Religioni mediorientali

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Enkidu, l'umo selvaggio con cui il re Gilgamesh intratteneva un rapporto speciale (vedi Epopea di Gilgamesh

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Enkidu, l'umo selvaggio con cui il re Gilgamesh intratteneva un rapporto speciale (vedi Epopea di Gilgamesh.


Diversi documenti attestano la presenza di sacerdoti o persone addette al culto che sono di sesso maschile ma vestono da donne e vengono in qualche modo assimilati alle donne, pur rimanendo in una categoria ben distinta da quella delle donne.

La persona che appartiene a questo gruppo è descritta con vari nomi ed è presente anche nelle successive Scritture ebraiche come "keleb", termine tradotto (nel Libro del Deuteronomio 23,19) come "cane" (definizione che ha in origine la sfumatura di "cane da guardia" della divinità, dato che la si ritrova in un'iscrizione semitica cipriota).

Le Scritture ebraiche contengono anche il termine kadesh/kodesh (trascritto anche come qedes/qodesh, plurale: kedeshim o qedeshim), che significa "consacrato, santo", che viene normalmente tradotto come "prostituto", o "prostituto sacro" (nel Primo Libro dei Re 14,24; 15,12; 22,47). Il testo biblico dice che questo tipo di persone "consacrate" s'erano installate nell'interno stesso del Primo Tempio di Gerusalemme (nel Secondo Libro dei Re 23,7) al servizio d'una divinità diversa da Yahweh. È possibile che si tratti di sacerdoti dediti al travestitismo o eunuchi di cui è ampiamente nota l'esistenza fra il clero di alcune divinità femminili come Inanna/Ishtar, la quale ultima sappiamo essere stata venerata anche come "Regina dei Cieli".

I miti mesopotamici danno una testimonianza di queste figure (ne La discesa di Inanna agli Inferi [fine III millennio/inizio II millennio a.C.], onorate per aver aiutato la dea Ishtar prigioniera nell'aldilà; il dio Enki crea, usando lo sporco posto sotto le sue unghie, il kurgara e il kalatur e li manda a salvare la Dea. Essi riescono a commuovere la regina degli inferi Ereshkigal e a compiere la loro missione): esse vengono presentate come sacre e intimamente legate al culto delle divinità (specialmente a quello di Inanna e Ishtar).

Più che a prostituti sacri si dovrà forse pensare a castrati, sul tipo di quelli descritti in epoca classica da Luciano di Samosata nel suo De dea Syria, che praticavano l'autoevirazione come forma di estremo ascetismo e definitiva consacrazione alla divinità (il mondo classico li conobbe col nome di gallo (sacerdote)).

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