8 ✘ 𝐅𝐈𝐍𝐃 𝐘𝐎𝐔𝐑 𝐍𝐈𝐑𝐕𝐀𝐍𝐀

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「 𝐋𝐮𝐤𝐞 」

«Che sia l'ultima volta, l'ultima che la scuola mi costringe a lasciare il lavoro per qualche stupidaggine che avete combinato.» Mamma fa cadere la borsa sul bancone, proprio come la sera della settimana scorsa, quando io e Michael stavamo per ammazzarci in moto. La sua espressione è la stessa, la rabbia palpabile.
Poggia i gomiti al bancone, si passa le mani tra i capelli con un sospiro sconfortato e poi torna ad agitarsi. Io e Carter rimaniamo in silenzio.
«Organizzare una cosa del genere... E a quale scopo, poi? Dimostrare a tutta la scuola che le istituzioni sono ingiuste? Il mondo è ingiusto, e noi ci siamo dentro fin sopra i capelli. Margaret potrebbe licenziarmi, diamine.»
Mamma lavora come donna delle pulizie nelle camere di uno squallido motel da quattro soldi. Non entra mai nessuno, escluso qualche criminale in fuga dalla polizia una volta tanto, ma a lei piace parlare del suo lavoro come se si trattasse di qualcosa di davvero professionale.
Mi lascio cadere sullo sgabello del bancone, Carter mi affianca pochi istanti dopo. Sta per scoppiare a ridere, ma china il capo e si sfila gli anelli per distrarsi, facendoli roteare sulla superficie in legno graffiato della penisola. Sta cercando di mantenere il suo equilibrio, di controllarsi.

«E se vi avessero espulsi, sentiamo– dove li avremmo trovati i soldi per altre due rette scolastiche? Eh? Il Commissario Clifford ha dovuto pregare la Preside a nome di tutti voi. Se non ci fosse stato lui ora sareste stati tutti espulsi. Tutti quanti! Ma voi ci pensate a queste cose mentre vi mettete nei guai? Ci pensate?»
Mamma inizia a riordinare i giocattoli di Lily sparsi sul tappeto. Lo fa sempre quando è nervosa, mette a posto ogni singola cosa si trovi nel suo raggio di portata. E in più ha finito i calmanti, quindi deve pur tenersi occupata in qualche modo.
«Ma no, ovvio che non ci pensate. Perché penso io a tutto. Alla casa, al cibo, alla bambina, a voi. E voi ve ne fregate! Diamine, se ve ne fregate!»
Fa cadere la scatola di giochi sul tavolo, il tonfo sordo che emette sovrasta un paio dei suoi borbottii. Arraffa i giocattoli e li sbatte dentro il contenitore con frustrazione, giusto per enfatizzare su quanto sia arrabbiata con noi.

Carter serra la mascella. Alza il capo e assottiglia gli occhi. «Stai scherzando?» Si lascia andare in una falsa risata, una di quelle stracolme di rabbia e amarezza che si è esercitato a fare per una vita intera e che ora sono capaci di metterti i brividi.
«Luke si spacca il culo da quando aveva tredici anni per aiutare con i soldi. Ha tre lavori mamma, tre lavori! Io pulisco la casa e preparo il cibo, lavo i vestiti sporchi, vado a pagare le bollette, recito un motto del cazzo in un fast food del cazzo, tu che fai? Oltre a lamentarti di tutti i grandi sacrifici che fai per noi in continuazione, o piangere per un uomo che ti ha abbandonata anni fa con due figli da crescere... cosa fai oltre questo?»
Carter si è alzato dallo sgabello, quello ha slittato due piedi indietro. Punta il dito contro mamma e comincia ad alterarsi. Non va a finire mai bene quando comincia ad alterarsi.

«Non parlarmi con quel tono, Carter David Hemmings. Capirete quando sarete più grandi e avrete una famiglia. Vi ho garantito un tetto sopra la testa fino ad ora. È grazie a me se adesso non siete davanti ad un supermercato a chiedere l'elemosina, o a drogarvi sotto un ponte, o in affido a degli sconosciuti.»
Carter sbotta. «Dici sul serio?»
Mamma si riferisce all'avvenimento di circa tre anni fa, quando mamma e papà hanno divorziato e gli assistenti sociali sono venuti a farci visita. Lì ce la siamo vista brutta. Io e Carter abbiamo rischiato di essere portati via ed essere dati in affido. Quello è stato uno dei rari giorni in cui mamma si è finta una vera mamma, preoccupandosi di cucinarci il pranzo, tagliarci i capelli e chiederci come stessimo. Forse credeva che ci saremmo dimenticati tutti i precedenti se solo quel giorno si fosse comportata in quel modo, convincendo l'assistente sociale che ce la sapevamo cavare anche in tre. Anche se io e Carter lavoravamo nell'officina di Kj Popper e tornavamo a casa la sera con le mani nere e i capelli sporchi di olio per motori, anche se lei spesso si dimenticava di fare la spesa e dovevamo cenare con il latte andato a male trovato in frigo, oppure andare a chiedere dei panini dai Cruz – che la panetteria aveva già chiuso da un pezzo quando tornavamo e gli avanzi li aveva già regalati ai barboni—, e anche se in tre non ce la facevamo davvero.

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