CAPITOLO 7

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Al suono della campanella Lea schizzò fuori dall'aula e si diresse fuori, verso la metro.

Avrebbe dovuto prendere lo stesso treno che prendeva sempre, ma allungare il tragitto di qualche fermata.

Alle cinque aveva l'appuntamento mensile con Miranda, la sua psicologa, e non voleva fare tardi.

Si ricordò di quando, un anno prima, mentre aiutava sua madre a mettere i piatti nella lavastoviglie, le aveva parlato del suo desiderio di iniziare un percorso di terapia.

Sua madre la prese bene, anzi parve contenta che la figlia volesse lavorare su se stessa.

Non che Lea avesse paura che la madre non glielo avrebbe permesso, ma una ragazzina di soli sedici anni che esprimeva quel desiderio era una cosa alquanto insolita.

Lei prese subito le redini della situaziuone, ma si spaventò vedendo il costo di una sola seduta da uno psicologo privato.

Si dovette accontentare di quello statale, che avrebbe potuto riceverla solo unavolta al mese.

Lea, cercando di non scoraggiarsi, accettò il compromesso e ci andò; si trovò subito bene con la giovane ma saggia terapista.

Era una personaaperta e disponibile, ed era indubbiamente brava a comunicare con una giovane in difficoltà come Lea.

Quando lei andava li, si stava accorgendo ultimamente, in corpo aveva la stessa sensazione di quando si trovava davanti al garage blu dell'officina del nonno o di quando, ogni mattina, trovava Ronny ad aspettarla al suo armadietto.

Sono a casa.

Si sedette alla panchina col fiatone dopo aver corso per prendere il primo treno disponibile; solo cinque minuti di attesa, a differenza dei soliti quindici abbondanti che aspettava di solito, dato che si permetteva di uscire da scuola con più calma e andare alla stazione con passo lento, avvolta da tutti i suoi pensieri.

Mentre rovistava nello zaino in cerca delle cuffiette per ascoltare un po' di musica,nella mente sentì l'eco della voce di Oliver che diceva "Io so chi sei."

"Tu sei una ragazza fantastica Lea, ti sei solo persa."

Ti sei solo persa. Ti sei solo persa. Persa, persa, persa...

Deglutì piano,ricacciando il pensiero che sembrava rincorrerla come un cane rabbioso.

Prese le cuffiette,le collegò al telefono e fece partire la playlist scelta per quella settimana; principalmente canzoni degli Imagine Dragons.

Bloccò il telefonoe alzò lo sguardo: eccolo.

Diverso maglione,stessi occhi penetranti sotto le spesse lenti degli occhiali.

Lei gli lanciò un sorriso, come per dire "ciao, ben ritrovato amico sconosciuto."

Nella mente ripercorse tutto il ragionamente che aveva fatto il giorno precedente.

Ripensò a quanto fosse stato strano, a quando però quella stranezza la fosse andata a genio.

Distaccò un secondo lo sguardò da lui e si guardò intorno: nessuno si stava curando di loro.

Parevano tutti con i loro pensieri in testa, con le loro preoccupazioni.

La metropolitana era indubbiamente un posto in cui la gente rifletteva, forse da quel giorno sarebbe potuto diventare anche un luogo di incontro degli sguardi; un luogo di incontro solo tra loro.

Si, le piaceva come idea.

Tornò a guardarlo quando si rese conto che avrebbero potuto agire senza troppa cura da parte degli altri.

Poteva finalmente ammettere che quella stranezza le piacesse, che la facesse sentire....non lo sapeva, ma almeno non con quel peso sulle spalle che aveva sempre.

Lui la guardava sempre nello stesso e identico modo che pareva dirle "non preoccuparti."

ci provo,cercava di dire lei, tra le sfumature dorate dei suoi grandi occhi.

Ci sto davvero provando.

E così lei ricambiava, o almeno lo fece finchè il suo treno non arrivò al binario, sovrapponendosi tra il loro sguardo.

Salì in fretta dando le spalle alla gente che entrava; i I loro occhi erano ancora fissi l'uno nell'altra.

La metro chiuse i portelloni e partì con una velocità che lei non aveva mai percepito fino a quel momento.

Le iridi verdi e il ciuffo rosso scomparvero dal suo campo visivo, e lei sentì quel contatto che avevano creato svanire nel nulla, come sabbia buttata al vento.

Si appoggiò al palo per aggrapparsi e guardò il paesaggio della città che scorreva veloce sotto i suoi occhi.

Sorrise con fare malinconico e , in quell'esatto momento, la canzone che andava nelle cuffiette intonava l'ultima frase dell'ultimo ritornello: "niente verde in città per la povera ragazza di campagna."



Il divanetto di velluto rosso era sempre al solito posto e lei, nella sua divisa composta da camicia bianca, giacchetta blu, jeas aderenti e tacchi aspillo, stava seduta davanti a Lea, guardandola con quel solito sguardo che aveva; uno sguardo che aveva resettato tutto solo per strare ad ascoltare lei.

"mesetto intenso." iniziò subito lei, senza che le venisse chiesto nulla.

Non c'era bisogno di domande formali, di finti "come stai?", quella era la "stanza della verità" come la chiamava Lea.

Lo sguardo della ragazza vagò per la stanza poco arredata; le pareti tinte di un bianco aninimo, qualche copia di famosi quadri erano appese al muro ed un grosso orologio appeso proprio sopra le loro teste.

La cosa buffa era che, nel corso delle molteplici sedute , spesso lei aveva poggiato lo sguardo sull'orologio ma mai per guardare l'ora.

Non c'era ora; la verità non aveva ora.

Le labbra tinte di rosso della terapista si curvarono, regalandole un grosso sorriso.

"scuola."iniziò a dire Lea.

"E Corey, e mia madre e...", per un attimo il suo pensiero andò a lei che veniva guardata nella metro.

E, successivamnete,quegli sguardi presero forma e venne fuori lui, quel ragazzo sconosciuto.

Era tutto il mese che aspettava quel momento; se lo era anche immaginata.

Avrebbe pianto,urlato, avrebbe tirato fuori ogni singolo pezzo marcio che aveva dentro.

Eppure non lo fece;forse era perchè quella stanza la faceva ragionare in un modo che,nella vita di tutti i giorni, non le apparteneva.

O forse era stato proprio quello scambio di sguardi.

E' solo uno sconosciuto, si disse per la millesima volta; eppure voleva vedere dove quello l'avrebbe portata.

Cosa importava se fosse uno sconosciuto, se poteva farla sentire migliore di quanto in realtà non fosse?

"oggi mi sento come se avessi bisogno di guardare le cose belle."

Miranda la guardò,piacevolmente sorpresa della sua risposta.

Non disse nulla, e Lea si mise a gambe incrociate pronta per iniziare a parlare.

Non le disse del ragazzo della metro, dei loro segreti incontri con gli occhi; era una piccola cosa solo sua, e per una volta sentiva di avere tra le mani qualcosa che non fosse tragico.


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