Capitolo 14

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"Che cos'è questo nulla?"
"È il vuoto che ci circonda, è la disperazione che distrugge il mondo e io ho fatto in modo di attrarlo."
"Ma perché!"
"Perché è più facile dominare chi non crede in niente e questo è il modo più sicuro di conquistare il potere."
(M. Ende - La storia infinita)




*** *** ***




I cereali navigavano persi nella tazza di latte, ancora qualche secondo e avrebbero assunto una consistenza spugnosa per poi affondare inesorabilmente verso il fondo. Ingoiò senza alcun desiderio di cibarsene davvero -specialmente ora che il liquido era diventato una melma vischiosa- ma era l'unica soluzione che il frigorifero vuoto aveva trovato per placare il suo stomaco che guaiva come una fiacca belva affamata. Guardò assente i residui raccolti sul fondo di ceramica cercando di lasciare andare la stanchezza che lo minacciava.
Quella notte aveva tentato di accantonare tutto semplicemente chiudendo gli occhi, sforzandosi di sparire e cadere nell'incoscienza. Invece, il suo corpo lo aveva tradito ancora una volta, riproponendogli con crudele violenza il filmato dei loro mesi passati insieme, riproducendo in loop l'ultima tenace preghiera di Hoseok. A un certo punto doveva essersi addormentato, per puro sfinimento, e ora il suo fisico era provato ma ancora di più lo era il suo spirito inquieto.
L'orologio alla parete batteva i secondi scandendo il ritmo dei suoi respiri. I rintocchi, sorprendentemente simili a quelli nell'asettica stanza d'ospedale del suo inconscio, erano martellanti. Nel suo mondo in bianco e nero, stordivano l'ultimo vago barlume di ragione. Come un disco rotto, la voce di Hoseok continuava a ripetersi sgranata. Probabilmente non era stata una scelta saggia quella di mangiare in salotto davanti alla televisione, accesa per pura abitudine. Abitudine... poteva dirsi tale un'attività presa in prestito da qualcun altro? Ricordava con perfetta chiarezza la loro unica conversazione al riguardo.
"Come diavolo fai a guardare la cronaca di prima mattina e a uscirtene di casa raggiante come un fottuto folletto?"
"Potrei risponderti con qualcosa di estremamente sexy, del tipo:
è colpa tua se sono così radioso, dolcezza. Questa notte è stata magica! Ma so che probabilmente-"
"Ti troveresti sbattuto fuori di casa con una commozione cerebrale."
"Esatto. Quindi ti dirò la verità, ben inteso che confermo tutto ciò che ho detto. Fin da piccolo ho sempre visto i miei genitori fare colazione così; non era niente di speciale, mi svegliavo e li trovavo lì a commentare ogni tanto o ad ascoltare in silenzio. Con il tempo ho imparato ad associare quel semplice gesto al senso di 'famiglia', come qualcosa di naturale."

E invece non riusciva a ricordare con precisione quando quella situazione divenne parte delle loro mattine, coi capelli ancora arruffati e i muscoli caldi e morbidi dal sonno. Strinse con rabbia il telecomando e spense l'apparecchio, odiando come gli fossero tornati alla luce quei ricordi tanto banali. La sua mente deambulava senza fine, avrebbe dovuto disincantarsi e ancorarla a un obiettivo concreto, concentrando i suoi sforzi nel prendere infine una decisione. Ma la parte coscienziosa di sé -avvezza a parlare prendendo a prestito la voce di Seokjin- sembrava essersi rintanata in un letargo da cui non voleva risvegliarsi. E proprio in quel momento, più che nei miseri giorni passati al riparo da qualsiasi interazione sociale, sentiva la necessità di rimediare a quel silenzio. Ma che diritto aveva di chiedere aiuto? Solo un vero stronzo avrebbe osato avvicinarsi a chi gli aveva offerto tutto ed era stato preso a pesci in faccia. O forse a impedirglielo era il suo stupido ego, consapevole di dover affrontare una sfida più grande di quelle con cui si era mai confrontato. Era una situazione decisamente nuova per lui, l'ennesima novità capace di terrorizzarlo. Tuttavia, la necessità incalzava e così quella sera fu lui a bussare alla porta che per tanti anni lo aveva accolto senza bisogno di preavviso. Insicuro, le mani iniziarono a inumidirsi dall'imbarazzo e dall'agitazione che lo divoravano. Delle unghie rasparono dall'altro lato e per una volta si sentì rassicurare dal comportamento sempre così espansivo di quel cucciolo peloso. Dei passi avanzarono decisi verso la porta seguiti solo da un lungo silenzio; le parti si erano invertite e poteva giurare che Jin se ne stesse addossato allo spioncino, ponderando come agire. La metaforica coda arricciata tra le gambe di Yoongi pesava come una presenza talmente spinosa da scatenargli addirittura repulsione. Tutto dentro di lui si paralizzò non appena realizzò come potesse chiamarsi la scure che pendeva sul suo collo. Vigliacco, non c'era altro modo di definire se stesso e solo di fronte al volto stizzito di Jin poté rendersene veramente conto. Si sentiva completamente in soggezione, investito dall'impatto dei molteplici stimoli che si sollevarono a caricare il colpo. Involontariamente, abbassò lo sguardo verso la punta delle morbide ciabatte rosa pastello. Cercò di convincersi che non c'era nulla da temere dall'uomo di fronte a lui, almeno a giudicare dalle sue calzature; convinzione che andò lentamente scemando quando, alzando il capo, si scontrò con la vista dei muscoli gonfi e contratti delle sue braccia incrociate. Si fece coraggio riuscendo finalmente a sostenere il suo sguardo.
"Posso entrare?" Jin semplicemente si scansò, le braccia ancora ostinatamente intrecciate ma nei suoi occhi si intravedevano pagliuzze di curiosità.
Si sedette sulla poltrona portandosi le gambe al petto, un infantile tentativo di protezione, attendendo paziente che il padrone di casa si mettesse a suo agio di fronte a lui per cominciare quell'esame di coscienza. Le sue sopracciglia erano ancora lievemente aggrottate in un cipiglio che, nonostante tutto, non riusciva a sconvolgerne il bel volto. Poi ne rilassò i tratti, per dare voce a quanto già era riuscito ad esprimere perfettamente in modo non verbale.
"Devo dirlo, Yoongi, non avrei mai immaginato ti saresti deciso a farti vedere. Ne hai avuto di fegato!"
Non si era mai sentito investire da tanto gelido sarcasmo da parte sua; si raggomitolò maggiormente su di sé, disorientato da quel lato di Jin così nuovo per lui che si sarebbe detto quasi disinteressato. Le sue convinzioni cominciarono a vacillare, strette come erano da un senso di inadeguatezza. Jin sembrava aver strizzato con fermezza un laccio emostatico attorno al suo cuore e Yoongi non riusciva a spiegarsi come potesse ancora sentire qualcosa di simile al dolore.
"Ho... ho bisogno di parlarti", quella frase da sola gli costò un enorme sforzo, ma per un attimo volle immaginare di essere coraggioso, "non sono stato corretto e so che è opportunistico da parte mia presentarmi così, ma è arrivato il momento di-"
"No, non è stato semplicemente scorretto, è stato proprio ignobile. Hai fatto una cazzata, Yoongi, e non me lo meritavo."
La mancanza di furia era, se possibile, peggiore di qualsiasi litigio. Il suo volto aveva addirittura perso ogni traccia di stizza per mostrare invece un'intransigenza piatta come la ferma aria invernale. Poteva solo sperare che si aprisse uno spiraglio di sole.
"È vero ma, per quel poco che può valere, voglio che tu ne sappia le ragioni. Non sono venuto in cerca di perdono, ti prego solo di starmi a sentire." Non sembrava nemmeno lui, ma d'altronde ormai erano poche le volte in cui si riconosceva davvero.
Il lieve cenno della testa di Jin, visibile solo di profilo, fece infine calare l'ansiosa ascia sul sottile mantello ghiacciato che aveva rivestito Yoongi e ricoperto la loro relazione.
"Mi sono trovato a scoprire alcune cose, informazioni sul mio passato, che hanno sconvolto il mio... vivere abituale. Ho pensato che la cosa migliore da fare fosse allontanarmi da voi". Non era sicuro di voler aggiungere altro, ma doveva almeno provarci.
"La cosa migliore per chi, per te?"
Studiò il volto di Jin boccheggiando come un pesce arenatosi su una scogliera, aprendo e richiudendo la bocca, auspicando che le parole giuste gli uscissero liquide, abbastanza da non farlo annegare. Si osservarono così per un bel po', la patetica imitazione di due pugili sfiniti, cercando di venire a patti con le proprie emozioni per poi aprirsi al dialogo.
"Credevo davvero di stare facendo la cosa più giusta e no, non per me. Tu non hai idea di cosa voglia dire vedere le proprie certezze distrutte da-", non si era reso conto di aver alzato la voce. Poteva sentire la punta delle sue orecchie riscaldarsi fino a intonarsi col rossore che certamente stava divampando dal suo collo. L'amico, se poteva ancora chiamarlo in quel modo, rimase colpito da quello scoppio così improvviso, così poco Yoongi per essere reale, eppure non disse nulla né fece alcunché per fermarlo. Era come se tutto lo sdegno che Jin aveva covato in quei mesi fosse trasmigrato dentro Yoongi, facendo marcire quel rancore che, in realtà, provava solo verso se stesso. Ma in quel momento, dal battito accelerato e il tempo in stasi, non se ne rese conto. Tuttavia, prese coscienza di dover rimediare a quell'ulteriore mancanza di rispetto -solo un santo se ne sarebbe stato buono ad ascoltare- e si convinse a calmarsi. Abbandonò la testa tra le mani aperte sul suo grembo, pronte a ricevere il peso dei suoi sbagli.
"Mi spiace, Jin. Mi sembra di girare continuamente sullo stesso caotico posto e ho bisogno di un aiuto. Sento che da solo non riuscirò a uscirne." Ancora una volta, si sentì piccolo, talmente simile all'indifeso bambino di quelle foto slavate dal tempo da rendere persino ridicola la sua precedente scelta di esiliarsi. Eppure seppe di star facendo la cosa migliore spogliandosi di qualsiasi difesa e, inaspettatamente, due solide braccia circondarono le sue spalle; una mano si poggiò delicata dietro la sua testa, un sostegno più che valido per arginare la deriva dei suoi pensieri.
"Va bene, tranquillo. Ora spiegami, non posso fare nulla se non mi aiuti a capire."
Yoongi sollevò piano la testa, rassicurato dalla ritrovata dolcezza nella voce di Jin, i cui occhi erano così limpidi che gli trafissero il cuore. Vedendoli non riuscì a perdonarsi per aver dimenticato quella sensazione, la calda sicurezza di un abbraccio e il sorriso gentile e protettivo che -sì, ora ricordava- aveva il calore del grembo materno. Qualsiasi paura di sentirsi giudicato si volatilizzò e con semplicità fece tabula rasa di qualsiasi paletto che si era frapposto tra loro. Con devastante facilità diede sfogo ai suoi dubbi, a quanto velocemente le parole del padre si erano fatte strada dentro di lui come un veleno dolce e terrifico, o il fatto che, nonostante tutto, voleva credere alla loro veridicità. Disse ogni cosa, salvo l'unica che contava davvero e che inconsapevolmente lo tormentava, la più pericolosa delle sue perplessità: credeva a suo padre perché solo così avrebbe potuto dare un senso alla sua vita. In fondo, non è proprio questo che ci spinge ad andare avanti ogni giorno? Trovare se stessi, uno scopo alla propria esistenza.
L'unico rumore presente nella stanza era il lontano scalpiccio di Dal, intenta a trascinare in giro per la casa una vecchia e mangiucchiata scarpa, un tempo appartenuta a Namjoon.
"Non voglio criticarti, la decisione di attenerti o meno a quanto hai letto spetta a te. Lasciami dire comunque che mi risulta difficile accettare quella che sembra solo tanta fantascienza scritta da un uomo disperato; ma..."
La schiettezza con cui Jin era intervenuto venne poi interrotta dalla posata accortezza di chi, in realtà, non intendeva sbilanciarsi in modo così definitivo. Con le mani aperte di fronte a sé mimò il suo interesse a troncare le sue stesse asserzioni per dare un giudizio più moderato.
"è che secondo me non è probabile che sia davvero come hai detto. Yoongi, non mi pare proprio che tu sia incapace di amare. E se per caso io mi stessi sbagliando chiediti soltanto: cosa ti ha spinto davvero a uscire dal tuo guscio? Pensaci, credo troverai lì la risposta a tutte le tue domande."
Non disse altro, si allontanò per tornare alle sue faccende, lasciando spazio a Yoongi affinché indagasse il significato delle sue parole. Ogni tanto sbirciò nella sua direzione, trovandolo nella stessa posizione di prima, perso nei suoi pensieri. Quando vide la sua ripiegata figura avvicinarsi alla porta per uscire dal suo appartamento -"Qualsiasi cosa succeda, io sarò qui"- fu certo di aver mosso le corde giuste. Ora era tutto nelle sue mani e sperava davvero che le cose si risolvessero.
Tornò nuovamente alle sue faccende, idealizzando il giorno in cui avrebbe visto un sorriso spensierato nel volto di Yoongi.

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