Wonderland - Noi ragazzi

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Il riflesso negli occhi del ragazzo non sembrava il suo volto, distorto e mescolato nella sua iride, toni diversi sovrapposti. Cadere in quei contrasti era così semplice e dolce, quieto; il soccombere di un animo arrendevole nel silenzio, che scivolava nella polvere.

Si abbandonava a quel corpo familiare, ma allo stesso tempo sconosciuto, nel mondo della materia appariva come alterato, oppure era il mondo della mente, dove avevano vissuto così a lungo, ad esserlo. Le membra di entrambi arrivavano ad essere delle belle gabbie, delle trappole per topi, ma forse non era così rilevante quell'affermazione.
Chiusi gli occhi, il mondo diventò oscurità rassicurante.
Il respiro restò regolare, alzando ed abbassando i petti, il battito cardiaco restava l'unico suono predominante.
Nessuna parola in quella pace.
Il calore di entrambi li cullava, nessun pericolo reale nel mondo circostante, finalmente quell'esperimento era concluso.
Tornavano a vivere, ma continuando a scappare allo stesso modo di allora, questa volta insieme.

L'aria carica di fumo li aveva raggiunti, mentre erano immersi nell'oscurità della notte, protetti da quella fidata compagna di misfatti di ladri e bugiardi assassini, come loro due erano. Nulla di nuovo sotto la luna, che vegliava su quei suoi figli negligenti, mentre avevano trovato una via d'uscita da quella gabbia nefasta.

Affondavano i piedi in della sabbia scura, fredda, leggera, che veniva sollevata bruscamente al loro passaggio in una corsa scattante e frettolosa, come la lepre, che avanza veloce per preservare la sua vita. La loro velocità era dettata dalla paura, non da un'impeccabile forza fisica ed allenamento, ma non esitavano ad evitare di fermarsi.
Nessuna parola, neppure ne avevano il tempo, facendosi strada tra i rami, che graffiavano braccia e gambe, ostacolando il loro avanzare insieme all'incremento dei rovi.
Il paesaggio si faceva man mano più arido, roccioso, non riconoscevano quel posto, ma la sensazione di familiarità era lieve, nascosta. Erano stanchi, non sapevano neppure fin dove si fossero spinti, senza mappa e con una meta vaga.
L'alba non accennava a mostrarsi, anche se il tempo passava inesorabile e loro erano sempre più provati, un timore atavico si faceva strada nella mente e nel corpo, una consapevolezza.
Erano tornati nella loro stessa prigione, mescolata agli altri, senza via di fuga se non il risveglio. Il fumo e la cenere stava cominciando ad offuscare la vista, senza un'origine precisa, opprimeva il petto rendendo difficile la respirazione.
Nessuno che poteva salvarli.
Quale fine orribile, ignobile, senza gloria. Crollarono a terra, contorcendosi dal dolore, la pelle bruciava, sciogliendosi, gridando, piangendo, soli nella loro fine.
Abbandonarono quel mondo nella sofferenza, come erano nati e come avevano vissuto, divisi, animi solitari ed indipendenti da altri.

*

Si svegliò di scatto, il corpo tremava, in quello smarrimento dopo un brusco risveglio. Lasciò scivolare le dita sul materasso e la coperta, neppure una fonte di luce a rischiarare quell'oscurità soffocante.
Non un punto di riferimento ed il silenzio la tranquillizzò in parte.

Nessuno sembrava essersi abituato a rivedere il proprio corpo cambiato, ubbidivano il più delle volte, reprimendo l'odio ed il disprezzo per tutti quei visi apatici d'infermieri.
Lo detestavano con tutto il cuore quel dottore dai capelli chiari, quasi bianchi, dagli occhi di un profondo rosso.
Non sarebbero rimasti a guardare ancora, lasciando andare in degrado la loro storia, avrebbero cambiato il finale scontato di bestie rinchiuse in anguste gabbie.
Erano spietati, senza nulla da perdere e insieme, in un gruppo sgangherato loro quattro, collaborando in qualche modo, raccimolando odio, fremendo dal voler recidere i fili di tutti quei burattini blu, per colpire il capo di tutto, cercando di sistemare i corpi, troppo deboli per compiere quelle loro fantasie di sangue.

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