𝐏𝐑𝐎𝐋𝐎𝐆𝐎

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「 𝐋𝐮𝐤𝐞 」

Warren, Michigan
01:13 am

Quando Michael mi ha detto "Ti passo a prendere, ci divertiamo" non pensavo che avesse in programma di fare un salto alla centrale di polizia.

Nota bene: lui è un iperattivo coi controcazzi e alla fine avrei dovuto sospettare che i suoi piani, almeno come si era premurato di spiegarmeli, avevano mal celati buchi d'acqua. È sempre stato abbastanza propenso a cacciarsi nei guai, ed il suo spirito selvaggio non perde mai occasione per dimostrare al mondo di essere fottutamente esagitato.
Ma questa volta credo abbia superato il limite. In tutti i sensi.

«Avete idea di quanto entrambi abbiate rischiato correndo a quella velocità? Di notte? Senza caschi, per giunta? Nelle strade piene zeppe di gente ubriaca o mentalmente instabile? E potevate morire?» la borsa di mia madre si va a scontrare malamente contro il legno della penisola, producendo un fastidioso rumore metallico che mi costringe a socchiudere le palpebre.
Siamo appena tornati dalla centrale. A Michael sono stati detratti tre punti dalla patente e suo padre, il Commissario, era a tanto così da farla a pezzetti davanti ai nostri occhi.

Per tutto il viaggio di ritorno non ho fatto altro che cercare di calmarmi ripetendo nella mia mente i colori delle auto che ci sfrecciavano accanto, mentre mia madre si costringeva a ricordare come si guidasse una macchina e parlava e parlava riguardo ció che sta asserendo anche ora, a un passo da una crisi di nervi.
Macchina rossa, macchina grigia, macchina nera e macchina blu.
Con uno scatto repentino lei sbatte lo sportello del pensile e arraffa il contenitore delle pasticche. Ne butta giù due in un colpo secco, senza accompagnarle con dell'acqua. Questione di pochi secondi e il suo sguardo preoccupato-spaventato-riluttante è di nuovo rivolto a me e non al blister di calmanti.

«Stammi bene a sentire, Luke.» Scandisce le sue parole con estrema maestria, come se passasse ore interminabili davanti allo specchio a interpretare il ruolo della madre a cui frega qualcosa se il proprio figlio esce di notte a sua insaputa, rischiando di spaccarsi il cranio e sfracellarsi sull'asfalto grazie a un suo compagno di giochi poco raccomandabile.
E devo dire che le riesce particolarmente bene.

«D'ora in poi sei in punizione. Finchè non imparerai a comportarti come un ragazzo della tua età, diamine.» Mi punta il dito contro.
È sempre questo il punto: "Diamine, sei adulto, Luke", "Diamine, non sei più un bambino", "Ormai hai quasi diciotto anni; sei grande, diamine".
Accollano tutte quelle responsabilità e alla fine bisogna adempierle, per non risultare una delusione per gli altri e te stesso. Ci si comporta davvero come se fossimo grandi e, quando in tempi futuri si ripenserà al passato, non verrà in mente nulla perché abbiamo sprecato i nostri tempi d'oro a fingere di essere una versione troppo matura di noi stessi. Avremmo buttato il nostro tempo. Niente ce lo darà indietro.

Quindi ora mi tocca rimanere in silenzio. In ogni caso, ora ogni mia parola risulterebbe vana; non apro bocca da prima che mi venisse a prendere con la macchina di Dave e non ho intenzione di ribattere o aggiungere altro. Tanto entrambi sappiamo già che lo dice solo per attenersi al copione; domani saró di nuovo libero di andarmene dove mi pare, quando mi pare e con chi voglio. Il mio rendimento scolastico è impeccabile e non ho mai portato rancore a lei e papà dopo il divorzio, ció significa che non ha nulla su cui basarsi, se non una stupida corsa in moto tra le strade completamente desolate della cittadina.

Il problema compare quando è Carter a commettere anche il benché minimo errore. Allora si che sono cazzi. Le urla rischiano di spaccare i vetri e la casa si trasforma in un vero e proprio campo di battaglia. Io che sto sempre dalla parte di mio fratello, mio padre che sta con mamma (sono quei rari momenti in cui si trovano d'accordo su qualcosa) e poi c'è Lily che è neutrale, tanto nei suoi undici mesi d'età non è che possa fare granchè. E Dave pure. Anche se lui ha cinquant'anni suonati.

Gli occhi di mia madre sono ancora puntati su di me, seduto sullo sgabello a rimuginare su quanto la mia vita sia fottutamente inutile nell'unità familiare. Faccio di tutto per tenere uniti i pezzi sfalsati del puzzle, utilizzo più scotch possibile, ma basta il minimo impatto con il mondo esterno e l'adesivo si stacca, facendo puntare tutti i tasselli in direzioni diverse.
«Okay», dico. E basta. So che si aspetta dica qualcosa di più, che inizi a darle ragione o chiederle scusa, per questo sembra contrariata.
«Okay? Per l'amor di Dio, non è "Okay", Luke!»
E per un po' non capisco se si riferisca all'ultimo avvenimento clou, o alla nostra famiglia. In ogni caso non è okay un bel niente.

«Lily dorme. Potresti abbassare la voce?» A volte devo ricordare alle persone che vivono tra queste mura che ci sono altri esseri umani, dentro il loro perimetro.
E in più vorrei ricordarle che nessuno vuole sentire le urla della bambina per tempi ancora più prolungati. Già non fa altro che piangere dalla mattina alla sera, se adesso si svegliasse potremmo tutti mandare a puttane i sogni d'oro. Vicini inclusi.

Mamma non aggiunge altro; tira un sospiro affranto e mi rivolge un ultimo sguardo autoritario prima di defilarsi in camera da letto, lasciandomi solo a rimuginare su quanto accaduto. In questo momento non ho neanche la forza mentale di imporre al mio culo di staccarsi e trasportarsi fino al letto della mia stanza. E sono sicuro di trovarci Carter intento a rollarsi una canna con la torcia del cellulare in bilico sotto il braccio, perché é talmente svogliato da non riuscire nemmeno ad accendere la luce, comunque sia già pronto a sbattermi in faccia l'ennesima ramanzina della serata. Già me lo immagino, a stilare un discorso dal linguaggio ricercato per tentare di riportarmi sulla retta via, mentre si ferma alcuni secondi per imprecare contro le cartine di merda di Calum e la pessima qualità della merce.

Invece quando metto piede in camera non trovo nessuno. Il letto di mio fratello è disfatto, esattamente come lo aveva lasciato stamattina, c'è del tabacco sparso sul comodino e metà del suo armadio riverso a terra. Ha avuto uno dei suoi momenti.

Estraggo il cellulare dalla tasca della felpa e digito in fretta il suo numero. Risponde dopo il terzo squillo.
«Hey, fratello» la sua voce è come un toccasana per le mie orecchie.
«Ciao. Sei ancora vivo?»
«Manca poco»
«Provaci.»
Poi chiudo la chiamata e mi lascio cadere sul letto.
Il fatto che mi abbia risposto è buono: quando ha uno dei suoi brutti periodi e decide di sparire dalla circolazione non risponde mai al telefono. Bisogna rintracciarlo tramite tecnologie sovrannaturali per scoprire dove è andato a finire.
Ma siamo gemelli, e internet dice che tra gemelli ci sono affinità speciali, e lo dice pure quell'hippie esoterico di Ashton. Quindi a me basta sentire la sua voce per capire che sta bene.

Mi lascio cadere sul mio letto, perfettamente in ordine, al contrario di quello di Carter, mentre osservo il soffitto come fossi ipnotizzato. Bianco. Michael. Carter. Lily. Luke. Bianco. Macchina rossa.
Afferro il portatile sulla scrivania. Devo smontare e rimontare alcuni pezzi prima di farlo accendere; è più incasinato della mia vita, tanto che ho sempre paura possa prendere fuoco da un momento all'altro.
Scorro un po' nella home, leggo alcune note scritte da mio fratello – anche se non dovrei, mi ha categoricamente ordinato di lasciargli i suoi spazi — e quando sono su YouTube finisco a guardare dei mini filmati di prevenzione suicidio. Sono una schiera infinita. Continuo a guardarne uno dopo l'altro, finché scoccano le quattro del mattino e sono arrivato alla conclusione che tutti quei filmetti non sono altro che spunti per nuovi metodi di suicidio e, se guardati dagli occhi sbagliati o indisposti di qualcuno che vuole farla finita, non serviranno come cartello d'avvertenza. Bensì come uno con su scritto "tirare dritto" posto davanti a un precipizio.

A nessuno importa del resto. Tutti enormi, ultragalattici narcisisti.
Chissà se Carter li ha mai guardati.

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