Capitolo 15.1 - Addio

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"Lucio, Lucio, Lucio... avresti dovuto fare più attenzione!", proruppe Agata, girando intorno al corpo del pover uomo stramazzato al suolo. Rantolava parole sconnesse, sperando che la figlia fosse ancora in ascolto. Tentava con tutte le sue forze di darle la risposta di cui aveva bisogno, ma la mezzodemone gli assestò un calcio ben piazzato alle costole, facendogli mancare il fiato.

Intanto dal microfono giungeva una voce strozzata dal pianto, quella di una Stella disperata, che avrebbe voluto avere il potere del teletrasporto pur di trovarsi in quel momento lì col padre sofferente. Non riusciva a capire quanto stesse accadendo, col cuore stretto in una morsa di panico e paura.

Agata, senza alcun briciolo d'umanità, prese quell'oggetto da cui grida terrorizzate continuavano a irrompere nella stanza, portando la chiamata in vivavoce per far sentire quello strazio anche all'inerme Lucio.
Udendo quanto quelle grida fossero intrise di dolore, tentò di far uscire il suono della sua voce, andando contro l'agonia al petto, per calmarla, così come faceva quando, da piccola, nel cuore della notte, si intrufolava nel suo lettone per paura dei mostri nell'armadio, non sapendo che i veri mostri li avrebbe un giorno conosciuti e odiati, affrontati e, sperava nel profondo per lei che era la sua luce, annientati.

La mezzodemone avvicinò il telefono al suo volto, beffeggiandolo sadicamente.
"Cosa vorresti dire, capo? Non ho sentito bene... Ricaccia indietro l'emozione del momento, forza, è solo tua figlia, non vergognarti! Parla pure, coraggio!", emise poi la stessa risata malefica che era scaturita in lei non appena aveva affondato il pugnale affilato nelle sue carni. Aveva mirato alla scapola sinistra, non voleva morisse all'istante, voleva vivere quel momento di gloria e supremazia su quel malcapitato, padre di una figlia spocchiosa e irritante, che avrebbe pagato a caro prezzo ogni affronto ch'ella avesse subito da quando aveva iniziato a lavorare in quel pacchiano locale.

"Papà, ti prego, papà, non mi lasciare anche te!", pianse Stella questa preghiera disperata.
"Brutta stronza, io ti ammazzo, mi hai sentita? Fosse l'ultima cosa che faccio, io ti sventro! Fa che non ti becchi, strega, perché giuro che di te non rimarrà neanche il ricordo!", la minacciò la rossa.
Agata non si scompose affatto.
"Bla, bla, bla... oh, capo, che dici? Shhh, silenzio Stellina, papi ha qualcosa da dire!", li schernì ulteriormente.

"Te... teso...", Lucio spese ogni sua energia per poter sopportare un respiro più profondo; probabilmente una costola incrinata puntava su di un polmone, si sarebbe spiegato così il perché di quelle fitte lancinanti.
"Papà, non sforzarti, ti prego!".
"Tesoro, ti... ti voglio... bene", sputò fuori quell'ultima parola con tutto l'amore di cui disponeva per la sua bambina, quella donna che non avrebbe mai più riabbracciato, che non avrebbe mai accompagnato all'altare, pensando che non sarebbe più potuto diventare vecchio accerchiato da nipotini che assomigliassero a lei.

Uno spasimo ancora più intenso di quello fisico pulsava, invadeva la sua anima triste e dilaniata. Non sarebbe stato mai più al suo fianco, ma sperò con tutto sé stesso che lo avrebbe ritrovato ogni giorno nel suo cuore, che avrebbe seguito i preziosi consigli, quelli che le avrebbe sicuramente concesso se solo fosse rimasto in vita, che avrebbe fatto tesoro di ogni insegnamento datole, che non sarebbe annegata in un mare di disperazione, ma anzi avrebbe da esso trovato la tenacia necessaria per affrontare l'avvenire non col ricordo di un genitore defunto, bensì con quello di un padre che l'aveva sempre amata.

Una tosse incessante prese il sopravvento su di lui, un liquido vermiglio sostituì quella confessione pronunciata poc'anzi a favore della ragazza dalla chioma rossa, rossa come quel sangue che aveva ormai formato un lago sul pavimento chiaro.
Era la fine.

"Papà, te ne voglio anch'io, tantissimo! Ti prego, resisti, non abbandonarmi anche te!", pianse senza trovar pace e singhiozzi convulsi arrivarono dall'altoparlante.
"Non... posso... mi... disp... iace, Te... soro! Addio... a... mo... re... mio!", pronunciò a fatica quell'ultimo saluto, intervallato da colpi di tosse brevi e continui.
Una lacrima scese solitaria dalla palpebra sinistra, scorrendo lenta lungo la pallida gota, quando rinunciò a lottare la sua battaglia contro la morte, quella che capì di aver perso non appena varcata la soglia di casa, dimora che aveva racchiuso anni di pace, gioia e amore, ma anche di eterno tormento.

Sun and Moon - TRILOGIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora