Capitolo 13

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<Mi dica, come sta?> chiese mia madre al medico, un pò titurbante.
<Le condizioni sono critiche, signora Milton. Rufy ha avuto un infarto celebrale, immobilizzando gli arti e causando la formazione di ghiandole, forse per il forte ribasso delle temperature, su tre zampe, di cui dovrebbero essere al più presto operate. Se firmate i vari documenti, possiamo procedere con l'operazione e preparare la sala operatoria numero 5, al momento libera.> spiegò con aria seria colui che stava cercando di salvare il mio adorato cucciolone, in tutti i modi possibili.
<Certo.. mi faccia dare un'occhiata ai documenti e le daremo la nostra risposta al riguardo> disse mia madre, seguendo il dottore in una stanza a me sconosciuta.
Io intanto stavo lì, a contemplare il vuoto, seduta su una di quelle sedie nella sala d'aspetto ad attendere che il mio amico ritornasse da me, ancora più vivo ed energico di prima.
Piangevo senza rendermene conto, avevo fame, sete e sonno allo stesso tempo, ma dovevo restare sveglia per il ritorno di Rufy.
Richard per il momento era andato a prendere qualche stuzzichino alla macchinetta, mentre i miei genitori gironzolavano per il corridoio cercando di mantenere la calma, seguiti dal medico.
<Allora Aida.. purtroppo devono operarlo e se non..> cercò di parlare mia madre avvicinandosi a grandi passi verso la sottoscritta, ma fu interrotta dal mio brusco e inaspettato comportamento.
<La risposta alla vostra richiesta è Si! Rivoglio Il mio Rufy e farò qualsiasi cosa pur di riaverlo fra le mie braccia!> dissi decisa di me, con occhi serrati e pugni chiusi, appoggiati sulle mie ginocchia quasi tremanti.
Rivolgevo lo sguardo in alto, in basso, a destra e a sinistra, dimenandomi come se qualcosa mi desse fastidio, sperando che forse quello che stava accadendo in quell'istante era solo uno dei miei soliti incomprensibili incubi neri e grigiastri con solo una via d'uscita, posta all'estremità di un fosso, che pian piano si chiude, lasciando tutto quello che lo circonda senza luce e senza possibilità di sopravvivere.

<Ho preso questi biscotti al cioccolato.. mangia, dai!> appare improvvisamente Richard, distogliendo la mia mente dai quei frequenti pensieri opachi, porgendo gentilmente il pacchetto dei biscotti e prendendo posto alla mia sinistra.
<Non ho fame.. voglio aspettare Rufy> dissi, fingendomi disturbata dalla sua presenza accanto a me e rivolgendo lo sguardo dal lato opposto al suo.
<Devi mangiare.. quando tornerà, devi accoglierlo con tutte le energie che hai, quindi se non ricarichi il tuo fragile e piccolo corpo, non lo potrai mai e poi mai aiutare!> insistè più e più volte il moro, ondulando il pacchetto davanti ai miei lucidi occhi. In fondo aveva ragione ma.. dovevo attendere Rufy proprio come lui mi ha lasciato entrando in quella sala. Mi ero promessa che nulla mi avrebbe allontanato dal mio migliore amico e così sarà, per sempre!

<Lasciala stare.. È normale per lei comportarsi in questa maniera. Proprio come un tempo..> intervenne mio padre con aria avvolta dal terrore nel ricordare il passato.
<Torna a casa, è già notte e domani devi alzarti presto per lavorare in quel ristorante, dico bene?> proseguì, rivolgendosi al moro.
Richard lavorava da noi 4 volte alla settimana, mentre gli altri giorni restanti, andava in un ristorantino per guadagnare qualcosa in più e permettersi di pagare l'affitto della casa in cui abitava. Non voleva essere di peso ai suoi genitori chiedendo soldi solo per i suoi capricci nel viaggiare per il mondo ed esplorare nuove terre.

<Non si preoccupi di questo, signor Milton. Finché Rufy non uscirà da quella grande porta grigia, io sarò qui con voi ad aiutarvi in qualunque modo, in caso di bisogno> lo incalzò con aria soddisfatta, rivolgendo un tenero e smagliante sorriso.
Questo ragazzo mi stupiva ogni giorno di più.. e pensare che io non faccio altro che comportarmi come una bambina capricciosa e viziata che non vuole dare ascolto a nessuno.

<Ho firmato le carte e pare che l'operazione non toccherà delle parti vitali di Rufy. Durerà circa 3 ore quindi.. manteniamo la calma e speriamo che tutto andrà per il verso giusto. Va bene, Aida?> spiegò con le lacrime agli occhi mia madre, sedendosi accanto a me e stringendomi le mani: probabilmente per darmi forza, speranza o forse solo istinto nell'appoggiarsi a qualcuno quando si è in difficoltà.
Lo stesso fece Richard: prese la mia mano sinistra e la strinse dolcemente con la sua. Quella mano era così calda, morbida e anche di grandi dimensioni, rispetto alla mia: in quel momento come un incendio appena nato in un gran e maestoso bosco, percorreva l'intero corpo, procurandomi dei forti brividi e delle scosse di mal di testa, paragonabili ad un lieve terremoto.

Non tutto è per sempreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora