Capitolo Cinque

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Ciao a tutti!!! Rieccomi con un nuovo Capitolo!!! Buona lettura e grazie come sempre!!! 😗😗

"Mannaggia a te, Mario, in cosa ti sei cacciato?"
 
L'uomo con in mano il coltello si fece ancora più vicino, e, essendo illuminato dalla debole luce di un lampione, Mario potè vedere una lacrima tatuata sotto il suo occhio destro, e capì subito che quelli erano membri di una gang rivale e che avevano individuato il loro prossimo obiettivo in Federico. Certo, prima che lui e la sua "cazzo di impulsività", come l'avrebbe definita Claudio, si mettessero in mezzo. Andando incontro all'avversario, si maledisse nuovamente notando la sua stazza, abbastanza impressionante, come quella dei suoi 'fratelli' del resto; tutti loro contro una sola persona, era abbastanza chiaro il loro intento: avrebbero voluto uccidere il giovane, in quel momento ancora terrorizzato e trattenuto da tre degli energumeni alcuni metri più indietro, il quarto che si limitava ad osservare la scena.
Mario, come ogni volta quando si ritrovava in uno scontro corpo a corpo, si lasciò guidare dall'istinto e dalla sua preparazione, acquisita in Accademia. Disarmò immediatamente il suo avversario del coltello, che finì a terra tra lo stupore generale, e assestò un forte pugno al viso dell'uomo.
Il ragazzo si stupì di tanta forza e agilità e dopo un primo momento di esitazione passò subito al contrattacco con una scarica di pugni che il romano parò uno dopo l'altro. Mentre i due continuavano a lottare, senza che uno prevalesse sull'altro, Mario udì un grido che lo deconcetrò per un secondo: voltandosi verso Federico, da cui era partito quell'urlo agghiacciante, potè vedere che lo shock iniziale causato della sua improvvisa apparizione era sparito, e che gli sconosciuti avevano ripreso a picchiarlo, rendendo il suo volto irriconoscibile.
"Fermi, lasciatelo stare!! Cosa volete da lui?!" gridò distogliendo temporaneamente l'attenzione dal suo avversario. E quei pochi secondi, in cui l'unica risposta del gruppo alla sua domanda fu solo una risata, furono l'errore più grande che il romano potesse commettere. E lo capì quando sentì le nocche dell'uomo sbattere contro la sua mascella, il colpo così forte che lo stordì. 
A quello ne seguirono altri, così tanti che il romano perse il conto. Cercò con tutte le sue forze di restare in piedi e di difendersi, e riuscì a sferrare qualche altro pugno; purtroppo però era così dolorante che si accasciò a terra, e questo permise al suo avversario di colpirlo anche con dei calci.
La sua salvezza, e quella di Federico che a pochi metri da lui non se la passava sicuramente meglio, fu la comparsa di un ragazzo non molto alto ma muscoloso,  che, affiancato da un'altra figura che Mario non riuscì ad identificare, minacciò il gruppo di sconosciuti e mostrò loro una pistola, urlando con voce roca "Se non ve ne andate dal nostro territorio prima di subito vi pianto un proiettile nel cranio. Fosse l'ultima cosa che faccio."
Probabilmente ritenendo che non valesse la pena rischiare la pelle, i cinque affiliati alla gang rivale scapparono dalla parte opposta del vicolo. Dopo aver preso un respiro profondo che gli causò non pochi dolori, Mario si mise seduto con molte difficoltà, incontrando lo sguardo dei due salvatori che lui non aveva mai visto ma che, notò subito, avevano il serpente tatuato alla tempia. Uno di loro, mentre era impegnato a soccorrere un Federico svenuto per le troppe percosse ricevute, lo fissò e "Tu sei il cugino di quel Filippo Vero? Fede mi ha parlato di te." Mario annuì, incapace di parlare. L'uomo riprese "Ora vorrei tanto sapere il tuo ruolo in questa faccenda; che vuoi da mio fratello, tanto per iniziare. Vedi.. lui da fiducia alle persone.. al contrario di me. Io non mi fido di nessuno." E lo fissò con sguardo duro come la pietra.
"I-Io" tentò di spiegarsi il romano, ma parlare gli costava uno sforzo enorme.
"Ruggero" pronunciò una voce bassa e sofferente.
"Fede", l'espressione di quel ragazzo, fino a quel momento dura ed imperscrutabile, mutò completamente nell'udire la voce del fratello. "Fede come stai?"
"Sono stato meglio. Ma non te la prendere con lui. Ruggero, sarei morto se non fosse intervenuto. Lui mi ha salvato la vita".

Mario era sdraiato sul divano del suo appartamento. Dopo l'affermazione di Federico, Ruggero e il ragazzo che era con lui, che aveva scoperto si chiamasse Andrea, ma per tutti era 'Andy', avevano deciso di accompagnarlo a casa, non essendo lui nemmeno in grado di alzarsi senza un aiuto. Lo avevano praticamente trasportato fino al suo salotto, adagiandolo sul divano e ringraziandolo per aver soccorso il giovane, quasi mettendo a repentaglio la sua stessa vita. Dopo avergli espresso la sua gratitudine, il fratello di Federico l'aveva guardato negli occhi e aveva successivamente allungato una mano verso di lui, che il romano aveva stretto con fatica, ogni minimo movimento che gli provocava dolori ovunque.
Ai fini dell'indagine gli avvenimenti di quella serata avrebbero portato a grandi passi avanti, ne era sicuro, l'avvicinamento a Ruggero ed Andy avrebbe permesso di raggiungere ottimi risultati.
Decise di chiamare Claudio prima che si facesse troppo tardi per comunicargli le nuove conoscenze che aveva instaurato, e soprattutto per sentire la sua voce, che riusciva sempre ad avere un effetto incredibilmente calmante su di lui; e quella sera ne aveva davvero bisogno. Appena tentò di girarsi per recuperare il cellulare però, si bloccò, un dolore lancinante che lo colpì alle costole: sperò vivamente che quell'energumeno non avesse fatto eccessivi danni, e imprecando, con molta calma e dopo vari tentativi riuscì ad afferrare il cellulare sul tavolino, sentendo quella familiare sensazione di batticuore farsi strada dentro di lui, come ogni volta che decideva di contattare il suo Claudio.
Digitò il numero e aspettò che il veronese rispondesse, cosa che come al solito avvenne nel giro di pochi secondi. "Pronto? Mario?" La sua voce, il suo meraviglioso accento veneto ad accoglierlo. Musica per le sue orecchie.
"Ciao amore mio!" Sussurrò il romano, imponendosi di non lasciar trapelare gemiti di dolore che avrebbero allarmato così tanto il ragazzo da rischiare di mandare all'aria l'operazione in pochi minuti: perché se il veronese avesse saputo del pestaggio che aveva subito, ne era sicuro, si sarebbe precipitato da lui immediatamente, fregandosene dell'indagine e della sua risoluzione. E mettendosi in pericolo. E questo, più di tutto, Mario non poteva permetterlo.
"Come stai amore? Non sai quanto mi manchi" gli confidò il ragazzo.
"Bene, sto bene, e tu? Dimmi di te, sentirti parlare mi tranquillizza sempre".
"Io? Nulla di nuovo, qui le giornate proseguono sempre allo stesso modo, solo molto più lente senza di te, e in commissariato, non sai che- aspetta." Si interruppe Claudio.
"Amore? Che succede?"
"Perché sei agitato Mario? Che cosa mi stai nascondendo?" Cercò di indagare il veronese.
"Cosa? Che dici?" Si agitò il romano, che non si era reso conto di essersi lasciato scappare una frase che sarebbe passata inosservata a chiunque, ma non a Claudio, non all'amore della sua vita che lo conosceva alla perfezione e con cui aveva una connessione unica, rarissima.
"Hai capito benissimo, non fare il finto tonto adesso. Ti conosco." La voce ansiosa del veronese e il bisogno puramente egoistico di averlo accanto a prendersi cura di lui gli fece quasi venire voglia di cedere e raccontargli tutto. Ma non lo fece. Perché il bisogno di saperlo al sicuro vinse anche quella volta.
"Ma che dici amore, no, intendevo che certi giorni la lontananza da te non riesco proprio a gestirla. Fa così male Cla, che non so che fare. E chiamarti e sentire la tua voce mi fa stare subito meglio", gli rispose, raccontandogli una parziale verità e sentendosi malissimo per questo. 'Perdonami amore mio, perdonami.' Pensò tra sé e sé. 
"Mmm. Sicuro sia solo questo?"
"Si, certo! E ti pare poco? Nun è che c'hai l'amante vero?" scherzò il romano sperando di cambiare argomento.
Il veronese scoppiò a ridere "Certo, non aspettavo altro! Tu che te ne vai in una pericolosa missione sotto copertura e io che ne approfitto per trovarmi qualcuno che ti rimpiazzi. Ovviamente, certo Mario. Ha proprio senso. Come se potessi trovare qualcuno che ti sostituisca. Mai".
Ecco, tipico di quel ragazzo. Diceva sempre di avere il cuore di ghiaccio, ma da quando il romano lo conosceva poteva affermare con certezza che di ghiaccio Claudio non aveva nulla. Se non quegli occhi verde-azzurri. Era riuscito a trasformare una presa in giro alla gelosia insensante di Mario in una dichiarazione d'amore che riscaldò il cuore dell'Ispettore.
"Non finisci mai di sorprendermi Claudio Sona." mormorò felice. E "che mi stavi dicendo prima? Che succede in commissariato?"
"Niente di che, solo che manchi a tutti, a Marco in particolare! Mi ha chiesto di salutarti e di tornare presto! Andrea è sempre il solito invece, da lui non ti aspettare nulla!" Rispose il veronese con un piccolo sorriso.
"Non avevo dubbi." Borbottò Mario con un mezzo sorriso, dimenticandosi per un attimo lo stato in cui si trovava e cambiando posizione sul divano, mossa di cui si pentì immediatamente, quando un dolore atroce gli spezzò il fiato e lo costrinse a morsicare le labbra per non rilasciare un gemito.
"A proposito amore, ti aggiorno sulla situazione.. stasera ho fatto nuove conoscenze con due membri della gang. Hanno il tatuaggio sulla tempia, e uno di loro è il fratello di Federico. Penso siano pesci abbastanza grossi, ma ne saprò di più nei prossimi giorni.. si chiamano Ruggero e Andrea, detto Andy."
"Ottimo, ottimo Ispettore! Sapevo che avresti trovato un modo per sbloccare la situazione! Il mio uomo è il miglior agente di Verona e dintorni!" Affermò Claudio, orgogliosissimo di lui.
"Ti amo Cla." Mario non riuscì a non sorridere, quel ragazzo era davvero la sua pillola del buonumore; riusciva sempre a farlo sentire meglio.
"Anche io Mario, anche io. Continua a fare del tuo meglio e torna da me. In fretta grazie." Rise il veronese.
"Oh credimi lo farò. Non vedo l'ora amore mio. A presto, ti amo."
"Ti amo."
Ormai salutarsi con quelle due bellissime parole per loro era una tradizione, ma per entrambi sentirsele dire dall'altro sarebbe sempre stato un meraviglioso shock. Non si sarebbero mai potuti abituare alle sensazioni che provocavano. Mai.
Dopo la chiacchierata con il veronese, il romano si costrinse ad alzarsi per raggiungere il letto, molto lentamente; passando davanti allo specchio a muro, potè notare come il suo viso fosse già costellato da lividi violacei, ed immaginò che la stessa sorte fosse toccata al suo torace, ma non riuscì a controllare: raggiunto il letto, ci si sdraiò lentamente sopra, ancora vestito. Crollò all'istante, stremato dalla giornata appena trascorsa e fisicamente a pezzi, ma con la gioia nel cuore. Ed aveva solo un nome: Claudio Sona.

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