55-SARA

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Due anni dopo...

Era una piovosa sera di inizio dicembre a New York. I miei capi dovevano sfilare pochi minuti dopo. Quella sera decisi di godermi lo spettacolo e diedi ordine alla mia assistente ed amica Elizabeth di controllare tutto. Mi sedetti così a bordo passerella. Al mio fianco, un ragazzo niente male. Con la coda dell'occhio osservai il suo smoking nero, perfettamente in tinta col costosissimo paio di scarpe che indossava. Quel colore riusciva a esaltare il biondo cenere dei capelli e l'azzurro degli occhi. Mi squadrò e mi sorrise. Ricambiai. In qualche modo quel ragazzo mi ricordò Jake e una fitta di nostalgia si impossessò di me. lo amavo ancora, nonostante fosse passato parecchio tempo. Non ero mai riuscita a dimenticarlo. Le luci si abbassarono e lo spettacolo iniziò. Le mie modelle entrarono una dietro l'altra sotto le note di Heart of Glass.

«Come le sembra?», mi chiese il ragazzo accanto a me.

«Cosa, la sfilata?», domandai incuriosita.

«Intendo la collezione», puntualizzò lui ridendo.

«Credo abbia il suo perché. Insomma, decente», dissi mettendolo alla prova.

«Decente?»

«Si, decente. A lei, invece?»

Ero convinta dicesse che la sfilata era un disastro e i capi favolosi, ma invece mi sbagliai.

«Allora, la sfilata è ottima, sono gli abiti a non esserlo», sostenne con aria saccente.

«Ah si? Cosa non la convince?», indagai curiosa e un po' irritata.

«Sembra la copia della copia. Sono cose già viste, nulla di nuovo. Vede la moda non è un lavoro, è un'arte. È saper cogliere l'anima delle persone e trasferirla sulla stoffa. È creazione, passione, divertimento, storicità. Ecco cos'è l'arte e cara, le posso assicurare che questa stilista... ehm... Sara Mancini... se poi la si può chiamare così, non ha capito proprio nulla!», disse lui fiero di sé.

Ero scioccata. Avevo appena iniziato a parlare con Mr Perfettino e non vedevo già l'ora di andarmene. Ero stata insultata. Ovviamente non aveva idea di chi fossi io. Ero irritata ma allo stesso tempo parecchio divertita da quel prendermi in giro. Lui continuava a parlare di me con me! Io tentavo di rimanere seria, anche se avevo molta difficoltà nel farlo.

«Perché ride?», mi chiese ad un certo punto.

«No, niente», dissi tra le risa.

«Comunque piacere io sono Jeff, Jeff Preston.» Mi porse una mano la quale strinsi sorridendo.

«Piacere io sono...», stavo dicendo quando Elizabeth arrivò alle mie spalle e disse: «Dietro abbiamo bisogno di te.»

«Ok, va bene arrivo subito», risposi alzandomi.

Mi spostai dal mio posto e feci per seguire Elizabeth quando mi bloccai. Mi voltai e vidi Jeff fissarmi. Era confuso, cosa potevo fare io dietro con loro? Tornai davanti a lui e gli tesi la mano.

«Comunque molto piacere. Il mio nome è Sara, Sara Mancini», mi presentai orgogliosa.

In quel momento Jeff rimase di sasso. Aveva appena finito di insultarmi. Gran figura di merda! Io mi girai e andai dietro le quinte. Poco dopo, al termine della sfilata ero in passerella. La sala scoppiò in un fragoroso applauso e io mi voltai fiera verso il mio nemico. Poco dopo era tutto terminato.

«Allora possiamo andare?», domandai ad Elizabeth.

«Sara, c'è un ragazzo che chiede di te.»

«E chi sarebbe?», domandai fissando alcuni documenti.

«Ha detto di chiamarsi Jeff Preston», mi riferì Elizabeth.

Alzai lo sguardo dal foglio e sorrisi. «E cosa vorrebbe questo ragazzo da me?», domandai un po' alterata nonostante il sorriso sulle labbra.

«Non so. Non l'ha detto.»

Uscii e lo raggiunsi. «Salve, mi spiace informarla che sono in ritardo, il che mi impedisce di concederle del tempo, ma se vuole può passare in ufficio uno di questi giorni. Buona serata», gli dissi, dopo di che uscii fiera di me stessa.


Il giorno seguente ero seduta alla mia scrivania, cercando di farmi venire un'idea. Come avevano fatto Valentino, Chanel, Dior, Moschino a diventare qualcuno? Come avevano fatto a stravolgere totalmente la moda? A creare un modo di pensare e di essere? Stavo cercando di arrivare ad un punto quando il mio telefono squillò.

«Sara, c'è Jeff Preston che chiede di vederti», mi avvisò Elizabeth.

Il cuore mi palpitò nel petto e dissi di farlo accomodare. Rimasi a bocca aperta quando lo vidi entrare nel mio ufficio. Indossava un completo blu e una cravatta cremisi. Era molto affascinante. Si sedette davanti a me e mi tese la mano. La strinsi.

«Allora, signor Preston, a cosa devo la sua visita?», domandai curiosa.

«Ti prego, chiamami Jeff e dammi del tu. Comunque volevo scusarmi», disse imbarazzato.

«Scusarti, e per che cosa?», chiesi fingendo di non capire.

«Lo sai per cosa, per i miei commenti alla sfilata», disse lui guardandomi negli occhi. Era veramente bello, sembrava quasi un Dio.

«Non ti devi preoccupare, ognuno è libero di pensare con la propria testa, di avere le proprie opinioni, non per questo hai bisogno di scusarti. Anzi ti devo ringraziare», ammisi alzandomi.

«Ringraziarmi?», chiese lui senza capire.

Mi appoggiai alla mia scrivania, proprio davanti a lui. «Si, effettivamente avevi ragione. Devo trovare un qualcosa, un qualcosa che mi caratterizzi. Che mi renda qualcuno di davvero speciale. Quindi grazie, le tue parole di ieri mi hanno fatta ragionare.»

«... Figurati. Comunque bene, ora che mi sono scusato ecco io...» 

Si alzò e dopo avermi teso la mano fece per uscire. «Signor Preston, ehm Jeff, avrei bisogno del tuo aiuto. Dal momento che sei stato il solo a renderti conto di quel problema, avrei bisogno che mi aiutassi nel risolverlo», sostenni.

«Mi stai chiedendo di...»

«Esattamente. Ti sto offrendo un lavoro. Allora, cosa mi dici, accetti?»

«Devo pensarci.»

«Ovviamente. Ti farò recapitare tutto in giornata, se poi hai bisogno di qualche chiarimento, chiedi pure», dissi.

Jeff mi salutò ed uscì. Poi dopo poco sentii qualcuno bussare sullo stipite della porta.

«Mi chiedevo: e se ne discutessimo a cena, magari domani sera?», mi chiese Jeff.

«Credo si possa fare.»

 


AMORE: 5 lettere che ti possono incasinare la vita (1- The Lovers Series)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora