Ginevra

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La tenuta era enorme vista dall'interno, lunghi corridoi erano tempestati di porte di legno intarsiate, si sentiva un vociare continuo, musica di ogni genere, odore di fumo misto a incenso che saturava l'aria. Camminammo silenziosamente, Zairon non sembrava in vena di confidenze, era assente, assorto completamente nei suoi pensieri. Passammo accanto ad una coppia di statue in bronzo che sembravano molto antiche, poste sui due lati del corridoio, le braccia brandivano due spade lucenti, il capo era chino, in segno di rispetto, parevano dare il benvenuto a chi le costeggiava. Mi fecero una certa impressione; appena superate mi voltai d'istinto per controllare che le loro armi non ci colpissero.

L'atmosfera cupa riempiva l'aria e mi trasmetteva un senso di ansia, così chiesi a Zairon: «Perché è tutto così spettrale qui dentro?». Lui mi rispose continuando a camminare: «Ci sono degli esseri, tra noi, che non gradiscono la luce». Pensai a tutti i mostri notturni che mi vennero in mente e rabbrividii tentando di allontanare le immagini che mi apparivano alla mente.

Facemmo ancora alcuni passi, quando, nel fondo del corridoio si affacciarono un ragazzo ed una ragazza che camminavano l'uno accanto all'altra. Erano pallidi ed emaciati, i loro occhi scavati mi fissavano. All'apparenza erano normali, forse un po' dark nei loro abiti stretti e neri. Lei indossava dei pantaloni in pelle leggermente lucidi mentre lui era elegante nella sua giacca scura dal collo vistoso e ampio. Zairon non si scompose, conosceva tutti lì dentro, l'unica cosa che notai fu la sua mano che si ancorò al mio braccio. Non capii subito il motivo, almeno non finché la ragazza non mi sfiorò la spalla mentre l'angelo la salutava chiamandola Gemma. La vidi girarsi scattosamente verso di me mostrando due zanne ai lati della bocca. Il suo viso aveva assunto una forma simile a quella di un animale rabbioso, sembrava volesse sbranarmi.

«Bloccala maledizione!» gridò l'angelo strattonandomi e scaraventandomi verso la parete opposta a quella della donna.

Il suo compagno la spinse verso il muro con forza per non farla muovere mentre le gridava: «Guardami! Devi controllarti, puoi farcela! Guardami, sono io, Nick».

La confusione nella mia testa non mi faceva ragionare con lucidità, non sapevo cosa fare e non riuscivo a razionalizzare, quelle zanne continuavano ad apparirmi e a spaventarmi. Zairon riuscì con fatica a farmi tornare alla realtà. Quando ricominciai a respirare con cadenza quasi regolare anche la ragazza si era calmata ma i suoi occhi profondi continuavano a bucare i miei. Udii la sua flebile voce dirmi: «Scusa» senza troppa passione né troppa convinzione. I due esseri sparirono velocemente nel buio e io mi voltai verso l'angelo in cerca di una spiegazione.

«Sono vampiri, Sara. Lei è 'nuova', Nick le sta insegnando a controllarsi.»

«Ok, bene...vampiri. Sono vampiri. Non c'è niente di strano, è tutto normale! Tu sei un angelo, Lily è una strega e ora ci sono pure i vampiri. Cos'è questo posto, un covo di mostri partorito dalla mente di qualche scrittore fantasy?»

«E' un mondo di 'invisibili' che esiste tra i 'normali'...» rispose con la sua solita calma.

«Certo, ovvio, perché non ci ho pensato prima...»

«Sara, lo so che sei rinata tra i 'normali' e...ti senti una di loro...capisco che sia difficile per te ma, credimi, non è stato semplice nemmeno per me. Non dimenticare che io ero un 'normale' prima di conoscerti come sirena. Si stata tu, allora, a farmi entrare in contatto con il mondo degli 'invisibili', quindi so esattamente cosa provi. Ma c'è una cosa che ho imparato in questi anni: questi 'mostri', come li chiami tu, non sono poi così diversi dagli umani. Mio padre mi ha lasciato morire senza esitazione per salvare mia madre. E...lo capisco, lui l'amava...ma...io ero suo figlio! Avevo tutta la vita davanti! Avremmo potuto trovare insieme una soluzione per riportarla qui e invece no. Lui mi ha eliminato dalla sua vita e dai suoi pensieri, e ha spinto anche mia madre a dimenticarsi di me. Ora chi è il mostro Sara?» la sua voce salì di tono, segno che stava soffrendo profondamente.

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