「 𝐋𝐮𝐤𝐞 」
Oggi è sabato. Perció siamo liberi di lasciarci soggiogare a piede libero per strada, perché non siamo tenuti a fingere di star avendo un'educazione culturale a scuola. Quando mi sveglio e scendo in soggiorno trovo Carter lungo disteso sul divano, gli occhi chiusi e la Tv ancora accesa sul canale dei cartoni animati. Doveva essere ancora sveglio quando mamma e Dave sono tornati.
Afferro il telecomando sul tappeto e spengo la televisone, poi vado in cucina e preparo la colazione alla bell'e meglio, mettendo in tavola caffè e biscotti perché Carter mangia solo quelli a colazione. Allora vado in soggiorno a svegliarlo, ma lui è già in piedi e si stropiccia gli occhi.
Non ci diciamo nulla, come sempre, e mangiamo quella roba in silenzio. Il rumore dell'orologio è tutto ció che si riesce a sentire. Oltre alle urla della bambina che, dal piano di sopra, irrompono in tutta la loro estenuante forza di spirito come se si trovasse a due passi da qui, a metà tra un biscotto nella tazza e il vapore del caffè caldo.«Cristo, mamma e Dave dovrebbero portarla a fare qualche cazzo di visita. Non è normale che pianga così tanto.»
Prima frase del giorno, e naturalmente è una lamentela. Comunque sia mi ritrovo a dargli ragione, anche se non annuisco per evitare di renderlo orgoglioso della sua intuitiva capacità oratoria. Quando finisce i biscotti sparecchia la sua parte – cosa alquanto sorprendente se è Carter Hemmings a farla— e si appoggia al bancone della cucina.
Indica il forno a microonde «Ieri sera non hai mangiato?», chiede. Scuoto il capo. Il piatto di pasta che ha lasciato per me è ancora lì.
«Avresti dovuto mangiare.»
Carter a volte ha questa fissa del controllare se tutti attorno a lui hanno mangiato. Lo fa perché Audrey fino a, tipo, otto mesi fa saltava pasti in continuazione, tanto da sprofondare in un vero e proprio disturbo alimentare. E allora a Carter sono venute le paranoie.«C, sono a posto. Sto mangiando.»
Giuro su Dio, certe volte inizia pure a dare di matto e ad arrabbiarsi se qualcuno salta i soliti pasti quotidiani. È una cosa che lui non si accorge neanche di fare, probabilmente. Una volta mi ha svegliato nel cuore della notte per chiedermi se avessi cenato, poi quando gli ho detto di no mi ha tirato per i capelli fino alla cucina piazzandomi un piatto di crocchette davanti. A volte è proprio fuori.
Però dopo aver risposto alla sua domanda lo vedo rilassare le spalle e dire: «Io e Calum avevamo pensato di andare al Drive-in, sta sera. Con il resto della cricca. Ti va?»«Perché me lo chiedi come se pensassi già che io non voglia venire?» Lo conosco bene; crede di essere socialmente all'avanguardia perché esce tutti i giorni mentre io preferisco bazzicare nel tragitto tra casa nostra e quella di Michael.
Aggrotto le sopracciglia e ficco la tazzina del caffè nel lavabo.
«Non lo so», lui si stringe nelle spalle. «Ho pensato che magari avresti preferito rimanere a casa come fai di solito.»
«Parli sempre di me come se fossi un'asociale. Dio, Carter, la vuoi smettere? Solo perchè siamo agli antipodi non vuol dire che io sia asociale o scemo o tutte e due le cose.»«Non ho mai detto questo.»
«Lo fai sottintendere ogni volta che apri bocca.»
Ghigna. «Forse perché sei davvero asociale e scemo, e forse lo sai pure tu».
«Se fossi scemo non avrei una media scolastica più alta della tua» lascio la mia tazza nel lavandino prima di incrociare le braccia al petto. La discussione delle sette e quaranta di mattina è un classico per noi, quasi mi sembrava strano che fossero già le sette e cinquanta e non avessimo cominciato le danze. È inevitabile.«Lo sai che la media scolastica non fa l'intelligenza di una persona, lo dici pure tu. Conosco menti brillanti che non arrivano alla sufficienza.»
Rido alla sua espressione di sfida. «Ah, sì? E chi sarebbero, queste menti brillanti?» Quelli con i suoi stessi problemi psichici, ci metto la mano sul fuoco.
Lui si indica. «Io, me stesso e me.»
Gli scocco un'occhiataccia e decido di lasciar perdere, che tanto Carter è nato Carter e bisogna accontentarsi di ciò che la vita ha da offrirci.
«Buongiorno», dice mamma appena entra in cucina, i capelli castani con qualche ciocca bianca raccolti in una pettinatura scomposta, e due profonde borse scure sotto gli occhi. Lily è tra le sue braccia e, inutile soffermarcisi, frigna come una disperata. Questa bambina ha solo undici mesi ed è già depressa. Brutta cosa, i geni.
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BORED
Hayran KurguSiamo i sognatori, gli eterni annoiati, quelli che sognano in grande ma vivono in piccolo. E che hanno un sogno nel cassetto, o forse sono vuoti di personalità. Ma sanno rendere l'ordinario straordinario, e tanto basta per sopravvivere in questa cit...