Capitolo 13

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È dimenticando i ricordi che le persone riescono a vivere. Ma vi sono cose che non si devono assolutamente dimenticare.

(Neon Genesis Evangelion)




*** *** ***




La pioggia cadeva ipnotica. Gocce pesanti si aggrappavano al vetro della finestra impedendo a Yoongi di attraversarla con lo sguardo. La strada, i palazzi e gli alberi lo giudicavano immobili, inchiodandolo a quel momento infinito. Un grigio impasse gli ricordava quante cose fossero cambiate dall'ultima volta che aveva visto Hoseok.
Aveva avuto modo di concentrarsi nel suo scopo e poteva dirsi soddisfatto. Miracolosamente era riuscito a evitare qualsiasi forma di comunicazione col mondo esterno, specialmente con lui. Le risposte ai suoi messaggi divennero sempre più telegrafiche, cominciò a deviare alcune delle sue chiamate e finalmente era arrivato al punto di ignorare qualsiasi notifica. La cosa più difficile di tutte fu vederselo comparire al lavoro. Sapeva, ovviamente, che sarebbe successo ma non credeva potesse essere così dura. Mai finora gli era capitato di dover sfidare se stesso nel creare una barriera contro gli altri, capacità che solitamente si mostrava da sola senza essere tirata in causa. Eppure, quando dall'altra parte c'era quel viso... Dovette ammettere che gli costò una fatica enorme. Malgrado tutto, c'era riuscito. Quella volta il cielo era splendente, una giornata di quelle perfette, con il sole che batteva imperioso dalle vetrate del bar. Aveva biascicato qualche scusa, fingendosi faticosamente affaccendato pur di non incrociare il suo sguardo. Era palese come stesse semplicemente cercando delle scuse per evitarlo, senza fare veramente qualcosa, e solo dopo un tempo accettabilmente lungo alzò la testa. Hoseok era ancora lì, a fissarlo a dispetto del sole che probabilmente lo stava accecando, la guancia sinistra dorata e alcuni riflessi di luce gli scaldavano i capelli. Ma nessun tipo di calore irradiava da lui, che gli sembrò una persona totalmente diversa, nuova sotto molti punti di vista. In un certo senso fu come guardare un tramonto morente in un paesaggio che non ci appartiene, conosciuto nelle sue sfaccettature ma così diverso ed estraneo da catturare il fiato. In pochi secondi si sentì completamente perso. In viaggio su un treno la cui velocità non era al passo con la sua percezione, vide scorrere di fronte a sé quell'Hoseok che non riconosceva più come suo. Nulla servì a metterlo al riparo dalle emozioni che gli scaturì la vista dei suoi occhi inebetiti e imploranti il cui ricordo, né allora né davanti a quella pioggia scrosciante, sembrava smettere di tormentarlo.
Da quel momento non ebbe più timore di gestire un loro incontro dal vivo; il tavolino vicino alla porta era diventato un via vai di sconosciuti e Yoongi quasi non lo degnava di alcuna attenzione, come se non esistesse. Era un sollievo il fatto che Jungkook non accennò mai alla questione, non che potesse essere altrimenti dato il suo mutismo nei confronti del più giovane. Ma era inutile voltare le spalle e fingere di non accorgersene. Nonostante tutto, il suo istinto lo portava a guardare verso la porta ogni volta che si apriva, a cercare fra quelli dei clienti il suo viso. E per questo si odiava, per la faccia tosta con cui nel profondo del cuore sperava che Hoseok si facesse rivedere, spazzando via l'orribile comportamento di Yoongi nei suoi confronti. Non era altro che l'ennesima riprova che ci fosse del marcio dentro di lui, da cui doveva assolutamente tenerlo lontano.
Doveva anche ammettere, senza troppi giri di parole, che gli mancavano le frasi sarcastiche dell'altro barista. Volendo distaccarsi da tutti decise di optare per una soluzione drastica e, dopo numerose volte in cui si sentì respingere dai suoi silenzi ostinati, il ragazzino aveva semplicemente smesso di tentare qualsiasi approccio. Le giornate lavorative tra loro ora proseguivano con deprimente mollezza, ripetitive e alienanti. La sua presenza, solitamente vibrante, era diventata quasi trasparente, facendo di Jungkook un efficiente e terribilmente noioso cameriere. Ma forse era Yoongi ad aver perso consistenza, una pallida copia di se stesso, e in ogni caso si sentiva un bastardo ad avergli rubato ingiustamente parte della spensieratezza. Jimin era una vera consolazione in questo senso. Poteva giurare di vedergli rifiorire un sorriso tremendamente infantile mentre se ne stava accucciato dietro il bancone a inviargli con eccitazione l'ennesimo messaggio. Andava bene così, a lungo andare se ne sarebbe fatta una ragione per poi disaffezionarsi a quella sua versione ancora più scialba.
Sperò succedesse la stessa cosa con Seokjin e innumerevoli volte aveva tentato di tagliare i ponti anche con lui e Namjoon. Le difficoltà pratiche che il vivere nello stesso condominio comportavano non erano le peggiori nemiche dei suoi intenti, quanto piuttosto il carattere persistente dell'amico. Per Yoongi stargli lontano si rivelò essere come vivere senza una parte essenziale di sé, non vitale sebbene necessaria nella sua quotidianità; tuttavia era abbastanza testardo da non lasciarsene convincere. Jin non era affatto così e glielo mostrava in ogni modo possibile. Il "FUCK OFF" stampato sul suo zerbino, ormai assiduamente coperto da buste piene di cibo, aveva preso a sbuffare un ridicolo "FUFF" che aveva tutto l'aspetto di uno di quei ringhi maldestri che Dal faceva quando era scontenta. Che fosse o meno intenzionale, l'ironia aveva uno stile talmente simile alle freddure di Jin da essere incisiva al pari di una delle sue sgridate. Non di rado gli era capitato di sentirlo bussare con insistenza alla sua porta. Ogni colpo era in grado di strozzargli il respiro nella paura che si potesse sentire la sua presenza dall'altro lato. E così Jin aveva superato tutti gli stadi conseguenti quell'isolamento, passando dalla condiscendenza -quando ancora credeva si trattasse di una temporanea, instabile presa di posizione nei riguardi di Dio solo sa cosa- alla rabbia ruggente. L'unica variante in quel teatrino fu il mutare del suo tono di voce.
"Ancora non ti sei stufato? Insomma, ho conservato una cassetta di birra solo per te."
"Min Yoongi esci da questa dannatissima casa! Ci siamo già passati, cazzo! Che ti dice il cervello?"

Già. Il suo cervello non era riuscito ad elaborare una soluzione diversa e, in entrambe le occasioni, Yoongi poté solo abbassare la testa ricevendo in silenzio quel castigo. Questo finché non arrivò il giorno in cui, finalmente, Jin sotterrò ogni tentativo di offesa per retrocedere in una passiva ritirata.
"So che ci sei. Quando avrai finito di mangiare lasciami i contenitori puliti qui fuori. Qualsiasi problema tu abbia, vedi di risolverlo in fretta. Mi manchi, stronzo".
Era il loro copione fisso ormai. Dopo un paio di giorni, nell'utopica attesa che Yoongi si facesse vivo di sua spontanea iniziativa, Jin gli si accostava alla porta. Ripeteva fiacco quelle parole, ricolme di pause perché troppo pesanti da sostenere, sforzandosi di dimostrare un coraggio che andava scemando, ma cocciuto tanto da perseverare. Puntualmente non trovavano mai risposta e con un ultimo colpo, debole e sconsolato, guardava verso lo spioncino come a ricercare un ipotetico contatto tra loro, per poi andarsene. E Yoongi poteva finalmente espirare, consapevole di abbandonare ogni volta un pezzo di se stesso, del legame che li univa.
Nel silenzio del suo appartamento i pensieri lo opprimevano e aveva l'impressione di sentire voci sconosciute che si calpestavano a vicenda al solo scopo di creare confusione nella sua testa. Troppo spesso si immaginava mentre usciva per scappare dalla loro stretta, ma il rischio di incontrarsi con gli altri lo teneva imprigionato al chiuso. La trincea che si era scavato attorno si era irrobustita di giorno in giorno, fino a diventare un giaciglio confortevole, difficile da abbandonare. L'unica compagnia di cui si circondava era costituita dagli scritti del padre. Riconosceva che a questo punto erano diventati una vera e propria ossessione per lui, ma non poteva evitare di farsi inghiottire nel loro mondo. Le pagine, lette troppe volte, erano docilmente spianate e l'insana realtà che portavano con loro si era insinuata nel suo animo ponendo radici profonde. Era venuto a conoscenza di molte cose, anche se nessuna era in grado di trascinarlo fuori da una discesa autoimpostosi nell'abisso. Ma sapere, avere coscienza delle sue effettive limitatezze, costituiva per lui l'unica corda di cui disporre per non toccare il fondo. Era strano rendersi conto di quante cose lo stessero avvicinando all'uomo che aveva tanto deprecato nel corso degli anni. E ora, invece, si sentiva sempre più simile a lui, in sintonia come se attraverso quelle parole gli stesse trasmettendo parte di sé, quella più tormentata e vicina al cuore dei suoi disagi. O forse a connetterli era il suo medesimo stato di esperimento, a fargli vivere quei ricordi in prima persona. E quindi si stringeva a quelle parole costruendo un nuovo Yoongi capace di accettarsi per quello che veramente era. Le accoglieva come fece con la mano gentile che in uno dei suoi sogni gli aveva scostato i capelli, sussurrandogli dolci rassicurazioni. E allo stesso tempo le detestava con tutto se stesso per aver soppiantato con frammenti di memorie non sue quello che era riuscito a creare da solo. Perché crogiolarsi in un passato dimenticato quando quello stesso tocco amorevole, che per orgoglio spesso scansava, Jin glielo riservava ogni volta che aveva la febbre? Perché avrebbe dovuto desiderare l'abbraccio della sorella quando, in fondo, si era sentito a casa tra le braccia di Hoseok?

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