3. Alive

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Noah era rimasta sveglia fino a tardi per colpa del libro che Bradley le aveva prestato, e non aveva chiuso occhio. Era ancora più stanca del solito.
La trama era molto bella, ma non riusciva a credere che lui non lo avesse letto. Sembrava scelto apposta per lei, dato tutto quello che era successo.
Lo aveva finito alle 2 di notte, e aveva davvero bisogno di vedere Brad per parlarne.
Dovevano vedersi davanti al teatro, così era stato programmato. Noah fremeva al solo pensiero. L'idea di rivedere quegli occhi marroni, quei capelli castani, quelle fossette, era così invitante.
Sapeva che non si sarebbe mai liberata di lui, che non avrebbe mai vissuto i suoi ultimi giorni da sola. Era rassicurante.
Eppure, era anche molto egoista. Brad avrebbe sentito la sua mancanza, quando se ne sarebbe andata. E stargli accanto nei suoi ultimi momenti avrebbe reso il tutto peggiore.
Noah si truccò un po', cercando di apparire accettabile, ed uscì di casa avvolta nel suo piumino verde.
Sua madre e suo padre non sapevano niente di ciò che era accaduto il giorno prima, né di ciò che stava per accadere. Perché avrebbero detto le stesse cose che Noah pensava, ma che non si decideva ad accettare.
Che gli avrebbe fatto del male, che è un'idea assurda vedersi con un ragazzo quando si è in punto di morte.
Camminò nella trafficata Londra fino ad arrivare alla fermata dell'autobus. Si sedette nel posto invalidi, il più vicino alla porta d'ingresso ed uscita.
Si sentiva sempre più stanca man mano che i giorni passavano, non poteva mentire. Era come se, quando camminasse, ci fossero dei blocchi di cemento da trasportare, che rendevano il tutto più lento, più affaticato.
Aveva sentito sua madre piangere, quella notte. 'Sta morendo', diceva. E suo padre la zittiva, la stringeva a sé.
Credevano che Noah non stesse sentendo, ma si sbagliavano. Sbirciava dallo spiraglio che la porta lasciava, e combatteva contro se stessa per non piangere come la madre.
Sapeva che stava morendo, lo sapeva eccome. Ma questo non voleva dire che lo accettava.
La gente in autobus la guardava male, probabilmente perché credevano che fosse una ragazzina come le altre che occupava il posto degli invalidi senza permesso.
Peccato che lei ce l'aveva, eccome.
Alla fermata giusta scese dal mezzo, liberandosi da quegli sguardi di ghiaccio.
Era ora dell'appuntamento, e Brad ancora non si vedeva.
Storse il naso, e si alzò sulle punte dei piedi, cercando di scorgere la sua chioma riccia e castana.
Delle mani le si posarono sui fianchi, e sussultò, girandosi.
Quei capelli erano di fronte a lei, insieme a tutto il resto.
Noah sorrise timidamente, e affondò le mani nelle tasche del piumino.
"Temevo che non venissi." confessò il ragazzo, aprendo il volto in uno dei suoi magnifici sorrisi.
"Sono una ragazza di parola."
Lui rise, e si passò una mano fra i capelli.
"Allora? Dammi gli spartiti." disse Noah, arrivando dritta al punto come suo solito.
"Ce l'ho, tranquilla. Ma prima devi fare la cosa divertente."
La ragazza fece per imprecare, e gli diede un leggero pugno sulla spalla, per quanto la sua forza minima glielo permettesse.
"Te lo scordi, Brad. Dammi quei cavolo di spartiti."
Bradley sogghignò, e le afferrò una mano, tirandola fuori dalla tasca.
"Te ne andrai per sempre, se lo farò."
Il suo tocco era caldo, deciso.Umano. Ed era da tanto che unumano non la toccava con tutto questo amore, che la faceva sentire bene, al di là di tutto il resto.
"Non sono così crudele."
"Non ti credo, cara Noah. Saresti capace di inventarti che è per il mio bene, e cose del genere."
Noah alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Era esattamente ciò che avrebbe detto. Come faceva a capirla così bene?
"Bradley Will Simpson, inizi a diventare monotono."
"Questa era brutta. Poi dici che non sei crudele."
A Noah scappò una risatina, che soffocò nella sciarpa che portava al collo.
"Dimmi cos'è questa cosa divertente, sennò non la faccio."
Lo sguardo di Bradley si illuminò, trasmettendo ancora una volta le sue emozioni. Non lasciò le mani della ragazza, anzi, la guidò fino ad una moto rossa, parcheggiata ad un lato della strada.
Noah alzò un sopracciglio, vedendolo afferrare due caschi.
"Mi prendi in giro, non è così?"
Lui alzò lo sguardo verso di lei, quasi come se si fosse dimenticato della sua presenza, e le porse uno dei caschi.
"Ho la faccia di uno che scherza, per caso?"
Noah scosse forte la testa, mentre il ragazzo indossava il suo casco argentato.
Era ridicolo anche solo pensarla, una cosa del genere. Stava morendo, era troppo stanca, ed affrontare un viaggio in moto sarebbe stato davvero troppo.
Odiava Brad per averle offerto una cosa del genere, sapendo che era malata. Perché lei avrebbe davvero voluto salire su quel veicolo con lui, non poteva negarlo.
Ma non avrebbe mai potuto farlo, mai.
"Nemmeno io sto scherzando, Brad. Non salirò su quel coso. Non posso."
Brad allacciò il cinturino del casco, ed alzò gli occhi al cielo, imprecando sottovoce.
"Dio, ancora insisti con questa storia?"
Appena si erano conosciuti, la storia della paura psicologica era apparsa carina. Adesso, Noah iniziava seriamente a dubitare dell'intelligenza del ragazzo. Si rendeva conto che era davvero malata di leucemia? Che non era una stupida favola a lieto fine?
Voleva davvero che lo fosse, con tutto il cuore.
Voleva vivere la sua vita per intero, imparare a fare tante cose. Come suonare altri strumenti, cantare, dipingere. Più di tutto, voleva viaggiare. Non era mai uscita dal suo paese per colpa della sua stupida malattia, e si disperava per questo. Voleva anche vivere con Bradley, per sempre.
Erano tutti sogni stupidi, che non avrebbe mai realizzato. Sembrava l'unica a capirlo, tra i due.
"La vuoi smettere?!" urlò la ragazza, sentendosi frustrata. "Non ce la faccio, okay?! E stavolta non è solo una porta! Non ce la faccio e basta!"
Sentiva le lacrime ardere nei suoi occhi, ma le trattenne. Era già debole di suo, piangere avrebbe solo peggiorato le cose.
Bradley la fissò per qualche secondo, con la mandibola serrata. I suoi occhi erano vacui, come quando lei lo aveva rifiutato. Faceva male vederlo così.
"Certo che ce la fai."
Per la prima volta da quando Noah lo conosceva, la sua voce stava tremando.
"No, Brad." sussurrò lei. "Non posso."
Fu Brad a piangere per primo, a mostrarsi debole. La abbracciò forte, mozzandole il fiato. Un contatto così diretto era completamene nuovo, per lei.
Farfalle impazzite iniziarono a volare nel suo stomaco, e sentì le gambe tremare.
Il suo cuore batteva più forte, galoppava, e fermarlo era qualcosa di impossibile.
Dopo qualche istante Bradley sia allontanò asciugando gli occhi sulla manica del giubbotto, cercando di ricomporsi.
Era inutile. Noah lo guardava fisso da quando aveva iniziato a piangere, sentendosi uno schifo totale.
"Noah, adesso ascoltami bene."
La voce del ragazzo era tornata ferma, e le poggiò le mani sulle spalle, stringendole forte.
"Quando dico che hai paura di vivere non intendo cose importanti come la vita stessa, va bene?"
La ragazza scosse la testa, decisamente disorientata da quelle parole, senza senso.
"Io.. intendo cose come queste. Vivere è semplice, va bene? Si può vivere anche cento anni, ma se non ti godi tutto, allora è come essere morti dal principio." spiegò. "Vivere è un semplice bacio, un abbraccio, un 'ti amo.' Vivere è vedere film idioti con un ragazzo che ti fa ridere, leggere libri che ti fanno stare male. Vivere è andare in moto a velocità supersonica ignorando le forze che vengono meno. Vivere è la felicità che si prova quando si riesce ad aprire un portone pesante e si credeva di non riuscirci mai. Vivere è non avere paura, va bene?"
Si avvicinò di più al suo volto, facendole respirare la sua stessa aria.
"Ti manca poco da vivere, lo so bene." terminò. "Ma tanto vale vivere la vita che ti rimane per davvero, non credi?"
Noah sentiva le lacrime lottare ancora di più per uscire, ma non aveva intenzione di accontentarle.
Si limitò a prendere il casco dalle mani di Bradley, e ad allacciarselo. Il ragazzo la guardò sbigottito, ma non commentò.
Montò sulla moto, sbloccando il cavalletto e accendendo il motore.
"Sali, dai."
Noah si fece coraggio e slanciò una gamba dall'altra parte del veicolo, con successo. Si strinse forte al cappotto di Bradley, senza aspettare il suo permesso.
I cuore le batteva forte nel petto, sentiva l'adrenalina scorrere nel suo sangue a velocità supersonica.
Brad iniziò a muovere la moto, piano. Noah sentiva il suo respiro accelerato, e chiuse gli occhi, per vivere appieno quell'esperienza.
"Senza paura?" chiese Brad, quando erano sul punto di imboccare una strada di Londra.
"Senza paura." rispose lei.
Il ragazzo accelerò di colpo, lanciando un grido di gioia, e facendo fare un balzo al cuore di Noah. Ella si aggrappò di più a lui, quasi soffocandolo. Era preoccupata, ansiosa, stanca, tutto quello che potete immaginare. Ma in lei non c'era traccia di paura.
Anche Noah urlò di gioia, sentendola fuoriuscire da tutti i suoi pori
Bradley rise, andando sempre più forte.
Il vento scompigliava i capelli di Noah, nonostante fossero sotto il casco. Le sue gambe tremavano per via del motore che rombava, ma si sentiva libera.
Libera di vivere.
Bradley glielo aveva ripetuto così tante volte, e lei era rimasta nell'ignoranza, senza capire il vero significato di quelle parole, ciò che volevano esprimere.
Si sentiva sciocca, adesso. Sciocca per non essersi goduta ogni istante di vita che le rimaneva, ogni frazione di secondo.
Il calore che Brad emanava la avvolgeva come una coperta, la proteggeva dal vento freddo che sbatteva sui loro corpi.
Si sentiva tanto stanca.
Ma non aveva intenzione di fermarsi. Avrebbe potuto svenire, andare all'ospedale. Non le interessava.
Si fermarono qualche minuto dopo, molto lontani dal punto di partenza.
Brad parcheggiò il veicolo vicino al marciapiede, e disse a Noah di scendere.
Ma lei era troppo debole, riusciva a malapena a parlare, a respirare.
Così il ragazzo sospirò, e scese per primo. Poi la prese da sotto le ascelle, e la aiutò a tornare a terra.
La testa le girava, si sentiva crollare. Ma era viva. Per la prima volta dopo tanti anni, lo era per davvero.
"Bello, eh?" chiese il ragazzo, con un sorriso più ampio di prima e gli occhi che scintillavano dall'emozione.
Noah non rispose, gettandogli le braccia al collo, e cominciando a piangere.
Non erano lacrime tristi, affatto. Erano lacrime di gioia, di riconoscenza verso un ragazzo che a malapena conosceva, ma che la aveva capita meglio di quanto chiunque avesse mai fatto.
Brad la strinse a sé, la sorresse, impedendole di crollare.
"Brad.. grazie."
Le parole di Noah venivano soffocate dalla spalla del ragazzo, ma lui la capì. Perfettamente.
"Hai visto? Non era difficile."
La voce di Bradley era rassicurante, dolce. La calmava.
Era come un cielo azzurro dopo un mare in tempesta, il silenzio dopo un terremoto. Era lo zampillio di una fontana dopo uno tsunami, il sorriso dopo un pianto.
"Hai ragione." Confessò Noah, ancora avvolta al suo corpo, senza voglia di allontanarsi. "Ho paura di troppe cose."
Il ragazzo rise leggermente, stringendola ancora più forte, per quanto era possibile. La gente li guardava straniti, li indicava anche, a volte. Ma a loro non interessava.
Poteva sembrare una cosa ridicola, quel viaggio in moto. Ma non lo era. Perché era come se Noah avesse dormito per metà della sua vita, e si fosse svegliata solo adesso. Aveva capito che le sue paure servivano solo a bloccarla, a impedirle di vivere la vita che le rimaneva come desiderava, e non come gli altri si aspettassero che facesse.
"Ma sai qual è una cosa di cui non ho più paura?" continuò, lasciando che lui le accarezzasse la schiena, che il suo tocco la infuocasse, che la facesse sentire più viva di quanto non si sentisse prima.
"Quale?" replicò Brad, con il naso ad odorare i suoi capelli, così profumati di vaniglia.
"Questo."
Senza nemmeno pensarci, la ragazza alzò leggermente la testa, e fece scontrare le loro labbra.
Lui fu colto di sorpresa, ma si abituò presto, inondato dall'improvviso amore di Noah.
Insieme, erano la perfezione. Insieme, potevano fare qualsiasi cosa.
Brad la teneva per la vita, attento a non farla crollare, a sorreggerla sempre, qualsiasi cosa fosse successa.
E Noah accarezzava i suoi capelli ricci sulla nuca, non pensando più alle conseguenze di quell'amore così sbagliato, così strano.
Sapeva solo che lo amava.
E che non poteva evitarlo, che era inutile lasciare che la paura di vivere influisse anche su questo aspetto della sua vita.
E poi, Brad avrebbe sofferto comunque, quando lei sarebbe morta. Se non fossero stati insieme, sarebbe stato addirittura peggio.
Perché il loro amore riusciva a fermare il tempo, a far si che un per sempre fosse racchiuso in un momento.
Noah allontanò di poco le labbra da quelle di lui, che aveva un sorrisetto stampato in faccia, che nessuna tragedia o avvenimento orrendo avrebbe potuto spegnere.
"Stai imparando ad accettare i miei consigli, vedo."
La ragazza rise, e abbassò di poco lo sguardo.
"Sai che siamo sbagliati, vero?"
Lui scosse la testa, e diede un buffetto sul mento di Noah, costringendola a guardare i suoi occhi castani.
"È la tua malattia ad esserlo. O forse il mondo in generale. Non lo so. So solo che noi non lo siamo."
Noah strinse forte la sua mano, per la prima volta senza paura delle conseguenze.
"Dici davvero?"
"Non sono mai stato così sincero con te."
Lei e Bradley non avrebbero mai avuto un lieto fine, lo sapevano bene entrambi.
La fine della loro storia non sarebbe stata una proposta di matrimonio, o la notizia di essere incinta. O meglio, non sarebbe stata come quella degli innamorati dei libri o dei film, mano nella mano, aspettando la fine insieme. Lei sarebbe morta prima di lui, molto prima. Eppure, sembrava che non importasse, che tutto il tempo che avrebbero passato insieme avrebbe colmato quello in cui non lo avrebbero fatto.
"Brad, sai che un giorno morirò, vero?"
Il suo sguardo si indurì di poco, ma non smise di essere quello dolce di sempre.
"Si, certo che lo so."
Lo diceva come se fosse normale, come se per lui fosse indifferente. Naturalmente, Noah sapeva che che non era così, che di lei gli importava molto. È tutta colpa della nostra società, che insegna ad avere un cuore di pietra anche quando non si dovrebbe.
"è probabile che tu perda la tua spavalderia, come è successo nei milioni di libri e film che ho letto. Non voglio che accada, va bene?"
"Mi stai dicendo di non soffrire quando arriverà il momento? Perché credimi, mi stai solo facendo deprimere."
"Io.. ti sto solo pregando di non rimanere spezzato a lungo."
Per un po' nessuno dei due aggiunse altro, troppo provati da quell'immensa verità, che li travolse tutta in una volta.
"Ci proverò, lo prometto." Disse infine Brad, stringendo forte la mano di lei, forse timoroso che, se l'avesse lasciata andare, la avrebbe persa per sempre.
Noah lo baciò di nuovo, ritrovandosi ad assaporare le sue labbra, che aveva sognato tanto volte. Era come se questo fosse un altro dei suoi sogni, in cui finalmente si sentiva a suo agio fra le sue braccia, in cui non aveva paura. In cui stava bene.
"Senza paura, va bene?" chiese la ragazza.
"Senza paura."
Sapeva che il mare in tempesta dentro di lei non si sarebbe mai placato del tutto, dopotutto. Sapeva che il terremoto sarebbe potuto tornare da un momento all'altro. Sapeva che perfino lo zampillio della fontana era pericoloso. E sapeva che, anche con il sorriso, l'istinto di piangere di nuovo non se ne sarebbe mai andato. Ma il cielo sereno ci sarebbe stato comunque, le scosse sarebbero terminate per un po', lo zampillio la avrebbe tenuta a bada per qualche tempo, e il suo sorriso avrebbe illuminato le poche giornate che le rimanevano.
Era il meglio che potesse sperare.

Red | Bradley SimpsonWhere stories live. Discover now