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Izuku's P.O.V

Non lo volevo più

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Non lo volevo più. Avevo smesso di cercarlo. Non dico che stavo bene dove stavo, ma le persone sono capaci ad abituarsi a qualunque cosa.

Chiamatela vigliaccheria, comodità.

Chiamatela come vi pare.

Non ne ero più innamorato, se è questo che volete sapere, ma riusciva comunque a farmi sentire meno solo.

Ero solo in quel momento, e non lo volevo.

Ma è ricapitato prima che riuscissi a mettere ordine nella mia vita. È capitato di nuovo e quando capita una cosa bella, uno come me se la tiene stretta, a qualunque costo.

È per questo che decisi di ritornare da lui, perché sì, ne sono innamorato.

Ero fermo sul vialetto che conduceva a casa di Kacchan da dieci minuti buoni. Avevo paura, avevo paura di un suo rifiuto, dovevo spiegargli che l'avevo fatto per non mettere in pericolo nessuno dei due.

Presi coraggio e mi avvicinai alla sua abitazione, notando poi sua madre sulla soglia che, lentamente, lasciava la presa sui sacchetti della spesa che fino a poco prima teneva saldamente in mano.

Affrettai il passo e quando fui dietro di lei, appoggiai una mano sulla sua schiena per farmi notare. «Mitsuki, che succe-?»

la sua figura si scostò di qualche millimetro e potei vedere il corridoio interamente danneggiato; iniziai a pensare al peggio e, senza troppe perifrasi, entrai dentro l'abitazione e corsi su per le scale, facendo attenzione a non inciampare sui miei stessi piedi.

Con il respiro irregolare, mi affrettai ad arrivare davanti alla camera del ragazzo e, cercando di aprirla, iniziai a battere una mano sulla porta chiusa. «Kacchan? Kacchan, apri la porta, ti prego. Dimmi che sei qui dentro.»

Non sentendo nessuna risposta, inziai a tremare e ad urlare, a denti stretti, cercando di sfondare la porta.

Non appena riuscii ad entrare mi guardai intorno, scuotendo la testa lentamente.

La sua camera era ridotta peggio del corridoio al piano di sotto. Mi lasciai cadere in ginocchio, posando poi lo sguardo sulle mie mani, lanciando un grido che attirò l'attenzione della madre di Kacchan.

Non osai nemmeno guardarla quando raggiunse anche lei la stanza.

Avevo fatto qualcosa per proteggerci, e qualcos'altro per metterlo in pericolo. Il pianto disperato della donna che cercava di chiamare la polizia, riuscendoci difficilmente a causa delle mani tremanti che sbagliavano a digitare i tasti, mi rendeva incapace di agire, di alzarmi e di andare a chiamare aiuto da qualche altra parte.

Era colpa mia, ed ero il solo a saperlo.

Katsuki's P.O.V

«Fermati, ti prego. Fermati!» mi irrigidii, cercando di non pensare al dolore, la mia carne stava cedendo.

«È brutto l'amore, vero? Alla fine ci si riduce così.» il ragazzo seduto di fianco alla sedia sulla quale ero legato, che avevo scoperto da poco chiamarsi Dabi, stava tranquillamente al cellulare come se non stesse succedendo nulla.

Lasciai le lacrime solcarmi le guance ancora una volta, infrangendo il mio respiro sul viso della ragazza seduta sulle mie gambe.

La stretta ferrea di quest'ultima sul manico del coltello non si decideva a cessare e, il coltello conficcato al di sotto della mia clavicola, cercava disperatamente di trapassare a pieno la mia carne.

La camicia bianca da me indossata si poteva ormai definire di un color porpora a causa di tutto quel sangue versato.

Però c'era una cosa che riusciva a non farmi pensare interamente al dolore provocato da quei coltelli.

Le parole di Izuku, non si erano limitate a farmi soffrire lentamente. Mi avevano colpito subito in pieno petto, come la lama affilata che in quel momento trafiggeva le mie carni.

uncovered kisses ✧ katsudeku ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora