CAPITOLO 5

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La campanella suonò e Lea, con calma,uscì da scuola e si avviò verso la metro.

Con lei non c'era Sharon, l'amica abitava abbastanza vicina a scuola da non dover prendere i mezzi,mentre Lea doveva farsi una quindicina di fermate.

Con lo sguardo rivolto verso il basso e la testa tra le nuvole timbrò il biglietto e si sedette alla solita panchina.

L'attesa per aspettare il suo treno era sempre lunga a quell'ora del pomeriggio, lei lo sapeva bene,allora aprì un libro sulle gambe ed iniziò a leggere, assorta.

Era un libro che la stava rapendo, ma i libri lo facevano sempre negli ultimi tempi.

Erano un piccolo rifugio per lei; ma a parer suo erano un rifugio per tutte quelle persone messe in pericolo dalla loro vita nel mondo reale.

E lei sapeva di essere in pericolo, non sapeva da cosa di preciso ma lo era.

All'iniziò pensava fosse Corey il suo grande ostacolo, ma non era così.

Nella sua mente lei sapeva che,qualsiasi cosa fosse successa con lui, non sarebbe stata tanto devastante da mandarla in frantumi.

E lei avrebbe preferito fosse cos ìperchè in lei si stava radicando l'idea che fosse lei stessa a doversi far paura da sola.

E quello ero un bel fardello da portare, perchè non poteva semplicemente scordarsi di esistere o chiudere i rapporti come si fa con un'amicizia basata su liti e spalle voltate.

O forse si può?

Chiuse il libro,infastidita dal brusio di sottofondo.

Solitamente riusciva a leggere in ogni situazione, ma quella volta il suo cervello sembrava volere silenzio.

Voleva pace.

Alzò gli occhi esi guardò intorno, pronta a occupare il tempo facendo il suo gioco.

Aveva individuato una donna con i capelli raccolti in uno stretto chignon che aveva la faccia da Beatrice, o forse Monica, quando il suo sguardo fu catturato da altro.

Davanti a lei,nella banchina opposta, un cioffu di capelli rossi e un paio di occhi verdi ingranditi da spesse lenti di occhiali le stava sorridendo in modo familiare.

Senza volerlo sorrise anche lei, ma lo soffocò subito, pensando fosse una cosa strana.

Lui la guardava,non preoccupandosi che potesse essere bizzarro, eppure lei non si sentiva a disagio con i suoi occhi addosso.

Doveva ammette che le faceva strano vedere una persona che la guardava in quel modo,come se non ci fosse nulla di male nel farlo.

E forse non c'eradavvero nulla di sbagliato, eppure Lea aveva sempre avuto l'idea che fosse così.

Le avevano insegnato che era così, che non si fissava la gente, e lei ci aveva creduto.

Per un attimo quella credenza vacillò e lei non capì bene il perchè.

E fu a quel punt oche si rese conto che anche lei, nell'interpretare li suo modo difissarla, lo stava guardando.

O meglio, lo osservava; come si fa con un animale nella foresta.

Lo guardava con occhi sbarrati, come si fa quando si ha paura di una creatura che è in grado di aggredirti da un momento all'altro; ma lui non sembrava intenzionato ad attaccarla in alcun modo.

Lei pensò che era abituata a sentirsi agredita, forse era quello di cui aveva paura.

Aggredita dagli altri, da se stessa.

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