~The Party~

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KAHLEN

Rimasi in giro con Brady per un altro paio d'ore, parlando della sua imminente trasformazione. Sarebbe cominciata a mezzanotte e, forse, era per quello che suo padre non gli aveva parlato del gala.

Semplicemente non ci sarebbero andati. Ma non potevano scegliere un giorno differente come riunione delle fazioni? Quando almeno ci sarebbero state tutte.

Il resto del pomeriggio lo trascorremmo camminando in giro per la città e, quando arrivai a casa, erano già le cinque.

Avevo meno di due ore per prepararmi. Sarebbero bastate, no?

Aprii il cancello del vialetto di casa e, da lontano, scorsi un pacchettino per terra. Mi avvicinai e lo raccolsi.

Sulla stessa carta gialla dell'invito e con la stessa calligrafia perfetta, c'era scritto: K.M

Era chiaro che veniva dai Mikaelson. Ma da Klaus o da Kol?

Me lo misi in tasca ed entrai in casa. Non c'era nessuno.

Andai in bagno e mi spogliai. Mi infilai sotto la doccia e mi lavai il corpo e i capelli. Cercai di fare più in fretta possibile così che, quando mia madre fosse tornata, io sarei già stata pronta per cambiarmi.

Mi misi il mio accappatoio candido e uscii dalla doccia.

Presi il districante, lo spuzzai sui capelli, e cominciai a pettinarli con forza. Erano pieni di nodi. Successivamente presi il phon e li asciugai per bene. Accessi lo schermo del cellulare. 18:10.

Cavolo. Dovevo sbrigarmi. Presi la piastra e mi lisciai velocemente i capelli.

Non avevo tempo di farmi quelle complicate pettinature.

«Kahlen, spero tu sia pronta!», sbraitò mia madre sbattendo la porta d'ingresso.

«Arrivo, mamma», le risposi. Tolsi l'accappatoio, infilai la biancheria intima e la raggiunsi nell'altra sala.

Mentre mi aiutava ad indossare l'abito mi chiese cosa fosse quel pacchettino. Me n'ero totalmente scordata.

«L'ho trovato sulla soglia.»

«Farai meglio ad indossarlo.» Mia madre aveva veramente paura dei Mikaelson. Ed era una cosa davvero rara.

Infilai anche le scarpe e lei si soffermò a guardarmi.

«Sei stupenda», disse abbracciandomi. Si asciugò una lacrima. Lei era già pronta. Indossava un elegante tailleur marrone e delle scarpe a spillo dello stesso colore.

«Grazie», dissi ravviandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Mancavano solo venti minuti all'inizio del gala. Era meglio non arrivare in ritardo. Ritornai in bagno. Mi misi un po' di mascara e uno strato fine di fondotinta. Fissai il tutto con un po' di cipria e con un rossetto nude matt sulle labbra.

Tornai in sala dove mia madre e mio padre mi stavano aspettando. Quest'ultimo indossava uno smoking che lo facevano sembrava ancora più serio del solito.

Presi il pacchettino dal tavolo e lo aprii. All'interno c'era una collanina. Era argento, semplice con un solo ciondolo. Era una perla. Mia madre mi aiutò ad indossarla e, prima che potessi dire qualcosa, suonarono al campanello.

Mia madre andò ad aprire e si fece più seria che mai.

«E ora di andare», disse.

Ad aspettarci, fuori, c'era una limousine mandata in esclusiva dai Mikaelson.

***

Probabilmente da una festa del genere mi sarei aspettata la villa dei Mikaelson stipata di persone, di streghe, licantropi e vampiri.

Invece no.

Era piena di umani soggiogati che erano obbligati a passare tutta la sera a bere e a divertirsi. Oltre alla famiglia Mikaelson, non c'era nessun essere soprannaturale.

Mio padre teneva a braccetto mia madre mentre, io, gli camminavo un paio di passi indietro. Il rumore dei miei tacchi era l'unica cosa a farmi compagnia.

La sala era grande e piena di luci. Le persone erano tutte vestite in modo elegante e tenevano in mano bicchieri di champagne o piccoli antipasti salati.

«Mamma...», dissi avvicinandomi a mia madre «Cosa devo fare...?», le chiesi. Non sapevo neppure come comportarmi.

«Sorridi e fai come le altre persone. Mangia, bevi e balla. Non dare nell'occhio», mi sussurrò lei.

Ci separammo. I miei genitori raggiunsero i Mikaelson in fondo alla sala mentre io cercai di evitarli. C'erano tutti. Kol, Klaus, Rebekah ed Elijah.

Scartai a sinistra, sperando di non aver dato nell'occhio, ma andai a sbattere contro qualcuno. Stavo per scusarmi ma, quando il mio sguardo si posò sul suo viso, ammutolii.

«Eviti qualcuno?», mi chiese Kol. Mi voltai indietro, dove l'avevo appena visto e poi ritornai a guardarlo.

«Ho...dato questa impressione?», dissi cercando di mantenere un tono più calmo possibile. Rise e se ne andò.

Mi si avvicinò un cameriere, mi porse un bicchiere di champagne e io lo afferrai. Iniziai a sorseggiarlo, cercando di concentrarmi solo sul suo sapore.

«Sei minorenne. Non potresti bere», disse mio padre venendomi incontro.

«È stata mamma a darmi il permesso», dissi con aria innocente. Fece un sorriso divertito e poi si rifece serio.

«Tesoro, qualunque cosa succeda fai come ti dicono. Di qualsiasi cosa parlino, non credergli. Mi hai capito?» Iniziavo a spaventarmi.

«Papà...», cominciai.

«Hai capito?», mi interruppe lui con voce ferma e severa. Annuii.

La musica cambiò. Un lento.

Mio padre si allontanò, ritornando da mamma, e io stavo per allontanarmi per sfuggire all'imbarazzo di non avere un accompagnatore quando qualcuno mi afferrò per il braccio.

«Mi concede questo ballo?», chiese Kol, serio.

Alzai il braccio e gli appoggiai la mano sulla spalla. Lui afferrò la mia mano e la mia vita. Aveva una presa molto ferma. Probabilmente se non fossi stata tra le braccia di Kol, mi sarei sentita molto al sicuro.

Cominciammo a muoverci a ritmo di musica.

Quando ero piccola io e mia madre ci divertivamo a ballare, per quello avevo imparato.

«L'hai messa», disse Kol.

«Che cosa?», dissi confusa. Ero ancora immersa nei miei ricordi.

«La collana», mi rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

«Oh. Sei stato tu?» gli chiesi.

«E chi altri?», rispose in tono fiero.

Non mi sentivo molto a mio agio a ballare con lui.

Sapevo abbastanza cose sulla famiglia Originale. Kol era stato trasformato a 21 anni ed era il più piccolo, Rebekah a 24, Klaus a 25 ed Elijah- il più grande dei quattro- a 27.

Dimostrava fisicamente solo un anno in più di me. Praticamente nulla.

Quando il ballo finii, Kol mi prese a braccetto e mi portò via.

Fai come ti dicono sentii le parole di mio padre ripetermi. Mi trattenni dall'istinto di strattonare il braccio e liberarmi dalla sua presa.

Faticai a stargli dietro da talmente correva veloce e, i tacchi, non agevolavano questa operazione.

«Rallenta...», chiesi con voce supplicante. Senza nemmeno voltarsi rallentò il passo.

Si fermò davanti alle scale e io mi misi accanto a lui.

«Andiamo», disse mettendomi una mano sulla schiena per incitarmi a precederlo su per le scale. «Siamo quasi arrivati.»

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