5 ✘ 𝐒𝐈𝐗 𝐅𝐄𝐄𝐓 𝐔𝐍𝐃𝐄𝐑

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「 𝐂𝐚𝐫𝐭𝐞𝐫 」

«Ciao, Carter. Come ti senti oggi?»
Non mi da neanche il tempo di mettermi seduto, la Brown, che subito inizia con la sua serie di domande quotidiane. Sempre le stesse, sommate per un numero notevole di studenti e moltiplicate per infinite sedute scolastiche.
La Brown è la psicologa dell'Istituto. Una tipa in gamba, se non fosse per il fatto che è sempre troppo sicura di ciò che pensa. A volte occorre il beneficio del dubbio, per questo ogni tanto mi diverto a infangare le sue credenze sul mio conto.
Mi siedo sulla sedia girevole posta davanti alla scrivania. È sempre in ordine, il suo ufficio, davvero non me ne capacito. Non un foglio fuori posto, tutti i tomi di psicologia divisi per edizione, casa editrice e colore. Quasi mi spaventa guardarmi intorno. Mi manda nel panico.

«Come sempre. Lei come sta?»
Il primo metodo per metterla fuori gioco è chiederle come se la passa. Allora la vedi rilassare le spalle e tirare le labbra rosse in un sorriso. L'ho letto in una di quelle riviste qui fuori, quelle tra le quattro copie del giornalino scolastico e i volantini per i corsi extra scolastici. Bisogna chiedere alle persone come stanno, per riuscire a farne ciò che si vuole. Perché non ci sono abituate.
La Brown dice «Tutto bene, grazie per l'interessamento. Ma adesso parliamo di te».
Peró naturalmente con lei non funzionano questi trucchetti; è una psicologa.

Bene, ecco. Io essenzialmente odio parlare di me stesso. È una cosa che ho scritto nel DNA o roba simile. Peró alla fine finisco sempre con il parlare di me, perchè non ho argomenti che vadano di pari passo con ciò che la gente si aspetta io dica. Quindi, insomma, con le dita stuzzico gli strappi del tessuto nel bracciolo della sedia, mentre aspetto la sua domanda. A volte deve proprio tirarmi fuori le parole di bocca.

«A casa tutto okay? Luke, tua madre, la tua sorellina...»

«Luke fa sempre quelle cose da Luke, mia madre invece la vedo solo quando deve chiedermi di tenere un po' la bambina, che piange sempre e non la smette un attimo di rompere. Dave è invisibile tanto quanto mio padre e Hannah, la sua compagna, continua a mandarci messaggi con il suo cellulare per far finta che si interessi a noi, ma in realtà sappiamo tutti che non è mio padre a scrivere. Lui non sa mettere le virgole. Sono sicuro che senza quella donna si dimenticherebbe pure i nostri compleanni. Un paio di anni fa ci ha fatto gli auguri cinque giorni dopo. Me lo ricordo ancora. Cinque giorni passati a dirmi che sì, anche solo una telefonata sarebbe bastata. Nonostante lui abiti a soli cinque isolati da qui. Solo cinque.»

La Brown sposta una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio, guardandomi oltre le lenti dei suoi occhiali enormi. Dico sul serio, le coprono una buona metà del volto.
«E come ti sei sentito, quando si è ricordato di farti gli auguri?»

Mi stringo nelle spalle. «Male, ovviamente! Andiamo, lei come si sarebbe sentita? Forse sarebbe stato meglio se non avesse proprio chiamato, invece di fare la figura del coglione.»

«Carter, niente parolacce qui.» Annuisco e lei riprende da dove ci eravamo interrotti. «Da quel momento il rapporto con tuo padre è peggiorato?»

«In realtà non è mai esistito. Era Luke il suo preferito. Luke era il preferito di tutti. Avevano un rapporto più stretto, loro due. Guardavano insieme le partite e tutte quelle merde in tv, l'NBA e MTV e roba simile. E gli insegnava a giocare a basket e a fare il barbecue.»

«E tu?»

«E io non lo so fare, il barbecue.»

«Intendevo dire; tu cosa facevi quando vedevi tuo padre con Luke?»

«Io me ne andavo da Calum. Abitavamo vicini, a quel tempo. Prima del divorzio dei suoi. Ci crede che quattro adolescenti su sei hanno i genitori separati? La gente non sa più amarsi, e si convince di aver scelto la persona sbagliata appena arrivano le prime difficoltà. Qui ci si arrende facilmente. E poi chi è che ci rimette sempre tutto? I figli. Sono sempre i figli a pagarne le conseguenze.»
Mi sistemo sul posto a sedere perché sto cominciando ad agitarmi, e quando mi agito perdo il controllo e se perdo il controllo sono fottuto.
La Brown sembra leggermi nel pensiero e mi lancia una di quelle palline antistress. Comincio a stringerla convulsamente tra le dita. Tranquillizza davvero.

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