianco come il latte troneggiava sulle poche abitazioni del luogo. Sembrava un antico posto d’avanguardia, arroccato tra i monti dell’Appennino lucano. Quell’edificio mi trasmise subito un sacco di sensazioni. Timore, rispetto, ma in maggior misura mi trasmise un profondo senso di angoscia. Era normale che il barista avesse reagito in quella maniera, pensai. Iniziai ad incamminarmi per una stradina che portava in direzione dello stabile. La stradina ben presto divenne poco più di un sentiero tra i boschi.

Era quasi l’imbrunire e l’idea di proseguire una volta calata la sera, nel bosco, non mi allettava per nulla. Affrettai il passo ed in poco meno di un'ora ero arrivata. Appena in tempo pensai, stava cominciando a fare buio e da vicino l’edificio era ancora più imponente. L’ombra con cui inghiottiva l’intero piazzale d’ingresso era impressionante. Un'enorme insegna sulla struttura recava la scritta “CASA DI ACCOGLIENZA IL GIARDINO DELL’EDEN”. Mi avvicinai all’enorme portone di legno scuro e bussai. Dopo pochi secondi venne ad aprirmi una giovane donna in uniforme bianca con corvini capelli raccolti dietro la nuca in uno chignon. Cortese, ma sospettosa, mi domandò se poteva aiutarmi. Una volta spiegato che avevo visto l’annuncio in bacheca alla stazione, mi invitò ad entrare e mi fece accomodare su di una panchetta di legno, spartana ma sufficientemente comoda. Mi disse di attendere lì qualche minuto, nel frattempo sarebbe andata ad informare il direttore della struttura. Nell’attesa di essere ricevuta, dalla mia panchetta di legno iniziai a guardarmi intorno.

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