Gli occhioni grigi di lady Rebecca osservavano con insistenza ogni movimento dei fiocchi di neve che con eleganza attecchivano al suolo. La giovanissima Hampton era nascosta dietro le tende di velluto azzurro della sala da brandy del padre. Stava lì, rannicchiata come un pulcino, nella speranza di sfuggire alle continue lamentele della madre e agli spilli della sarta. Aveva soltanto quattordici anni e, essendo nata in un periodo ormai avanzato della madre, le sue sorelle maggiori erano già maritate; l'unica a dover compiere il suo debutto in società era proprio lei.
La sfortuna le aveva in più concesso un flusso abbondante alla tenera età di dodici anni e già da allora la signora Catherine Hampton aveva iniziato a programmare nei minimi dettagli la sua intera vita.
Tra gli spazi angusti dei corridoi si fecero portavoci della matriarca gli inquietanti scricchiolii sulle assi di legno del pavimento. Codesti suoni arrivarono come un dolce sussurro alle orecchie di Rebecca che veloce come una saetta alzò la finestra rettangolare dai bordi bianchi, lasciando scompigliare la folta chioma ramata dal gelo invernale; si mise poi a cavalcioni sul davanzale e, non appena si sistemò per bene su di esso, si lanciò giù, cadendo sugli alti mucchi di foglie secche che Albert, il giardiniere, aveva raggruppato sotto le mura della casa."Rebecca? Rebecca!"
Urlò la signora non appena girò il pomello in ottone dello studio e vide un lembo di stoffa celeste cadere giù dalle imposte aperte.
"Quella giovane sarà la mia disgrazia!"
Sentenziò infine, abbandonando le lunghe braccia lungo il vitino di vespa.
La signora Hampton era una donna piacente, dal fisico esile e la carnagione diafana, nonostante la pelle del viso iniziasse a mostrare i segni della mezza età riusciva a non passare mai inosservata. Aveva fatto tantissime conquiste il giorno del suo debutto e, con tutta la felicità della madre e del padre, aveva scelto il miglior partito. Nutriva la speranza che la sua ultima genita avesse la medesima fortuna. Carol e Gladys, le figlie maggiori, erano convolate a nozze con uomini benestanti e con alcune proprietà in zone non molto lontane.Rebecca correva, correva senza sosta mentre la sua chioma arancione splendeva al sole, correva veloce ignorando il freddo pungente che le pizzicava le guance scarne, correva nonostante il corsetto stretto che le comprimeva il piccolo seno, correva verso una meta, un rifugio, un attimo di idilliaca libertà.
Solo quando lo scintillio del lago ghiacciato rapì il suo sguardo spaesato si fermò, abbandonando tutto il peso sulle ginocchia doloranti. Fissava dritto davanti a sé... Senza pensare a nulla, desiderava solo pochi attimi di respiro, voleva che l'aria fredda le penetrasse fin dentro i polmoni con calma, senza sentire gli occhi di sua madre puntati sulla schiena.
Sbatté le palpebre più volte prima di rendersi conto di essere immobile a osservare il muschio verde che abitava sulle pietre dinnanzi a sé. Quando distolse la sua attenzione dalla pianta viscosa girò la testa in varie direzioni, ispezionando i paraggi e assicurandosi che nessuno fosse nei dintorni.
La sua voglia di solitudine fu assecondata, non un'anima viva si aggirava per il bosco innevato. Con gesti eleganti si portò le mani dietro la schiena e, una volta compreso che la finezza non le sarebbe servita da sola in mezzo al nulla, tentò di slacciare i lacci del bustino con foga. Ci riuscì con fatica solo quando si convinse che per sfilare quell'arnese di dosso doveva romperlo e così fece. La piccola Hampton rimase in abiti sconvenevoli e se qualcuno l'avesse vista sarebbe corsa dal prete a confessarsi. Del resto un "angelo del focolare" non poteva permettersi atti tanto impuri. Fu proprio quell'ultimo pensiero a farla urlare di rabbia: iniziò a calciare e dare pugni sul freddo suolo agitandosi come mai prima.
Il fiato divenne corto e le gote si tinsero di un rosso acceso per lo sforzo eccessivo, questo la fece stare bene. Per sentirsi viva aveva il bisogno di continui stimoli che la società non le permetteva, così senza esitare, si diresse verso lo specchio d'acqua.Tolse gli stivaletti bianchi e sporse un piede sul suolo freddo, il contatto con il ghiaccio le mandò piacevoli brividi lungo la schiena nuda. Guardò in basso e la sua fisionomia comparve intrappolata nello strato di acqua solidificata, a metà tra l'oscurità degli abissi e i flebili fasci di luce emanati dal sole invernale.
I lunghi capelli ramati, che contrastavano con il bagliore della pelle candida, scendevano dritti lungo la vite stretta, fino a raggiungere i fianchi troppo prosperosi. Quegli stessi fili di seta circondavano un viso rotondo, con occhi grandi e labbra fine come petali di rose.
Rebecca era talmente sottile da dare l'impressione di rompersi anche solo con un tocco dell'indice e sua madre sperava fosse davvero così.
Impulsivamente iniziò a dare calci sul ghiaccio, digrignando i denti e sparando che quell'immagine tanto esile e delicata sparisse; così uno, due, tre, quattro calci e lo strato ghiacciato si incrinò, cinque, sei, sette calci e lady Rebecca Hampton si trovò sommersa nel buio, con la sensazione che proprio il piccolo corpo che stava osservando poco prima fosse trafitto da cento aghi. La luce proveniente da fuori si allontanava sempre di più, mentre il peso del suo corpo la faceva scendere sempre più giù, infine anche quello spiraglio di luce sparì e tutto divenne buio.
La fanciulla riaprì gli occhi a tarda ora, scoprendo con sua sorpresa, di essere ancora viva, avvolta tra le sue coperte di lana lavorata e con la testa poggiata su i cuscini ricamati e profumati alla lavanda.
Per poco tutto le apparve sfocato ma, secondo dopo secondo, la vista sfocata riprese ad osservare tutto in modo nitido. Si alzò a mezzo busto lasciando cadere sul materasso lo strofinaccio bagnato che aveva sulla fronte, scostò poi le coperte e infine poggiò i piedi sul pavimento.
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The Little Ladies
Historical Fiction#8 in narrativa storica 30/11/17 Miss Georgiana Wellington e lady Rebecca Hampton sono due signorine londinesi di appena quattordici anni l'uno. Entrambe costrette a sopportare il peso di non poter essere ciò che vogliono consce di vivere in una soc...