Capitolo 8.1 - Alla ricerca dei pianeti (parte 3) ✅

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«Il liquido del radiatore è totalmente fuoriuscito, ma dovremmo comunque riuscire a rimetterla in moto e proseguire finché non fonderà il motore! Sempre meglio che farcela a piedi già da qua. Non capisco però perché si sia fermata...» ammise Michele, mentre armeggiava nel cofano.
«Beh, senza carburante non può di certo ripartire», sentenziò Mercucio, rispondendo alla sua domanda, mentre strofinava pollice e indice annusandoli.

«Ma come è possibile?» chiese lei confusa. «Abbiamo appena fatto il pieno!»
«Scheggia, a quanto pare condizioni i fluidi. Non chiedere a me come tu abbia fatto, ma a occhio e croce il tuo obiettivo era quel cretino che ti ha fatto arrabbiare», le rispose il moro dagli occhi color cioccolato, emettendo poi una potente risata.
«Cosa ridi? Ci sei nato stupido o lo sei diventato? Dovremo farcela a piedi fino a Dresda, lo capisci?», intervenne il diretto interessato, alterato dalla leggerezza dell'altro.
«Agitarsi è inutile, non credi? Se imprecassi non cambierebbe ugualmente la situazione, tanto vale farci una grassa risata e mettere gli zaini in spalla. Ci aspettano venti chilometri sotto il cielo stellato», affermò di rimando Michele, che aprì il bagagliaio tirandone fuori il suo borsone.

«Voi siete pazzi, non possiamo aspettare che si faccia giorno?» chiese la ragazza, ancora provata da quanto avvenuto; era disorientata, aveva bisogno di ragionare e le gambe non la reggevano, sentiva come se le energie le fossero state risucchiate, le sembrava di aver corso una maratona intorno al globo.
«Stiamo già perdendo troppo tempo, non possiamo permetterci di perderne altro, Scheggia», affermò risoluto Michele; le allungò il suo zaino dandole pure il proprio borsone, si girò di schiena e, piegando le ginocchia, le indicò di salirgli in groppa.
«Avanti, Scheggia, arrampicati a scimmietta: ti porto io in spalla. So che sei esausta, ma dobbiamo incamminarci.»

Lei lo guardò dubbiosa, accettando poi il passaggio, sentendo lo spagnolo sbuffare sonoramente.
«Che c'è, Dispenser, sei forse geloso?» lo prese in giro lei ironica, allacciando gambe e braccia al corpo di Michele.
«Smettila di chiamarmi Dispenser», la redarguì lui sbuffando, avviandosi per la strada senza attenderli; aveva allacciato la spada dietro la schiena e la pietra, che splendeva più che mai nel buio pesto che li circondava, fece sì che potessero seguirlo senza perderlo di vista.

Dopo diversi minuti di cammino, fu Stella a spezzare il silenzio.
«Mi dispiace per quello che ho detto oggi.»
Michele non riuscì a intuire a cosa si riferisse.
«Di cosa ti stai scusando, Scheggia?»
«Non avrei dovuto dire che non vali niente. In questi giorni ti stai rivelando l'unico che pensa davvero a me, che capisce cosa provo e che cerca di farmi stare serena, per cui grazie, Michi.»
Lui non rispose, allora lei ebbe paura di aver detto qualcosa di sbagliato.
«Posso chiamarti Michi, vero?» si affrettò a chiedergli.
«Sì, certo», sospirò. «Perdonami, sono solo sorpreso. È la prima volta che non mi insulti.»
Tra i due calò nuovamente qualche secondo di semenzaio, spezzato poi dall'ironia di Michele: «forse dovrei segnarmelo.» Così dicendo, riuscì ad allentare un po' la la tensione che si era venuta a creare, tanto che lei, di tutta risposta, gli diede un pugno sul petto.
«Occhio, faccio sempre in tempo a insultarti», ribatté minacciosa, per poi scoppiare a ridere, contagiando anche il moro.

«Se voi due piccioncini poteste fare meno baccano, potremmo avere meno possibilità di trovarci un'orda di demoni alle calcagna, non credete?» proclamò irritato Mercucio, dando enfasi alle su parole con gesti plateali.
Quei due gli davano sui nervi; sembravano aver trovato una strana connessione tra loro e la cosa lo urtava.
Non avrebbe permesso a quell'idiota di rovinargli i piani e, fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto, sarebbe riuscito a separarli. Fu riscosso dai suoi pensieri da una luce in lontananza: si trattava di una casetta in legno, circondata da alberi piantumati su di un giardino talmente verde da sembrare finto. Un grande portico caratterizzava la struttura, ma non fu quest'ultimo ad attirare la sua attenzione, bensì quel che si trovava sotto di esso.

Sun and Moon - TRILOGIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora