Fusione

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Non so dire quanto tempo io avessi dormito, sicuramente non poco, il calmante iniettato da Lily mi rendeva ancora stordita e confusa. Ci misi un pò per ricomporre tutto il puzzle che era in quel momento la mia vita, composta da due esistenze che si stavano attorcigliano nella mia mente: una da umana che ricordavo perfettamente e l'altra da sirena, della quale erano tornati alla mente solo dei frammenti.

C'era una cosa, però, che, quando riaffiorò, mi colpì più delle altre. Era il ricordo di mia sorella Charlotte. Nella vita umana ero figlia unica e l'idea di avere accanto una sorella mi era balenata nella mente tante volte, soprattutto quando non avevo nessuno a cui confidare i miei pensieri o le mie angosce. Essere umani e adolescenti non era stato facile, non in una città come Roma, sempre caotica e carica di esistenze in corsa che non si fermavano mai ad osservare a fondo o ad ascoltare i bisogni altrui. I primi amori, le prime delusioni, quelle che non raccontavo a mia madre per vergogna, magari con mia sorella le avrei condivise, ci avremmo riso su, davanti ad un cioccolato caldo in qualche domenica piovosa. Ma lei non c'era stata...

Eppure con Charlotte avevo vissuto l'altra adolescenza, quella da sirena, qualcosa di lei doveva essere da qualche parte nella mia testa solo che ancora non affiorava, solo pochi frammenti mi parlavano della sua dolcezza eppure bastavano a farmi sentire una sorta di mancanza.

Dovevo trovarla, parlarle, liberarla da Alyssa, ma come? Se davvero era ancora in quella prigione in fondo al mare, come avrei potuto raggiungerla? Dovevo aspettare che mi tornasse la coda, che mi tornasse la memoria, che avessi di nuovo i poteri, e magari avrei dovuto anche imparare ad usarli di nuovo. Tutto questo mi faceva impazzire, mi faceva pulsare le tempie dolorosamente.

Mi alzai con fatica, il calmante fluiva ancora nelle vene, misi goffamente un piede dietro l'altro, tenendomi al muro. Attraversai un lungo corridoio, avevo bisogno di uscire, mi mancava l'aria. Nessuno mi udì arrancare finché non fui all'aperto, finché non vidi uno spicchio di flebile sole accarezzarmi la pelle. Avevo bisogno di quel calore, avevo bisogno di piangere, così lasciai fluire le lacrime copiose nel giardino della tenuta, confusamente e senza freni.

Non passò molto tempo prima che qualcuno si accorgesse di me. Mi voltai e vidi avvicinare a passi leggeri Gemma, bianca come un lenzuolo, con la luce che le sbatteva sulla pelle e sugli occhi serrati. Mi irrigidii pensando all'aggressione, se ne accorse, e si fermò a mezzo metro da me. Sembrava volesse dirmi: «Stai tranquilla, non voglio farti del male». Non avevo nulla da perdere così mi rasserenai e aspettai di sentire le sue parole. Se era lì con me doveva esserci un motivo.

Mi osservò per pochi secondi, poi, con aria interrogativa, mi disse: «Sei davvero come tua madre?».

Rimasi un pò scossa e titubante, non sapevo cosa rispondere, a malapena sapevo cosa fosse la mia vecchia madre. Era chiaro che si stesse riferendo ad Alyssa.

«Forse» dissi in maniera vaga. Ero stanca e affaticata e la mia condizione era sicuramente visibile.

«So come ti senti» disse Gemma sicura.

La guardai con aria di sfida e le chiesi: «A si? E come?»

Non si scompose, sembrava sapere bene il fatto suo. «Hai paura» aggiunse senza espressione.

La guardai negli occhi e le dissi falsamente: «Non ho paura di niente, ora lasciami in pace».

Stavo per andarmene ma lei continuò: «I vampiri hanno i sensi sviluppati, posso sentire l'odore della tua paura e a guardarti bene si vede che stai messa male anche fisicamente»

«Si può sapere cosa vuoi?» Le urlai in faccia disperata.

«Aiutarti. Tua madre spaventa anche me. E se tu fossi come lei...forse potresti affrontarla meglio di chiunque altro di noi qui dentro»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 26, 2019 ⏰

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