Ogni volta che suo padre rientrava a casa, dopo settimane in viaggio di lavoro, Danielle cercava di trascorrere più tempo possibile con lui.
Si rigirò nel letto, insonne, per metà della notte, pensando a cosa fare l'indomani: rimanere a casa per evitare che Sabrina lo monopolizzasse, con i teatrini da finta moglie devota, o uscire, sperando di incontrare Peter sull'autobus di ritorno. Più ci pensava e più si innervosiva: sentirsi emozionata solo all'idea di un saluto sfuggente non era assolutamente sensato!
All'ora di colazione non aveva ancora trovato una soluzione, si era solo preparata psicologicamente per assistere alla sceneggiata di Sabrina.
"Oh tesoro ben alzata!" Eccola in versione amorevole, sorridente e zuccherosa, intenta a preparare la colazione.
Lo stomaco le si chiuse, nauseato da tanta falsità, perciò disse di non avere fame.
"Danielle, sforzati di assaggiare almeno un biscotto. Sabrina si è svegliata all'alba per prepararli." suo padre la esortò, portandola a mordersi la lingua per evitare di ribattere astiosa.
Non sarebbe servito a nulla, perché lui non le aveva mai creduto quando, all'inizio, aveva cercato di aprirgli gli occhi. Era quasi tentata di cercare il contenitore della pasticceria, nascosto da qualche parte, perché da lì venivano i biscotti: Sabrina non sapeva cucinare.
Danielle si sforzò di fare colazione, in silenzio, mentre la sua decisione prendeva forma: sarebbe uscita, non poteva vivere un giorno intero in quel mondo di stomachevole finzione.
"Se proprio devi studiare..." Suo padre sembrava davvero dispiaciuto e Danielle stava quasi per ripensarci, poi il viso compiaciuto di Sabrina le fece venire voglia di fuggire il prima possibile.
Se c'era una cosa che Danielle non tollerava era la falsità, non riusciva ancora a credere che un uomo intelligente come suo padre potesse essere caduto vittima delle menzogne architettate da un'approfittatrice come Sabrina.
Quel giorno, nemmeno la familiarità rassicurante della biblioteca e la cioccolata calda di metà pomeriggio le diedero un po' di serenità; era tesa e nervosa, troppi pensieri le affollavano la mente e le impedivano anche di concentrarsi.
Quando arrivò l'ora di prendere l'autobus, si sentiva ormai insofferente. Probabilmente nemmeno vedere Peter le avrebbe migliorato l'umore, si disse.
Fu il cuore a rivelarle il suo errore di giudizio, iniziando a battere più forte quando lui salì sull'autobus e si diresse alla sua solita postazione. Le fece solo un cenno del capo, non un vero saluto ma le bastò.
Era davvero così bisognosa di attenzioni? Oppure era lui a incuriosirla? Inspiegabilmente, riusciva a comprendere il suo stare sempre in disparte, nel suo angolo, nascosto da un cappuccio. Forse erano simili, nel loro isolarsi. Oppure le sue erano solo vane illusioni di un animo troppo afflitto ma ancora desideroso di sognare.
L'autobus procedeva lento lungo il suo abituale percorso mentre Danielle si divideva tra la visione del solito paesaggio e qualche occhiata a Peter, che stava scrivendo qualcosa nel suo inseparabile taccuino. Era mancino. Le nacque un sorriso per la scoperta di quel particolare.
La sua fermata era vicina e, per quanta voglia avesse di trascorrere un po' di tempo con suo padre, le dispiaceva scendere dall'autobus. Era ad un passo dalla porta, pronta a scendere, quando l'autista inchiodò bruscamente facendole perdere l'equilibrio.
"Scusi!" Si affrettò a dire mentre l'anziano signore, contro il quale era finita, borbottava scocciato.
"Stai bene?" Alle sue spalle sentì una voce nota.
Si girò e trovò due occhi verdi screziati di marrone, più scuri di come li ricordava.
"Sì. Grazie, Peter." Le piaceva pronunciare il suo nome, perché era stata una conquista conoscerlo.
"La tua fermata." Distolse lo sguardo dal suo.
"Tu stai bene?" Le venne spontaneo domandarlo: la voce di lui le era parsa ancora più tormentata.
"Sei arrivata, Danielle." ripeté lui, ignorando la sua domanda.
Delusa, si affrettò a scendere prima che l'autobus ripartisse ma rimase ad osservare Peter per qualche secondo, aldilà della porta meccanica. Lui non si girò più a guardarla.
"Eccoti! Vai a cambiarti, porto le mie donne a cena fuori!" Suo padre la accolse con un sorriso, era così strano vederlo a casa, non c'era abituata.
Si sforzò di ricambiare il sorriso, a fatica, perché continuava a pensare a Peter.
Quella serata fu stancante, perché dovette ostentare sorrisi per nulla spontanei e trattenersi dall'intervenire mentre la moglie di suo padre raccontava aneddoti totalmente inventati sull'idilliaco rapporto matrigna-figlia acquisita che lei sosteneva di essere riuscita a realizzare, con grande sforzo e suo esclusivo merito.
Non c'era mai fine alla falsità, di questo ormai Danielle era ben consapevole e quando si mise a letto quella notte pensò che non concedere a nessuno la propria fiducia fosse l'unica alternativa per non rischiare di essere ingannata.
La domenica mattina fu traumatica perché solitamente Sabrina dormiva fino a tardi ma, con il marito a casa, la perfetta mogliettina doveva fingere di stare ore ai fornelli per preparare il pranzo migliore di sempre.
Quando Danielle apparve in cucina, ancora in pigiama, la matrigna aveva ricoperto ogni superficie di stoviglie e ingredienti, scelti a caso, mentre stava parlando al telefono, presumibilmente con la rosticceria più vicina. La ragazza preferì rinunciare alla colazione, dopo essere stata accolta da un'occhiataccia.
Per quanto triste alla partenza del padre, che ormai vedeva sempre meno, fu in parte sollevata all'idea di non dover più avere a che fare con la versione falsa e stucchevole di Sabrina.
L'auto del capofamiglia non aveva ancora girato l'angolo della via che la perfetta mogliettina si era già gettata sul divano, sbuffando e ordinando a Danielle di pulire la cucina, già che lei aveva organizzato il pranzo.
L'insegnamento di quel fine settimana fu, di nuovo, la triste consapevolezza che era meglio non fidarsi delle persone. Con gli anni, aveva imparato a scorgere doppi fini in ogni aiuto che le veniva offerto. Tranne quando Peter l'aveva accompagnata a casa. Ma perché quell'episodio avrebbe dovuto costituire un'eccezione? Aveva sbagliato a fidarsi.
Fu così che, quando Peter salì sull'autobus il lunedì sera, Danielle non distolse lo sguardo dal finestrino, fingendo di non vederlo, e quando fu il momento di raggiungere l'uscita per scendere, semplicemente lo ignorò, con un amaro nodo in gola.
Era solo questione di qualche giorno, si ripeteva ogni sera mentre si ostinava a non guardare più verso di lui, rimanendo rigida e nervosa al suo posto, percependo la presenza del ragazzo senza mai degnarlo di attenzione.
Nell'ignorare quella che aveva catalogato come banale curiosità, Danielle stava rendendo ogni viaggio un vero inferno. Il quarto giorno giunse a casa così di cattivo umore che rispose male a Sabrina , guadagnandosi l'ira furibonda della donna.
"Mi aspetto di trovare i miei vestiti stirati o non ti lascerò sul tavolo i soldi per l'abbonamento dell'autobus, devi rinnovarlo domani, no?"
Danielle non aveva abbastanza pazienza per cedere così presto a quell'ennesimo ricatto.
"Già ora mi lasci usare meno della metà dei soldi che mio padre fa arrivare! La borsa di studio non copre tutte le spese e l'abbonamento è troppo costoso!"
Sabrina parve sorpresa del fervore e del coraggio di Danielle ma si riprese in pochi istanti.
"Chiamalo, allora! Vediamo a chi crederà, visto che sono settimane che gli confido la mia preoccupazione di madre per le troppe ore che trascorri fuori casa, non si sa a fare cosa e con chi." Incrociò le braccia, ostentando un sorriso soddisfatto.
"Tu non sei mia madre." Fu l'unica cosa che riuscì a ribattere, tra i denti, Danielle prima di chiudersi in lavanderia a stirare. Suo padre avrebbe creduto a Sabria, andava sempre così.
Il mattino successivo non sentì la sveglia, esausta come era per il poco riposo; fu il rumore della porta che sbatteva a svegliarla. Sabrina era uscita ma almeno aveva lasciato i soldi sul tavolo, amara consolazione.
Quel venerdì, Danielle si ritrovò a salire sull'autobus ad un orario insolito per lei e, mentre si guardava intorno distrattamente per trovare un posto vuoto accanto al finestrino, incrociò uno sguardo che non si aspettava. La sorpresa di Peter fu lo specchio della sua. Incontrare i suoi occhi, dopo tanti giorni, la destabilizzò, tanto che cercò di nascondere la sua reazione lasciandosi scivolare a sedere nel primo posto libero.
Danielle non fece caso alla persona accanto, se qualcuno le avesse chiesto di descriverla avrebbe fatto scena muta, indecisa tra una studentessa, un uomo di mezza età o una signora delle pulizie filippina. Non era giusta nessuna delle tre opzioni.
"Ciao piccola." Un tremendo odore di alcol la fece arretrare il più possibile, d'istinto.
Non rispose, sperando che l'uomo si sarebbe stancato e l'avrebbe ignorata; non era il primo ubriaco o drogato che incontrava sull'autobus però solitamente cercava di non sedervisi accanto.
"Che c'è, il gatto ti ha morso la lingua?" insistette.
Danielle rabbrividì e notò, abbandonato sul pavimento, un sacchetto di plastica bianca pieno di bottiglie di vetro. Era pieno giorno e l'autobus era stipato di persone: se il tizio avesse continuato a darle fastidio qualcuno sarebbe intervenuto. O almeno così credeva.
"Le donne amano fare le preziose." Concluse lui, innervosito, prima di appoggiarsi al finestrino e rimanere in silenzio.
Un rapido esame le rivelò che tutti i posti erano occupati; fortunatamente il tizio sembrava essersi addormentato e dopo un paio di fermate si liberò un sedile, dove poté subito trasferirsi.
Quando si alzò per raggiungere l'uscita, una volta arrivata, si sorprese di trovare ancora Peter sull'autobus, aveva pensato inconsciamente che sarebbe sceso alla stessa fermata da cui saliva la sera. La sorpresa la immobilizzò per qualche secondo mentre gli altri passeggeri si mettevano in fila per scendere, così lei rimase l'ultima della coda.
Improvvisamente sentì qualcosa urtare la sua schiena e sobbalzò.
"Ehi piccola." Riconobbe quella voce graffiante, accompagnata dall'odore nauseante di alcol e sudore.
Danielle fece un passo in avanti, addossandosi alla signora in fila davanti a lei, aspettando che l'autobus si fermasse. L'ubriaco, però, non desistette e le si spalmò contro la schiena, con tutto il corpo.
"Non è colpa mia, è l'effetto che mi fanno le belle donne..." Ridacchiò piano, muovendosi contro di lei.
Nessuno si era reso conto di quella sfacciata molestia verbale e fisica mentre Danielle era rimasta impietrita dalla sorpresa.
Non appena le porte si aprirono, si riscosse e si fece largo, spintonando le persone per uscire e guadagnandosi rimproveri. Scese così velocemente da poggiare male il piede, gemette un attimo per il dolore prima di allontanarsi dalla fermata nella direzione sbagliata, ma le lacrime le annebbiavano la vista.
Qualcuno la fermò, poggiandole la mano sulla spalla e facendola quasi urlare dallo spavento.
"Sono Peter, stai bene?"
Si girò, sollevata. "Sì..."
Ma non fu per nulla convincente. "Sei sicura? Sei scesa di corsa e stai zoppicando..."
Gli fu grata che non avesse accennato alle sue lacrime perché si sentiva già sufficientemente in imbarazzo.
"Io..." Tentò di parlare ma aveva il cuore in gola e il respiro accelerato.
"Vieni, sediamoci." Le propose, allora, toccandole lievemente il gomito nel guidarla verso una panchina poco distante.Sofy-chan♡
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<Il treno dell'amore>
RomanceUn autobus, una ragazza sola che compie ogni sera lo stesso tragitto ma forse qualcosa sta per cambiare... Poi c'era lui, il ragazzo misterioso. Cappuccio sempre in testa e cuffie nell'orecchio, non si sedeva mai ma saliva e si posizionava accanto a...