Musica

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Il sole basso all'orizzonte la stava infastidendo, la tendina era rotta come su ogni autobus che si rispetti e l'unica soluzione era continuare a muoversi sul rigido sedile blu sbiadito tentando di non accecarsi.
Danielle non rinunciava mai alla sua routine scacciapensieri: con gli auricolari nelle orecchie, guardava il paesaggio che scorreva lento. Ogni sera le stesse fermate, ogni sera lo stesso identico tragitto, in cui riusciva però a scorgere sempre nuovi particolari, dietro quel vetro sporco.
Sull'autobus si alternavano pendolari occasionali e volti noti. Quelli nuovi si riconoscevano subito: litigavano con l'obliteratrice perché infilavano male il biglietto, avevano un'aria trafelata prima ancora che l'autobus si rimettesse in movimento e puntualmente chiedevano indicazioni al conducente su dove dovevano scendere.
Gli abituali erano la signora delle pulizie che saliva alla fermata del grande palazzo di vetro, la nonna che ritornava a casa dopo aver fatto visita ai nipoti, il militare che rientrava in caserma e la mamma che riportava a casa il figlioletto dall'asilo.
Poi c'era lui, il ragazzo misterioso. Cappuccio sempre in testa e cuffie nell'orecchio, non si sedeva mai ma saliva e si posizionava accanto all'uscita; a volte scriveva su un taccuino ma non alzava mai lo sguardo.
Erano settimane che lo vedeva. Una sera l'autobus aveva inchiodato bruscamente e, per reggersi, si era aggrappata al palo contro cui era sempre appoggiato lui. Aveva sfiorato lievemente una sua mano e lui aveva alzato gli occhi.
Quella era stata l'unica volta che li aveva visti ma non li avrebbe mai dimenticati: verdi con sfumature castane, caldi e rassicuranti; erano passate due settimane da quella sera e ancora li ricordava perfettamente. Probabilmente era uno studente, come lei, ma erano solo supposizioni: lo vedeva solo salire cinque fermate esatte dopo la sua. Non si sedeva mai, nonostante il viaggio non fosse breve.
Improvvisamente l'autista inchiodò bruscamente, costringendola ad appoggiarsi di riflesso al sedile anteriore. Ad autobus fermo cominciò a levarsi un brusio di protesta, che sfociò in imprecazioni indignate all'annuncio della gomma bucata.
Tra una lamentela e l'altra, i passeggeri si rassegnarono a scendere per attendere il mezzo sostitutivo che sarebbe arrivato il prima possibile dal deposito.
Anche lì, sul bordo della strada, il ragazzo se ne stava in disparte, appoggiato ad un albero mezzo sbilenco e colpito da un fulmine. Il sole filtrava da dietro le sue spalle creando strani giochi di luce: la felpa con il cappuccio assumeva quasi i connotati magici di un mantello o una tonaca medioevale e l'albero morente conferiva un che di decadente all'insieme.
Distogliere gli occhi da lui non fu semplice, in quell'occasione ancora meno del solito.
Finalmente arrivano due piccoli minibus da una trentina di posti l'uno. Distratta dall'osservazione dello sconosciuto, Danielle raggiunse la fila troppo tardi per accaparrarsi l'agognato posto accanto al finestrino.
Il corridoio centrale era sufficiente a malapena per muoversi, perciò anche il ragazzo era stato costretto a sedersi. Giunta a due passi dal posto vuoto accanto a lui, Danielle si fermò, indecisa.
Lui guardava, incurante, fuori dal finestrino.
"Signorina?" l'uomo dietro di lei la richiamò all'ordine, spazientito e ansioso di superarla per andare a sedersi.
Prese quindi, d'istinto, la decisione di sedersi. Il ragazzo non si girò a guardarla ma le sembrò di vederlo sussultare lievemente; la mente però gioca strani scherzi, soprattutto dopo una giornata intera di studio intenso.
Si sentiva un po' a disagio ma ne approfittò per osservarlo, di sottecchi: una mano era poggiata al finestrino, le sue dita si muovevano sul vetro come se stesse suonando qualche strumento, forse al ritmo della musica che stava ascoltando.
Lo sentì sospirare: di stanchezza, di delusione, di sofferenza? Non lo sapeva, poteva soltanto aggiungere l'ennesima domanda alla lunga lista.
Dalla sua borsa, poggiata in grembo, Danielle sentì provenire una vibrazione: chiamata in arrivo. Già leggendo il display il suo umore sprofondò ma non poteva evitare di rispondere.
"L'autobus ha bucato una gomma, per questo sono in ritardo" spiegò, con pazienza. Si sforzò di tenere bassa la voce, anche se avrebbe voluto urlare di fronte alle cattiverie gratuite che doveva nuovamente subire.
"Non ero in giro. Stavo studiando" le tremò la voce, nel trattenere la rabbia. A nulla sarebbe servito: quella non era sua madre e stava solo cercando un nuovo pretesto per criticarla.
Chiuse la telefonata con le lacrime agli occhi e la voce incrinata. Gettando il telefono in borsa, si accorse di un particolare: non sentiva più la musica provenire ovattata da accanto a lei. Ma proprio mentre stava temendo che lui avesse ascoltato tutta la discussione al telefono, la musica ripartì con una nuova canzone. Che stupida: era solo finita la precedente.

Sofy chan-♡

<Il treno dell'amore>Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora