「 𝐋𝐮𝐤𝐞 」
Mi sveglio con un mal di testa tremendo e il cellulare premuto tra il cuscino e la guancia, gli occhi si chiudono quando incontrano la luce artificiale prodotta dal lampadario. Devo essermi addormentato al telefono con Maya, ieri notte.
Carter è in piedi, vestito di tutto punto e seduto sul suo materasso. Mi sta osservando con un angolo della bocca alzato e quella sua fossetta malandrina.
«Cosa», chiedo, strofinandomi le palpebre con il dorso della mano. Drizzo la schiena e lo osservo stringersi nelle spalle. Ha qualcosa di strano, lo intuisco dal modo in cui è seduto. Sembra più posato del solito. I piedi sono perfettamente allineati sul parquet e le gambe piegate a formare un preciso angolo retto.
L'indice della mano destra picchietta sulla stoffa dei suoi skinny.
«Niente. Solo, muoviti o faremo tardi.»
E un normale Carter Hemmings non avrebbe mai pronunciato queste parole. Anzi, non mi avrebbe parlato, proprio come ha continuato a fare per una settimana da quando abbiamo discusso l'ultima volta. Un normale Carter Hemmings se ne sarebbe infischiato di me e la scuola, continuando a dormire fino alle sette e venti, o trenta, per poi correre come un esagitato per strada facendo rischiare la vita a entrambi almeno tre volte.
Invece il Carter Hemmings che è davanti ai miei occhi stamattina ha lo sguardo attento e sembra tutt'altro che una persona spericolata.
«Guidi tu, oggi» e mi lancia le chiavi della Furia.
Il fatto che mi faccia guidare la moto al posto suo mi fa aggrottare le sopracciglia. Mi sta visibilmente prendendo per il culo.
«Tutto okay?» chiedo, sia perchè oggi non sembra scazzato come tutte le altre mattine, e pure perchè sta infilando nello zaino dei libri. Libri scolastici. Quelli che suppongo essere giusti, in base al suo orario.«Tutto okay, perchè? Sono ammesso con riserva, ho deciso di prendere il toro per le corna e convincere la Preside del fatto che sono uno che ci sta. Credi sia convincente?»
Allarga le braccia a mostrare il suo abbigliamento; maglietta nera a maniche lunghe, skinny jeans neri, Vans old school ai piedi e i riccioli di capelli stranamente ordinati. Nulla di diverso nel suo look, se non il sorriso da persona che sa ció che sta facendo.
Annuisco. «Sì. Davvero convincente. E perchè questo?» Accenno alle chiavi tra le mie mani. Lui si stringe nelle spalle di nuovo. «Voglio risparmiare le energie. Sai, tutte quelle lezioni, insomma.»
Faccio un cenno con il capo, per fingere di credere alle sue parole. Non ricordo abbia mai mostrato interesse verso le lezioni scolastiche. Di solito va a scuola solo per poterci andare in moto.Dopo essermi vestito in fretta scendo in soggiorno. Mia madre, Dave e la bambina stanno facendo colazione, o almeno, ci provano. Lily sta piangendo come suo solito, mamma ha il mento poggiato sulla mano destra, che tiene un biscotto da poco inzuppato nel latte, e progressivamente spezzatosi facendo finire l'altra metà sulla tovaglia. Ha gli occhi semichiusi e Dave, al suo fianco, fa saltare lo sguardo da Lily a mia madre a frequenza alternata.
Prendo una fetta biscottata alla marmellata dal tavolo. Poi bacio una guancia della donna esausta davanti a me e lei sorride, risvegliandosi dallo stato catalettico in cui era scivolata.
«Tu non mangi, Carter?» Dave guarda mio fratello. Lui si ciondola sui piedi e scuote il capo. «Non ho fame. Prenderó qualcosa più tardi.»Si sente in evidente soggezione sotto gli occhi scrutatori di mamma, il che lo fa sospirare. Dentro di me spero che l'equilibro sereno in lui non si spezzi. Quando le persone lo fissano si sente a disagio, e se si sente a disagio finisce per fare lo stronzo. Però questa volta afferra un biscotto e lo mangia sotto lo sguardo di tutti, giusto per essere sicuro che mamma lo veda e non inizi di nuovo con le paranoie inutili.
«Hai preso le pasticche?» il tono di nostra madre sembra voler cercare una spiegazione plausibile per l'improvviso buon umore di suo figlio. Sembra lo stia mettendo alla prova.
«Sì, mamma, come tutte le mattine. Sto bene.»
Carter sta bene; il suo volto è del solito colorito rosato e gli occhi più luminosi del solito. L'azzurro delle sue iridi fa pendant con il cielo che si staglia oltre la finestra.
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BORED
Hayran KurguSiamo i sognatori, gli eterni annoiati, quelli che sognano in grande ma vivono in piccolo. E che hanno un sogno nel cassetto, o forse sono vuoti di personalità. Ma sanno rendere l'ordinario straordinario, e tanto basta per sopravvivere in questa cit...