Il racconto

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L'indomani mi svegliai più stanca della sera prima. Quel sonno agitato mi aveva devastata fisicamente e moralmente. Non avevo la forza di alzarmi, così rimasi a girarmi tra le lenzuola per un po'. Al pub avrei attaccato alle 20.00 quindi avrei potuto organizzare la mia giornata. Prima dell'intrusione dello sconosciuto il programma per quel giorno era quello di iniziare il trasloco, ma in quel momento avevo bisogno di trovare il coraggio per rientrare in quella che sarebbe stata la mia nuova casa.

Decisi di vestirmi e di non indugiare più sulle mie paure. Quando dovevo affrontare un ostacolo lo facevo come un kamikaze perché odiavo restare in sospeso, in un limbo carico di domande senza risposta e di dubbi. Preferivo la realtà nuda e cruda. Dovevo entrare nel giardino della mia casa, assicurarmi che lo pseudo-fantasma non ci fosse più e varcare la soglia dell'ingresso senza bloccarmi sull'uscio. Questo era il nuovo programma. Quella determinazione mi aiutò a svegliarmi dal torpore, insieme ad una tazza calda di caffè.

Camminai a passo svelto e sicuro, mi sentivo invincibile e sicura finché non mi trovai di fronte al cancelletto del giardino. Presi le chiavi e le introdussi lentamente nella serratura. Un brivido freddo mi percorse la schiena. Ripensai al giorno precedente, al terrore misto al calore, a quel viso enigmatico che mi aveva soggiogata per quei minuti che mi erano sembrati eterni. Poi mi feci coraggio e aprii la porta. La luce del sole regalava un profilo molto meno inquietante a quel giardino, anche la fontana riluceva insieme al verde delle piante. Tirai un sospiro di sollievo, non c'era nessuno e tutto era calmo e silenzioso. Gli uccellini beccavano a terra e cinguettavano senza sosta, persino una farfalla colorata venne a rallegrare quel quadro di serenità che fece scomparire in un batter d'occhio tutte le sensazioni negative della giornata precedente. Chiusi il cancello alle mie spalle e arrivai fino alla porta d'ingresso. La aprii sicura e misi piede nel saloncino che mi accolse con i suoi caldi colori: il beige delle pareti, il rosso del divano di pelle e delle tende, il legno scuro dei mobili, l'oro del lampadario. Mi sentii davvero bene. Felice di aver preso la decisione di affrontare subito i miei timori. La persona che aveva invaso la mia privacy la sera precedente sembrava non essere mai esistita, tutto era al suo posto, mi venne quasi il sospetto di essermi davvero inventata tutto. Andai nella piccola cucinetta che si raggiungeva attraverso la porta a soffietto alla destra del salone. I mobili laccati bianchi illuminavano quell'ambiente attraverso i riflessi del sole che penetravano la piccola finestrella con le tende decorate all'uncinetto. Mi feci un caffè e mi stupii di come quel luogo mi sembrasse già familiare. Nonostante lo avessi solo visto esternamente sapevo dove trovare le posate, le tazzine, la macchinetta del caffè. Pensai fosse puro intuito, d'altronde non ero mai stata molto razionale.

Quel secondo caffè mi scese nella gola dolcemente, lo assaporai fino a quando una voce non mi fece sobbalzare e il nero della bevanda non finì per farmi quasi soffocare tingendomi la camicetta bianca, i jeans e le scarpe da ginnastica. «Sara...che bel nome!» Quella voce la conoscevo, come avrei potuto dimenticarla! Era la stessa del giorno prima. Appena finii di tossire e di rantolare per il caffè andato per traverso mi voltai e lo vidi appoggiato allo stipite della porta della cucina. Il presunto 'fantasma' era lì in tutto il suo splendore e mi guardava con un'espressione sensuale e ammiccante che mi bloccò quel poco di fiato che era rimasto in gola. Le gambe si piegarono e mi accasciai a terra con lo sconcerto impresso negli occhi e il cervello che non riusciva più a portare a termine un pensiero razionale. «Non riesci proprio a stare in piedi quando mi vedi! Potrei montarmi la testa!» disse ironicamente l'uomo. Poi si avvicinò tendendomi la mano per aiutarmi a sollevarmi da terra. Istintivamente gliela porsi e mi alzai ancora barcollante. Mi accompagnò sul divano dove mi fece sedere. «Non volevo spaventarti...di nuovo» Sembrava sincero ma era tutto così strano. Azzardai la domanda: «Ma chi sei e come fai ad entrare senza chiavi?» In effetti mi sentii stupida a porre quelle domande ma non riuscivo a sintetizzare altro. «Lo so, ti sembrerà strano, ma sono il figlio di Marco. Ma ti prego, non andare più da lui, non può spiegarti nulla così come non puoi capire tu, almeno non ora. Non spaventarti, non sono qui per farti del male, al contrario voglio proteggerti» Lo guardavo come se fosse un alieno, le sue parole giungevano alle mie orecchie come attraverso un eco lontano. Ma cosa stava cercando di dire? Forse semplicemente non volevo sapere, perché era tutto troppo irrazionale. Riuscii solo a rispondere con un 'Non capisco' che non stupì più di tanto il mio interlocutore. «Hai mai sentito parlare di reincarnazione?» mi chiese allora l'uomo misterioso. «Si ne ho sentito parlare» risposi titubante. «Ecco...io credo che tu sia la reincarnazione di qualcuno che ho conosciuto 25 anni fa, prima di morire» «Aspetta quindi mi stai dicendo che...tu sei un...fantasma? Cioè io sto parlando con un fantasma? Mi stai dicendo questo? E io sarei...non so cosa! E...cos'altro? Io...io credo che tu sia semplicemente pazzo e che se non esci immediatamente da questa casa chiamo la polizia. Ecco a cosa credo io» Tentai di alzarmi per raggiungere il telefono nella borsetta appesa all'attaccapanni ma rimasi immobilizzata come se qualche forza invisibile mi stesse tenendo inchiodata. «Che succede? Io...non capisco!» «Non voglio farti del male» disse l'uomo tentando di calmarmi «ma ascoltami ti prego, sono qui per aiutarti» «Io non ho bisogno di essere aiutata. E se ce ne fosse bisogno chiamerei Luca, non certo uno sconosciuto» «Chi? Quello che hai mollato al bar e che parlava solo di sé stesso?» tornò l'ironia sferzante a tentare di rompere la tensione del momento. Ma non ci riuscì perché altre domande si sovrapposero nella mia mente. «Cosa? Mi stavi spiando? Cos'altro non so? E perché non riesco a muovermi?» «Una domanda alla volta ok? Partiamo dalla prima. Si, ti sto osservando da tempo, da quando ho saputo che volevi vivere in questa casa. Mio padre sono anni che cerca di affittarla e non ci riesce perché è stata maledetta» «Cosa? Maledetta? E' uno scherzo?» «Saprai tutto. Ma non affrettiamo le cose altrimenti aumenterà solo la tua confusione» «Ti ascolto ma per favore liberami da questa stretta. Mi sento soffocare» dissi prima di continuare. L'uomo fece un cenno con il capo e la forza invisibile scomparve. Era chiaro che non fosse umano. Mi sentii meglio e mi venne la strana curiosità di conoscere il resto della storia. In fondo se avesse voluto farmi del male lo avrebbe già fatto, pensai. Poi l'istinto mi diceva di fidarmi e per quanto tentassi di resistergli non riuscivo a rinunciare all'idea di ascoltarlo pur sapendo che la mia parte razionale continuava a ripetermi che sarei finita nei guai. «Questa era la mia casa, tanti anni fa. Vivevo da solo e lavoravo come direttore dell'ufficio postale. Mi piaceva l'idea di mettere in contatto persone lontane. Un'idea romantica, lo so, anche se in realtà la mia mansione era molto meno romantica del motivo per cui avevo intrapreso quel mestiere. Ero annoiato e mi sentivo soffocare in un ruolo che non mi permetteva di essere libero. Immerso tra scartoffie e dinamiche da ufficio, sgambetti, rancori e problemi. Ma credevo che comunque avrei continuato a svolgere il mio lavoro come volevano i miei genitori. Ero indipendente economicamente e avevo una certa stabilità» «Ma non ti bastava e ti sentivi in colpa nel sentirti così, vero?» «Esatto» «Conosco bene la sensazione...» «Non ne avevo dubbi» disse lui sorridendo. Mi resi conto in quel momento che in quella paradossale situazione mi ritrovai a fraternizzare con un fantasma che il giorno prima mi aveva spaventata a morte e che ora mi sembrava anche quasi di comprendere mentre mi raccontava la sua storia da vivo. Doveva essere un sogno, non poteva essere reale. Queste cose si vedevano solo nei film! Ma lui continuò incurante dei miei pensieri. «Un giorno, però, tutto cambiò. Ero andato al fiume a fare una nuotata. Era un pomeriggio di inizio primavera, l'acqua era fredda ma mi piaceva la solitudine, avevo bisogno di pensare. Avevo mangiato un'ora prima, ma probabilmente quell'acqua così fredda mi bloccò la digestione. Mi sentii d'improvviso così male che non feci in tempo a tornare a riva e persi i sensi. Credetti di morire. Ma così non fu, non quel giorno. Mi risvegliai e vidi un viso bellissimo, una donna che mi sorrideva. Mi aveva salvato ma appena mi ripresi mi accorsi che non era una donna qualsiasi: era una sirena. Aveva risalito il fiume dalla foce come mi raccontò di fare, a volte, per osservare gli uomini e mi aveva visto annegare» Il pensiero si spostò subito verso l'immagine delle statue della fontana del giardino «Quella della fontana?» «Esatto» «E...l'uomo sei...tu?» «Si...m'innamorai subito di lei. Non era importante cosa fosse, era la donna della mia vita» «Ma...le sirene non esistono!» «Se vorrai continuare ad ascoltarmi capirai che oltre ciò che conosci esiste molto di più. Sarai stupita e... appena aprirai il tuo pensiero, ti accorgerai che quel qualcosa che non immagini è tutto intorno a te solo che ti hanno sempre convinta a non vederlo perché considerato assurdo. E tu semplicemente gli hai creduto. Credo che per oggi sia sufficiente. Ora devi decidere se andare avanti o dimenticare tutto» «Tu puoi farmi dimenticare?» «Si, se lo vuoi. Ma sono sicuro che non lo vorrai» Il sorriso sensuale e ammiccante tornò ad illuminare quel viso. Aveva ragione, non volevo dimenticare, ma c'era qualcosa che non avevo chiaro e che dovevo sapere prima di continuare per quel sentiero sconosciuto e impervio nel quale quell'uomo voleva condurmi così glielo chiesi. Mi sollevai e mi posizionai di fronte a lui fissandolo intensamente e dissi: «Io ho bisogno di sapere una cosa prima di fidarmi di te. E sappi che non sono sicura di fare la cosa giusta. Chiunque dotato di razionalità sarebbe fuggito in preda al panico. Io...non so dirti perché sono ancora qui ad ascoltarti. Ma voglio esserci: questa casa mi sembra familiare come nessun'altra e anche tu mi trasmetti qualcosa che non so spiegarmi. Ma oltre alla promessa di poter interrompere tutto se lo vorrò devo sapere una cosa. Ti ho toccato e non sembri un...fantasma, sembri un uomo qualsiasi ma...hai dei poteri. Tu...cosa sei?» La voce mi tremava leggermente e il timore della risposta mi rendeva fragile e confusa, ma non potevo sopportare più quel dubbio che mi attanagliava lo stomaco. Lui mi fissò a lungo, nei suoi occhi potevo intravedere un oceano di sensazioni. Voleva dirmi tutto, lo sentivo, ma non poteva, mi avrebbe persa se avesse osato troppo. Così rispose alla domanda senza aggiungere altro: «Se me lo chiederai ti farò dimenticare tutto. Sono un angelo» E sparì nel nulla davanti ai miei occhi lasciandomi un vuoto che mi fece barcollare. Un angelo. La sua risposta mi rimbombò nella testa per il resto della giornata. Ebbi però una certezza. Dovevo traslocare in quella casa il più presto possibile.

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