Lea era uscita di casa non aspettandosidi trovare un acquazzone.
Camminò dalla parte della strada incui le fronde degli alberi erano più folte, sperando di bagnarsi dimeno, e si tirò su il cappuccio della giacca.
I lunghi capelli color carota uscivanofuori dal cappuccio e le coprivano quasi del tutto il viso, leisapeva di sembrare abbastanza buffa conciata così ,ma poco leimportava.
Si mise le cuffie nelle orecchie e,facendo partire la sua playlist, così partì anche lei.
Era un periodo in cui i suoi pensierierano senza freni, la invadevano nei momenti più inopportuni e nonle davano pace.
Lei non era ancora capace di capirequale fosse il motivo, pensava fossero solo dei momenti bui chefinivano e, nello stesso tempo, erano infiniti.
Era una cosa che non potevacontrollare.
Miranda le aveva detto che qualcosa inlei si era mosso.
Si ricordò delle parole che le avevadetto quel giorno, sul divanetto nello studio.
"E quando questa cosa potrà tornareal suo posto?"
"non può tornare al suo posto, anchesolo per il fatto che si è mossa."
Sembrava una semplice frase eppure leinon era ancora sicurissima di cosa volesse dire.
Attraversò la strada di corsa ed entrònella stazione della metropolitana semivuota.
Timbrò il biglietto distrattamente escese le scale, assorta.
Aveva come l'impressione di esseredistaccata a tal punto da sembrare invisibile, come fosse unfantasma; semplicemente trapassabile.
Si sedette sull'ultima panchina dellabanchina e, dato che si era scordata di veder gli orari della metro,rimase in attesa.
Le parole della terapista le vagavanoconfusamente nella mente, e dargli un senso le sembrava praticamenteimpossibile.
Era come se le mancasse un tassellofondamentale, come se fosse proprio davanti ai suoi occhi ma lei nonriuscisse a vederlo.
Si chiese come la sensazione di vuotopotesse riempirla così tanto.
Smettila di pensarci e basta.
Scosse la testa e iniziò a guardarsiintorno, in cerca di una distrazione.
Notò che la pioggia era quasi deltutto cessata, dando spazio a una lieve pioggerellina, di quellefastidiose che ti fanno bagnare le lenti degli occhiali e incresparei capelli.
Si ricordò quello che le aveva dettola madre pochi giorni prima :"sai cosa faccio quando vogliodistrarmi? Guardo le persone che camminano per strada e mi invento laloro storia."
Sapeva quanto la madre fossepreoccupata per lei in quel periodo, diceva di vederla assente ecercava di entrare in contatto con lei in qualsiasi modo.
Sapeva quanto ci stesse male, sapevache litigare con lei non le piaceva ma, ultimamente, parevaimpossibile non farlo.
Ricacciò il pensiero; i suoi occhiiniziarono a posarsi su ogni persona che, mano a mano che il tempopassava, scendeva le scale e si mettevano in attesa come lei.
La prima fu una donna anziana: sichiamava Wandy Coleman e suo marito era morto in un incidente aereoquindici anni prima.
Lei aveva in mano un mazzo di fiori, listava portando sulla tomba del marito defunto per poi andare nelvicino stagno a dar da mangiare alle anatre.
Subito dopo di lei arrivò un gruppo diragazzi rumorosi con skateboards e musica rap a tutto volume.
Quello più bassino si chiamava HenryFlaversham: un ragazzo ebreo che, stanco dei genitori bacchettoni,aveva iniziato ad uscire con i "ragazzacci" cresciuti per lastrada.
Il secondo era Sam Bosnian: alto eelise, le braccia piene di tatuaggi fatti da suo cugino illegalmentee i capelli biondi a spazzola che avrebbero allontanato anche leragazze più disperate.
L'ultimo era Endy Biggins: la pellescura come il carbone e una passione per la danza classica chenascondeva per mantenere la sua virilità e la reputazione da durodel quartiere che si era guadagnato negli anni.
Il suo gioco fu interrotto dallosquillo del telefono, era un messaggio di Corey.
"scusa piccola ma avevo promesso aKurt di aiutarlo a lavare il suo pikup, per te è un problema se civediamo un'altra volta?"
Chiuse gli occhi e iniziò a respirareaffannosamente, non sapendo se fosse meglio lasciar sfogare ilnervoso o placarlo prima che diventasse distruttivo.
Corey era il suo ragazzo ormai da unanno, si erano conosciuti a una festa tramite amici e lui le avevapuntato subito gli occhi addosso.
Lei aveva sempre avuto l'impressioneche fosse successo tutto troppo in fretta tra loro, come se ogni cosafosse stata una decisione "di pancia", come la definiva suamadre.
Nonostante il sentimento che leiprovasse nei suoi confronti ultimante aveva come la sensazione di nonconoscerlo per niente: non sapeva mai cosa aspettarsi come reazioneanche per una minima cosa, non sapeva quale fosse il suo punto deboleo come consolarlo quando era triste.
A volte aveva come la sensazione chestesse con lui solo perché, dopo tutto quel tempo, sarebbe statostrano non fosse così.
Era triste, eppure lei non se lasentiva di troncare.
Le venne in mente quel film in cui ilcane, di cui le sfuggiva il nome, era andato ogni giorno allastazione per aspettare il suo padrone che non sarebbe mai tornato.
Lei era il cane, e non aveva la minimaidea di cosa o chi stesse aspettando.
Si sentì gli occhi lucidi e la golapizzicare, non le era mai piaciuto trattenere le lacrime.
Fece un respiro profondo e mise via iltelefono, decisa che si sarebbe dimenticata di rispondere almessaggio.
Tenne gli occhi chiusi per un attimoper paura che se li avesse aperti sarebbero cadute quelle lacrime el'avrebbero tradita.
A chi importerebbe se piangessi qui,tanto?
Testa bassa, un altro respiro profondoprima di aprire gli occhi.
A te importa, stupida. A te.
Ovunque pareva appannato, tutto doveposasse lo sguardo pareva sciogliersi.
Il pianto rendeva la realtà un quadro,bello e affascinante nella sua miseria.
La tristezza rende tutto più poetico.
Si asciugò gli occhi col dorso dellamano, e così la confusione tornò ad essere limpida.
Alzò lo sguardo e si guardò intorno,sapendo che non aveva la faccia di una che avrebbe avuto voglia difar finta di niente.
Accanto a lei era seduto un uomo sullaquarantina.
Lo guardò di sfuggita: nella sua vitanessun divorzio, nessun figlio nato con problemi e nessun amicotraditore.
Aveva una bella famiglia, due figlipiccoli: Hanna aveva quattro anni e Logan sette.
Lui lavorava come agente immobiliare equel giorno aveva venduto tre case, superando il suo record divendite mensile.
Sua moglie lavorava alla "Gracegrissini", il panificio vicino alla vecchia ferramenta di suononno.
Suo nonno, poteva andarlo a trovare!
Un sorriso le solleticò il viso, poiquella vibrazione percettibile svanì.
Non sorriderò, non oggi, pensòsconsolata.
Guardò davanti a se, il treno a pochimetri dal binario che sferragliava sulle rotaie.
Prima che esso le piombasse davanti,dall'altra parte un debole sorriso dagli occhi verdi accesonascosti da un paio di occhiali dalla montatura grossa e una chiomacolor carota.
Quel ragazzo la stava guardando e lei , senzaneanche rendersene conto, gli sorrise.
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Underground
General FictionPROLOGO: Guardandosi allo specchio vide una cosa che non aveva mai visto, o forse mai notato, prima di quel momento. Tutto d'un tratto si sentì persa, come se quell'abisso fosse l'unica cosa su cui potesse contare. Lei era il suo m...