~The discovery~

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KAHLEN

Cercai di salire le scale con più decoro possibile. Non ero mai stata brava a camminare sui tacchi.

Kol era subito dietro di me. Era davvero molto strano pensare che in realtà, in anni umani, ne aveva solo uno in più di me.

Quando arrivammo in cima al corridoio, mi superò. Notai che, a destra c'era un'altra scala che portava a un altro piano mente, alla mia sinistra, c'era un corridoio costeggiato da quattro porte.

Kol si mise davanti alla prima a sinistra del corridoio e, prima di bussare, lasciò il braccio sospeso a mezz'aria.

«Stammi vicina», mi disse. Poi bussò. Pochi secondi dopo aprì la porta ed entrò, ed io lo seguii.

La stanza non era molto grande, aveva una camino infondo che occupava gran parte della sala e una scrivania di legno al centro.

Abbandonai Kol dov'era e raggiunsi i miei genitori. Cercai di ignorare la sua smorfia di disapprovazione concentrandomi sui quadri.
Poco dopo anche lui raggiunse i suoi fratelli. Le due fazioni schierate: umani e vampiri.

I quadri che c'erano appesi al muro rappresentavano dei paesaggi magnifici ed era evidente che fossero tutti originali.

Spostai la mia attenzione sui miei genitori. Mia madre era rigida e fredda mentre, mio padre, anche lui rigido, cercava di parlare con più calma e cordialità.

Mi avvicinai a mia madre e le tirai leggermente la giacca del tailleur. Lo facevo sempre quando ero piccola per attirare la sua attenzione quando avevo paura. Anche se ero cresciuta, in quel momento mi sembrò di essere ritornata piccola, messa a confronto e nella stessa stanza con gli originali.

Lei fece scivolare dietro la mano minuta e me la strinse un paio di volte con un po' di forza. Era il nostro modo di trasmetterci forza a vicenda.

Di scatto tirò via la mano e io constatai il motivo. Klaus aveva notato il nostro scambio d'affetto e sorrideva malizioso.

Indossava, come Kol ed Elijah, uno smoking nero e una camicia bianca. Il tutto conformato da un papillon nero. I capelli erano tirati indietro da del gel e c'era da ammettere che tutti i Mikaelson erano davvero molto belli.

D'altro canto, Rebekah, indossava un abito azzurro, senza spalline, contornato su tutto il decolté con dei piccoli diamantini. Le scarpe erano dello stesso colore dell'abito, leggermente più scure, mentre i capelli erano legati in un piccolo chignon.

Sul viso aveva solo un po' di fondotinta e un rossetto rosso che la rendeva ancora più bella.

Per quanto la famiglia Mikaelson fosse famosa per la sua reputazione malvagia, era innegabile che erano davvero dei bei ragazzi.

«Kahlen...», disse mio padre riportandomi alla realtà «Segui Kol», aggiunse con voce supplicante. Annuii e mi voltai verso Kol, che si era già diresso verso l'uscita. Cos'era, la mia badante?

Lo seguii in silenzio, senza voltarmi indietro. Andò spedito vero la fine del corridoio e mi tenne aperta la porta, invitandomi a entrare.

Era grande e buia. Accese la luce e cambiò radicalmente.

Infondo c'era un letto a baldacchino con delle tende rosa chiaro, accanto, sul piccolo comodino, c'era una piccola lampada rotonda che mi ricordava molto quella che avevo io a casa. Nella parete a sinistra, accanto all'entrata, c'era la portafinestra che dava al balcone mente, nella parete in faccia, c'era una scrivania in legno di mogano.

Era molto graziosa ma era evidentemente da donna.

«È-è di Rebekah?», chiesi incerta. Non avevo mai parlato con un Mikaelson prima di allora e non sapevo bene come comportarmi. Sapevo che le persone si comportavano con molto rispetto con loro. Come se fossero dei re.

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