Lawrence e Rebecca si guardarono con una chiara confusione dipinta sul volto.
Fare una promessa a quell'essere era totalmente da pazzi, eppure, la fanciulla dopo una prima esitazione acconsentì."Molto bene"-sussurrò Richard. Si mise comodo curvando la schiena e poggiando i polsi sulle ginocchia stanche.- "Lawrence?"
"Nulla di tutto ciò che direte uscirà da questa carrozza".
White sospirò e prendendo fiato si passò una mano tra i capelli con fare nervoso. "Perdonami" pensò. Non ci volle molto prima che le guance scarne si rigassero di tante scie che resero la sua pelle tirata, dura.
"Io, io non ho tentato di violarvi. Anche se avessi voluto non ci sarei riuscito".
Un tuffo al cuore, veloce e letale.
"Prima che le vostre grida diventino udibili in tutta la tenuta lasciate che vi spieghi".
Il ragazzo le mandò un'occhiata truce senza smettere di piangere. I bulbi ormai erano un tripudio di mille venuzze rosso sangue.
I ricordi trascorsero veloci davanti i suoi occhi, creando dinnanzi la sua vista, ormai sfocata dal pianto, delle sequenze confuse come dolci note scomposte su un pentagramma strappato."Due anni fa mi ritrovai a vagare tra le strade di Londra, esattamente a Regent Street, immerso fino al collo nelle pozzanghere fastidiose in cui la folla incespicava. Senza preoccuparmi troppo di essere gentile, mi feci largo tra la massa, raggiungendo finalmente la Hatchards, biblioteca situata al centro di Piccadilly. Pensai fosse un riparo perfetto e, mentre fuggevo dal tempo infausto, potevo perdermi tra gli scaffali settecenteschi; respirando a pieni polmoni quell'odore acre di carta e polvere granulosa, beando i miei timpani della carta crespa strofinarsi contro i polpastrelli di chi girava la pagina, attendendo il seguito delle vicende amate."- Fece una pausa e, mentre sbatteva le palpebre con un ritmo innaturale, parve ormai immerso nei suoi ricordi, distante da quel paesaggio grigio. Un sorriso malinconico comparve su quella tela illuminata dalla dolcezza dei tempi passati. Richard rideva con la bocca e piangeva con il cuore. -" Mentre lasciavo correre tra i libri l'indice, una mano estranea bloccò il mio movimento. Percorsi con lo sguardo la figura al mio fianco, dalla mano mascolina all'abito nero di seta, di ottima fattura. E lì, a fissarmi con un fazzoletto davanti le labbra, c'era Duncan.
Dio solo conosce il disgusto che provai al pensiero di quanto lo ritenni avvenente. Lui mi chiese scusa gentilmente e imbarazzato fece per andarsene ma, affondando il viso nella stoffa, iniziò a tossire in modo allarmante. Mi avvicinai con agitazione per aiutarlo e, di tutta risposta, venni scansato in malo modo. "Non ho bisogno di aiuto, riesco a farcela da solo." Ma la febbre non fu dello stesso parere e lo costrinse a cedere tra le mie braccia. Ero allarmato e spaventato, non sono mai stato in grado di gestire delle situazioni pesanti e il mio primo impulso fu quello di scappare. Così lo lasciai con la schiena contro il mobile e me ne andai, un comportamento assurdo e riprovevole ma sicuramente prevedibile per chi mi conosce. La fermezza di Duncan era troppo imponente per la mia insicurezza. "State per abbandonarmi veramente? Siete davvero un lord". Sorrisi tristemente per quelle parole sarcastiche che in un attimo mi avevano ricordato il motivo del mio rifugio dentro quella biblioteca: io non sono un uomo o almeno era quello che mio padre mi aveva urlato in faccia poco prima.Duncan ricambiò il mio sorriso e a denti stretti mi chiese di aiutarlo. Quel ragazzo continua tutt'ora a voler ostentare una virilità che non possiede, la sua natura debole salta sempre fuori, di fatti quel giorno lo accompagnai a casa e da lì nacque una bellissima amicizia. I primi problemi sorsero quando il ragazzo arrogante e spavaldo si tramutò in un ubriacone che saltava come un grillo di bordello in bordello, cosa che mi procurava un'irritazione che non comprendevo. Poi, senza preavviso, una sera d'autunno, dall'aria profumata di castagne, mi confessò la natura del suo male: un amore malsano, malato, così profondamente disgustoso da dover essere estirpato."
Rebecca si strinse tra le braccia, cercando di donarsi calore e fermare i brividi di freddo che coprivano ogni centimetro di pelle. Avvertiva un male alla bocca dello stomaco, l'impulso di rigettare quel poco che aveva mangiato era forte e a stento riuscì a trattenersi. Lawrence le sfiorò una mano facendola sussultare, entrambi avevano compreso dove quel racconto voleva arrivare e con riluttanza proseguirono l'ascolto in silenzio.
"Siete sconcertata my lady? Vi stupisce sapere che nel mondo esistono persone che soffrono anche più di voi? Siete stata così arrogante a credere di essere l'unica che stesse soffrendo che non vi siete preoccupata di calpestare Duncan davanti ospiti e servi durante la cena. Lui ha sempre sofferto così tanto, anche quando, dopo la sua dichiarazione, ci incontravamo di notte in qualche baracca malmessa per consumare il nostro peccato.
Mi ero accorto già da tempo che quel fastidio che provavo quando lo vedevo ballare con delle fanciulle non era normale, che il senso di nausea che mi assaliva quando mi imponeva di corteggiare una donna era un mio DIFETTO. E così, fui felice quando si dichiarò, almeno in parte. Già, perché se da un lato il mio cuore gioiva dall'altro il sangue fuoriusciva copioso.
Ci baciavamo, ci toccavamo con ardore durante le notti gelide e ci piaceva udire i nostri gemiti che riempivano la stanza silenziosa ma, una volta finito, rimaneva solo il disgusto. E ce ne andavamo via senza parlarci, stanchi di chiederci se eravamo noi ad essere sbagliati. Rebecca, Lawrence voi sapete cosa si prova a vergognarsi anche di pregare? Sentirsi giudicati anche dal nostro creatore come dei mostri!"Urlò facendo sussultare la ragazza, Rebecca si sentiva piccola, stupida. Per la prima volta capiva che il mondo era formato da incompresi e che lei era solo una piccolissima parte di quel vasto globo nero; una spirale appiccicosa che risucchiava tutti senza nessuna eccezione.
"Lo amate così tanto da condannare voi stesso?"
"Sì, senza di me forse sarà libero, riuscirà a fingere di essere normale. Sposerà una borghese e, senza essere mai veramente felice, potrà continuare ad avere un'esistenza più o meno tranquilla. Ciò che vi ha fatto è crudele, ma la vita con noi non lo è stata fin troppo?
Lawrence seduto all'angolo della carrozza si avvicinò,
"Vi siete procurato voi le ferite?"
"Sì, conosco Duncan e non sopravviverebbe in una situazione del genere."
"Perché stava per violentami? Anche se non ci fosse riuscito, perché voleva farlo?"
"Ancora non capite... Sapete cosa fanno ai sodomiti? Ci condannano ai lavori forzati o peggio, all'impiccagione. Morire perché le nostre tendenze sono generate dai vizi, dalla lussuria. Come se scopare con le puttane nei bordelli di Londra o carpire le virtù dei bambini fosse meno deplorevole ma, noi siamo bestie di satana perché non proviamo piacere verso dalle donne ma amiamo un uomo. Il giorno della cena era nervoso e arrabbiato, voi lo avete ferito calpestando quella poca virilità che prova a ostentare in società. Non vi chiedo di capirlo né di perdonarlo semplicemente lasciate che viva la sua vita."
Rebecca non proferì parola si avvicinò alla porta della carrozza e bussò fin quando le aprirono e poté uscire con Lawrence al seguito.
Non voleva parlare, sentiva necessità di allontanarsi e prendere una boccata d'aria. Il vento notturno le colpì il viso delicato e con disperazione si portò le mani sul volto nascondendo le labbra screpolate per il freddo. Poi una sensazione di calore le pervase le spalle: sentiva un tessuto soffice coprirla dal gelo pungente e, mentre la stoffa proteggeva il corpo, il tepore di quel gesto la consolò.
"Vi accompagnerò dal commissario e direte la verità."
"No, non posso farlo."
Lawrence lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi in un gesto esasperato.
"L'omertà è forse uno dei crimini peggiori my lady. Volete davvero condannare un innocente?"
"Lawrence io cosa ne so dell'amore? Nulla! Sono stata egoista, Richard sta donando la sua vita per amore e io... Io non posso continuare a pensare solo a me stessa."
"Se lo farà dinuovo? Rebecca non vi riconosco! Volete davvero che un criminale resti impunito e che un innocente venga incolpato e probabilmente anche ucciso?"
"No, ma non sarò io a dire la verità."
"Non vi capisco"
"Non è necessario."
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The Little Ladies
Ficción histórica#8 in narrativa storica 30/11/17 Miss Georgiana Wellington e lady Rebecca Hampton sono due signorine londinesi di appena quattordici anni l'uno. Entrambe costrette a sopportare il peso di non poter essere ciò che vogliono consce di vivere in una soc...