Capitolo cinque - Paura

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La vita è la cosa più importante che abbiamo. Molti la disprezzano, ma quando si trovano di fronte alla morte, pregano perché la vita rimanga al loro fianco. C'è chi invece, come Cameron, la vita non l'ha mai disprezzata, ma l'ha vissuta accettando ogni momento bello e meno bello che questa poteva donarle.

Cameron era stesa su un prato in mezzo a un bosco, priva di sensi. La polizia ci aveva messo sei ore per trovarla e l'aveva portata subito in ospedale. Non aveva riportato nessun graffio, nessuna ustione o presenza di anidride carbonica nei polmoni. Era sana come un pesce, ma ancora non riuscivano a spiegarsi com'era riuscita ad andare così lontano dal luogo dell'incidente. Aaron e Eleanor erano morti nell'esplosione. Si parlava di una fuga di gas. Aaron era un fumatore, probabilmente si era accesso una sigaretta all'interno della casa e aveva scatenato l'incendio che neanche due squadre di vigili del fuoco erano riuscite a domare.

Nella mente di Cameron c'erano solo vaghi ricordi di quella notte. Sognava, si girava e rigirava nel letto; sudava, voleva svegliarsi ma non ci riusciva. Era bloccata in un incubo che si ripeteva tra l'esplosione e un battito d'ali. Quando si svegliò era ormai notte fonda. Aveva il cuore che batteva all'impazzata. Era confusa, spaventata e non capiva dove si trovava. Affianco al suo letto c'era un cavo con un pulsante e la prima cosa che le venne in mente fu quello di premerlo più volte per vedere se arrivava qualcuno. Un'infermiera si presentò da lei subito.

«Ben tornata da noi Cameron» aveva detto a bassa voce. L'infermiera le iniettò qualcosa nel braccio e Cameron la guardò terrorizzata. «Tranquilla, è solo un sedativo. Ti terrà calma per qualche ora». Cameron poteva sentire la sua testa che iniziava a diventare pesante e tutto ciò intorno a lei era diventato distante e confuso.

«È legale drogare i pazienti?» aveva chiesto con voce rauca.

L'infermiera sorrise. «Tranquilla, è normale sentirsi un po' confusi».

Cameron cercò di girare la testa per guardare meglio la donna. Era giovane, avrà avuto meno di trent'anni. Aveva un corpo esile, le si potevano vedere le spalle ossute sotto il camice azzurro; i capelli scuri raccolti in una coda e gli occhi stanchi di chi era stufo di fare continui turni di notte.

«Vado a portare la tua cartella clinica al dottore, torno fra un attimo». Lasciò la stanza trascinando i piedi sul pavimento. Nel frattempo Cameron si sentiva sempre più stanca. Aveva i brividi e il cuore le martellava in testa. Con le mani cercava sul letto qualcosa a cui aggrapparsi, finché trovò la sponda in plastica e con le ultime forze che aveva prima di cadere in un sonno profondo, si sedette sul lettino lasciando che i piedi nudi toccassero terra. Il pavimento era freddo; un brivido le attraversò la schiena. Sentiva il suo collo e la sua fronte bagnati di sudore. La stanza girava. Ad un tratto una voce; una voce che pronunciò il suo nome. Poi una risata. Cameron si alzò di scatto e si voltò, ma non c'era nessuno. Poi di nuovo delle voci sibilanti pronunciarono il suo nome. Si girò dall'altra parte, ma ancora nessuno. Credeva di impazzire da un momento all'altro. La paura invase il suo corpo facendola indietreggiare fino a sbattere contro la parete. Si mise le mani alle orecchie per non sentire quelle voci che la stavano torturando nella sua testa. Sibili, rumori, persino il battito del suo cuore le faceva paura. Forse era l'effetto del calmante che le aveva dato l'infermiera, ma non la stava calmando affatto. Si sentiva invece in un incubo. Presa dal coraggio e dalla disperazione, uscì nel corridoio in cerca di aiuto. Appena uscì dalla stanza le voci cessarono. Cameron si sentì sollevata e si appoggiò con la spalla alla parete del corridoio per cercare di rimanere in piedi. Sentiva ancora il proprio cuore battere alla velocità di un treno, ma almeno non aveva più quei sussurri nella propria testa. Quando alzò lo sguardo vide il corridoio completamente vuoto, avvolto nel silenzio. Le luci a neon sul soffitto lo illuminavano a malapena dall'alto. Improvvisamente Cameron sentì un rumore dietro di sé, simile ad un soffio di vento, ma girandosi non vide nessuno. Si domandò dove fosse finita l'infermiera, ma una parte di sé non voleva scoprirlo. D'un tratto, venne attirata con lo sguardo sul soffitto e lì, tra le palpitazioni e il sudore, vide l'ombra di un uomo; non era un'immagine molto chiara, si vedeva la sagoma della testa e le spalle, poi il busto che andava a sfumarsi verso la fine. Si girò di nuovo per vedere se dietro di lei ci fosse qualcuno, ma la stanza era completamente vuota. Quando tornò con lo sguardo sull'ombra, questa iniziò a muoversi, prima lentamente e poi con uno scatto raggiunse il pavimento attraversando il muro; strisciò per terra per qualche metro fino a quando si alzò in piedi come fosse un essere umano. Non aveva occhi, non aveva bocca, né braccia, né mani. Una sagoma nera e tremante stava avanzando verso di lei. E in quel momento ricominciò a sentire i sussurri che pronunciavano il suo nome. Credeva di impazzire. Il suo cuore ormai stava battendo così forte che non sentiva altro che quello. Indietreggiò di qualche passo molto lentamente, fino a quando con la mano sentì l'angolo del muro; ciò indicava che sulla sua sinistra c'era un altro corridoio. L'ombra stava lì, a qualche metro da lei e avanzava sempre più velocemente, fino a quando Cameron voltò l'angolo e fuggì terrorizzata. Corse fino all'atrio, dove si nascose nello sgabuzzino. La porta aveva delle fessure per far passare l'aria e lei si era nascosta di lato, in modo da non essere vista. Respirava così affannosamente che si tappò la bocca per non farsi sentire; ma l'ombra era lì, che la cercava con attenzione. Si poteva sentire il suo respiro quasi soffocato, tetro, lento. Si guardava intorno lentamente cercando di scrutare ogni angolo di quella stanza. Cameron però non ce la faceva più, le facevano male i piedi; era rimasta sulle punte per troppo tempo perché lo sgabuzzino era troppo stretto; così, in un momento di deconcentrazione, finì per perdere l'equilibrio e sbattere contro un secchio. In un secondo l'ombra si gettò sulla porta dello sgabuzzino ancora chiusa, causando forti rumori. Cameron urlò dalla disperazione, urlò così tanto che dovette tapparsi le orecchie perché persino per lei la sua voce in quel momento era troppo forte.

WINTER FALLEN - Angel || Wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora