Il ritorno di Luca

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Era domenica e io non ero più io da qualche giorno ormai. Avevo perso ogni certezza, ogni sprazzo di serenità, mi guardavo intorno e niente era più come prima. Mi sentivo come una città spazzata al suolo da un uragano, segnata dalla violenza dei venti e delle piogge incessanti. Era impossibile poter credere che i miei genitori non fossero veramente tali, che tutta la mia vita fosse stata solo una bugia per ingannare l'attesa stabilita da Alyssa nel suo incantesimo. Sentivo ogni ricordo sgretolarsi dentro una sofferenza difficile da spiegare. Anche Luca era incastrato in una parte della mia esistenza che non era reale. Come avrei potuto affrontarlo? Spiegargli la verità sarebbe stato assolutamente illogico, lo avrebbe spinto troppo lontano e non ero pronta a perderlo. Raccontare bugie non era la mia specialità ma dovevo affrontarlo fingendo che tutto fosse come prima almeno per un po', non avevo altra scelta.

Arrivò alle 13:00 all'aeroporto e un'ora dopo era già di fronte al portone della mia nuova casa con un trolley grigio colmo e pesante, un completo nero serio e professionale, una ventiquattr'ore e una grande fretta di vedermi. Me ne resi conto quando al terzo suono del campanello andai in giardino ad aprire e mi ritrovai nel pieno di un assalto. Mi baciò senza che nemmeno me ne rendessi conto. Quel sentirmi distante al telefono evidentemente lo aveva colpito. Una settimana prima avrei dato qualunque cosa per essere accolta così da Luca. Strana la vita, ora che la confusione regnava sovrana nella mia testa ecco che quell'uomo improvvisamente aveva chiaro cosa voleva dal rapporto con me. Chiusi con difficoltà il cancello d'ingresso, Luca mollò tutto ciò che occupava le sue mani e mi spinse baciandomi verso la porta di casa. Entrammo e lo portai verso la stanza da letto. Eravamo mano nella mano, labbra tra le labbra. I nostri corpi sembravano calamitati e attratti l'uno dall'altro. L'angelo aveva detto di continuare a vivere come se nulla fosse e io avevo bisogno di una parentesi di normalità. Così, come ubriaca, mi lasciai trasportare senza opporre resistenza. Le sue mani erano calde e mi accarezzavano con dolcezza. Finimmo tra le lenzuola fino a sera, senza parlare, il che era positivo, non mi costringeva a dare spiegazioni.

Luca si offrì di preparare la cena, sembrava un idillio senza fine, tanto che quella perfezione iniziava a stonare in mezzo alla rivoluzione nella quale annaspava la mia anima. «Come è andata a Londra?» chiesi per spostare l'attenzione su di lui. «Bene, si prospetta un periodo intenso, ma i capi sono contentissimi del lavoro che tra l'altro è stato accolto benissimo dai clienti!» «Beh, non ne avevo dubbi, eri così entusiasta del tuo progetto!» sorrisi sinceramente. Il lavoro era sempre stata la sua priorità tanto da fargli dimenticare me e le mie esigenze.

Lo osservavo attentamente per capire cosa fosse cambiato in me. Una settimana prima ogni mia cellula avrebbe orbitato intorno a lui ad ogni suo movimento, ad ogni inflessione della sua voce. Quella domenica, invece, mi sentivo quasi in colpa per aver abusato del suo tempo e averlo utilizzato come diversivo per dimenticare le stranezze delle quali ero venuta a conoscenza negli ultimi tempi. Incredibile come tutto sia così mutevole, come si possa rimanere ancorati alle proprie convinzioni per una vita e poi, in poco più di una manciata di ore, scardinare tutto senza ripensamenti. «Cosa c'è Sara? Ti vedo assente» Come dargli torto, lo ero. Mi sforzavo di non pensare a Zairon, cercavo di relegare il pensiero di lui in un angolo ma quel viso riaffiorava continuamente. Quelle sue mani calde che sfioravano le mie spalle, quella sua voce roca, quel suo accorato preoccuparsi per me. Non potevo dimenticarlo, così come non potevo dimenticare la storia di Alyssa, la mia presunta vera madre.

D'un tratto la sala da pranzo s'incupì, Luca rimase come paralizzato con la bottiglia di vino a mezz'aria nella mano destra e nell'altra un calice vuoto. «Dalia» la voce dell'angelo risuonò tra le pareti, mi aveva chiamata Dalia, come la sua sirena. Mi sentii svenire, aveva il viso scavato e gli occhi sofferenti. «Cosa ci hanno fatto? Mi sto struggendo nel vederti tra le sue braccia. Io non posso permetterlo» la sua voce si alzò e fece un gesto violento in direzione di Luca ma si paralizzò quando mi sentì urlare: «Nooooo, fermati». Non potevo permettergli di fargli del male, ero pronta a bloccarlo con le mie mani se necessario. «Zairon, non farlo. Ti prego» Chiuse gli occhi rigonfi di rabbia e di sofferenza ma mi ascoltò. Si fermò. E si fece da parte. «Zairon, io...sono Sara, Sara. Non sono Dalia» A quelle parole mise giù le mani e mi guardò con le lacrime che gli tagliavano il viso come lucide lame trasparenti. «Tu non capisci. Non puoi capire, perché non ricordi niente, maledizione!» urlò, poi aggiunse «Niente». «Io...non so cosa dire...» «Vieni con me. Domani a mezzanotte passerò a prenderti. E' tempo ormai che tu sappia. Tua madre arriverà e io preferisco dirti tutto prima. Ci sono degli amici poco lontano da qui, nella dimora nella quale mi nascondo, in mezzo ad un bosco ai Castelli Romani . Fidati di me o non potrò aiutarti» «Va bene. Farò come dici. Ma promettimi che terrai fuori da questa situazione Luca, che non gli farai del male» Rimase a guardarmi per un po', lottando con sé stesso e con la sua gelosia poi mi disse: «Mi sei stata portata via contro la mia volontà. Sono anni che lotto con tutte le mie forze per andare avanti. E lo faccio solo per te. Non lascerò che un umano incapace di vedere il tuo valore possa portarti via da me di nuovo. Ti ho trovata nel purgatorio e se possibile ti ritroverò anche all'inferno. Ti prometto che non lo ucciderò. Ma lo faccio solo perché me lo hai chiesto tu»

Fremeva e tremava mentre pronunciava quelle parole che come spilli si appuntavano nella sua gola. Potevo sentirne l'intensità e il dolore che gli causavano. Avrei voluto stringerlo ma appena feci un passo verso di lui si scansò, Luca continuò a versare il suo vino ignaro di tutto e svanì in una nuvola di vapore trasparente. 

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