~Marcel's death~

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KOL

Quanto era stupido mio fratello. Era talmente preso dal dover uccidere Marcel, salvare la famiglia ed ereditare la città, che non si era accorto cosa mi stava succedendo.

Non capiva che amavo la donna che lui doveva sposare. E sapevo che era sbagliato, ma il cuore non si comanda.

Rebekah, molto probabilmente, lo aveva già capito prima ancora di Kahlen stessa. Non ero nemmeno sicuro che lei lo avesse capito. Era convinta che il mio comportamento fosse dovuto al fatto che mi facesse compassione. Prima della sua morte, era sempre stato Finn quello incapace con le donne. Non io.

Eppure lei mi rendeva diverso. Quando ero con lei volevo nascondere la mia parte vampira. Essere migliore, e non più un assassino che si nutriva di sangue.

Ma sapevo che era impossibile. Dovevo cercare di togliermela dalla testa il prima possibile. O ne avrei pagate le conseguenze da parte di Nik.

Dopo averla riportata nella camera della villa, andai nell'ufficio di Niklaus.

«Cosa intendi fare?», gli chiesi. Alzò la testa e mi guardò, senza dire niente, con la mascella serrata.

«Andare ad ucciderlo. Ora», disse seriamente «E avrò bisogno di te ed Elijah.»

Non gli diedi risposta. Uscii furiosamente dal suo ufficio e imboccai il corridoio, diretto d'altra parte rispetto alla camera di Kahlen. Salii le scale a chiocciola e mi ritrovai sul piano delle camere da letto dei Mikaelson. Sotto, dove alloggiava Kahlen, c'erano tante altre stanze, contenenti oggetti oscuri, grimori, di tutto e di più.

Senza nemmeno bussare entrai nella prima porta e sinistra, dove vi trovai Elijah.

«Fratello! Come posso aiutarti?», chiese lui stizzito.

«Ops, non ho bussato, che maleducato», lo sfottei. «Nik ha bisogno di noi due. Ora.», dissi facendogli segno col capo di scendere.

Senza attendere una risposta me ne andai ed entrai in camera mia, accanto a quella di Elijah.

Aprii il piccolo frigorifero e tirai fuori una sacca di sangue. Portai il beccuccio alla bocca e cominciai a succhiare, volendone sempre di più.

Era quello il motivo per il quale mi ritrovavo spesso pugnalato da Nik: non sapevo gestire la fame. Era come per gli umani mangiare dei dolci. Più ne mangiavi, più zucchero volevi.

Una dipendenza, in pratica. Solo che i dolci ti facevano venire il diabete, io uccidevo.

Qualcuno bussò alla porta. Gettai la sacca sotto il letto, dove ce n'erano già una ventina, risalenti a poco prima, ed andai ad aprire: nessuno doveva sapere che mi nutrivo di nascosto.

Il viso grazioso di Kahlen mi fissava, gli occhi ancora gonfi e rossi.

«Dove state andando?», chiese secca.

Stavo per dirglielo ma poi mi fermai. Quella ragazza aveva un enorme potere su di me. Non potevo dirle tutto quello che mi chiedeva, o si sarebbe resa conto che da me poteva estrarre informazioni facili, e mi avrebbe usato.

«Via. Staremo fuori un po'», dissi chiudendo la porta. Lei appoggiò il piede tra lo stipite e la riaprì.

«Kol...» La sua voce si addolcì. «Grazie, per prima» disse, facendosi riferimento a quando l'avevo sostenuta dopo l'incontro con Höcler. Mi sembrò sincera.

Feci un cenno e richiusi la porta, lasciandola li da sola.

Subito me ne pentii. La riaprii velocemente e, mentre lei se ne stava andando, la afferrai per il braccio e la riportai dentro. Sbattei la porta e ce la spinsi contro. Cosa stavo facendo?

Ignorai la voce nella mia testa e le misi le mani sui fianchi. Lei rimase in silenzio.

Avvicinai la mia bocca alla sua, sentendo il suo respiro caldo ma, quando stetti per baciarla, la porta si aprì.

In meno di un nano secondo, mi spostai il più lontano da lei e mi ritrovai dall'altra parte della camera.

Chiunque fosse, non avrebbe dovuto trovarci vicini.

«Cosa state facendo?», chiese la voce di Klaus.

«Parlando», dissi, sottolineando con gli occhi la distanza tra i nostri corpi.

«È ora di andare», disse con un cenno del capo. Annuii e mi diressi fuori, dopo aver rivolto a Kahlen uno sguardo eloquente.

«Qual è il piano, fratello?», domandai, una volta fuori. Klaus non rispose subito e dal suo sguardo, capivo che non si fidava pienamente. E come potevo stupirmene? Io non sono mai rientrato nella cerchia di fiducia di Klaus, Elijah e Rebekah. Nemmeno Finn mi aveva mai accettato.

Kol Mikaelson: il ripudiato. Andava bene come titolo.

Ma, infondo, ero anche famoso per essere il Mikaelson che non rispettava le regole, e che avrebbe fatto di tutto per non apparire buono agli occhi dei suoi fratelli, anche se la realtà era molto diversa.

Perciò, Niklaus si sarebbe fatto una ragione quando avrebbe scoperto che provavo qualcosa per la sua futura moglie, mi avrebbe pugnalato, e mi avrebbe lasciato a marcire in una bara per un paio di anni. Ormai ne sarei dovuto essere abituato.

«Andiamo da Marcel. E lo uccidiamo», rispose secco. Facile, no? Tre originali contro Marcel. La parità non era uno dei principi di mio fratello.

***

«Kol, a cosa devo l'onore?», disse Marcel, non appena entrai in casa sua.

«Marcel», dissi. Io dovevo distrarlo, mentre Niklaus ed Elijah si preparavano. Probabilmente volevano prendersi gioco del loro giocattotlino, prima di farlo fuori. «Semplici chiacchiere». Socchiuse gli occhi. Qualsiasi persona con un po' di cervello non si sarebbe fidato di me, e Marcel faceva parte di quelle persone.

Quando mi girai e lo guardai negli occhi, mi venne voglia di ucciderlo con le mie stesse mani. Era per colpa sua se lei stava soffrendo così tanto, e stava passando tutto quello.

«Senti, Kol. Sei il Mikaelson che sopporto di meno, e la cosa è reciproca. Quindi, cosa vuoi?» Scoppiai in una fragorosa risata, ma non feci in tempo ad intervenire, perché Klaus ed Elijah fecero capolino dalla porta.

Lo sguardo ardente di Klaus era puntato sul volto di Marcel, e ciò non presagiva nulla di buono.

«Kol. Il tuo lavoro è finito», esordì mio fratello. Aspetta, cosa? Ero lì da nemmeno due minuti. Ma, mi accorsi, che gli sguardi dei miei fratelli non ammettevano repliche.

Ok, allora. Sarò felice di andare sulla tomba di Marcel, che si io a buttarcelo o meno.

Uscii fuori a super velocità, e, in meno di venti secondi, fui davanti al cancello della villa dei Mikaelson. Tesi la mano per aprirlo, ma mi fermai di colpo.

Alzai leggermente il naso all'aria, e inspirai profondamente. Non avevo l'olfatto di Niklaus, ma era palese che c'era qualcosa fuori posto. Odore di licantropo.

Mentre correvo al piano di sopra, pensai già a qualche creatura che, per vendetta, ci avesse assalito e, distinto, spalancai la porta di Kahlen, perché la mia mente aveva già cominciato a fare brutti pensieri. 

E invece mi sbagliavo.

Era seduta sul letto, accanto ad un ragazzo. Capelli neri, alto, muscoloso. L'avevo già visto con lei. Kahlen mi guardava con gli occhi spalancati, mentre il licantropo era terrorizzato. Beccato nella tana dal lupo, sapeva di essere in trappola. Che bella similitudine la mia. Un lupo in pericolo nella tana  di uno più grande e cattivo.

«Kol?», sussurrò la debole voce di Kahlen.

«È un licantropo», dissi. Lei alzò gli occhi al cielo, poi mi venne incontro.

«Credi che non lo sappia? Brady, Kol. Kol, Brady». Fece le presentazioni. Non mi mossi di un centimetro, e lui fece altrettanto.

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