Capitolo 25

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OTTOBRE 2014

"Hai portato quello che ti ho chiesto?"

"Calma fratello, credo che tu vada troppo di fretta", rispondo contando un gruzzoletto di soldi.

Leggo negli occhi azzurri del ragazzino terrore e non fa altro che camminare avanti e indietro innervosendomi.

Ispiro l'ultimo tiro di canna e posando il malloppo di carte da 500 euro nella tasca, la getto e la spengo con i piedi.

Ci troviamo in un vicoletto deserto, lontano dalla gente, in modo da svolgere la questione in tranquillità.

Il cielo si è coperto di nuvoloni grigi e la pioggia inizia a battere sul suolo.

"Quanti anni hai?", chiedo alzando il mento.

"Quindici", glissa inserendo le mani nella tasca dei pantaloni e abbassando lo sguardo.

"Quindici? Non sarai troppo piccolo per farti di sta merda?"

"Eppure sembra che della stessa merda ti faccia anche tu", sbotta impavido.

"Non alzare la cresta con me, moccioso. E comunque sei troppo piccolo, smamma", gli rivolgo le spalle e mettendo il cappuccio sulla testa per non bagnarmi dall'acqua che inizia a scendere più veloce dal cielo, mi incammino verso casa.

Questo lavoro è uno schifo, ma devo pur fare qualcosa per aiutare casa.

Da quando la mamma è morta tutto è cambiato. Mio padre si sta spegnendo ogni giorno che passa... e io quasi quasi non ci sono più.

È come se mi fossi perso in un labirinto non riuscendo più a trovare la via che mi riporti a casa. La via che faccia ritrovare me stesso.

E ora non posso spacciare ad un ragazzino quindicenne. Come andrebbe avanti la mia vita? Inizierei a non farmi scrupoli, ad essere indifferente a tutto e a tutti.

"No, aspetta! Io ho bisogno di questo. Non te ne andare!", grida il ragazzino che sento avvicinarsi dai passi che battono sulle pozzanghere.

Fingendo di non averlo sentito continuo a camminare per i fatti miei seminandolo.

Alzo lo sguardo verso il cielo e, per nascondere le lacrime che mi rigano il viso, lascio che le gocce di pioggia cadano su di me.

A passo spedito raggiungo la fermata dell'autobus riparandomi sotto la tettoia.

Noto subito una figura femminile, che nasconde il viso nel cappuccio nero della felpa, nella quale ha inserito le mani nelle tasche. I suoi capelli lunghi biondo cenere le ricadono su tutto il corpo.

Sono chilometrici.

"Mi domando perché mi fa schifo
la mia faccia, a volte sì e volte no
perché a volte voglio avere
solo quello che non ho
mi domando soltanto perché
Gesù Cristo è morto in croce per me.
Vorrei sentirmi libero da questa onda
libero dalla convinzione
che la terra è tonda
libero, libero davvero
non per fare il duro
libero, libero dalla paura del futuro"

Le parole della canzone "Libero" di Fabrizio Moro rimbombano dalle cuffiette della ragazza riempiendo quel vuoto assordante dentro di me.

Quello che non dimentica il cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora