porta settimiana

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La ragazza dai lunghi e ricci capelli biondi è seduta accanto a me sul putrido pavimento del bagno nel locale.
Io sto piangendo e lei mi accarezza la mano.
Victoria è bella, ha più o meno la mia età e un simpatico anello al naso che valorizza perfettamente il suo viso.
"È uno straiato, Giulia, ha le sue cattive abitudini" mi sussurra mentre ancora sento le lacrime scendere calde.
Lei è la migliore amica di Damiano, quella che abita nel nostro palazzo, ma che fino a questa sera mai avevo visto o conosciuto.
Mi ha seguita fino all'entrata delle toilettes, mi ha spaventata bussando forte alla porta e poi mi ha rassicurata con parole dolci.
"Sei l'unica cosa buona che ha, aprimi, te lo voglio spiegare."
E io ho pensato, che non c'era nulla da spiegare.
Che ero inevitabilmente l'unica cosa buona di Damiano, che nella sua testa combattevano ogni giorno legioni straniere e che il suo corpo si ritrovava ad essere come l'Italia nel dopoguerra. Vuoto, inasprito e devastato, sebbene la sua sicurezza ritraesse esattamente il contrario.
Che non lo sapevo perché avesse scelto me.
Proprio me, come vittima del suo viscido gioco.
Che forse il mio posto non era né qui, né da nessun'altra parte.
Victoria continua a stringermi la mano sinistra come fossimo amiche di vecchia data.
"Devi credermi." sussurra.
Eppure non riesco ancora a credere a niente.
"Io non credo nelle persone, però ci spero davvero tanto, è il massimo che possa fare."
"Damiano è diverso, non è come tutte le altre persone" risponde con voce calma.
Io non credo nelle persone, ma se ci credo, non lo faccio tutto d'un tratto.
Non troppo presto.
Mi piace avere il beneficio del dubbio per poi farmi cullare dalle sicurezze.
Mi piace la gente, le folle.
Le grandi piazze, piene di piccini o adulti che siano.
Rimango solo io.
Solo io che non mi sto a cuore.
Solo io sono sulla lista nera della mia fantasia.
Ma da oggi anche lui, anche Damiano.
Che odio e si fa odiare, ma che ho appena aggiunto a quel foglio immaginario, dove saremo insieme per sempre, soli.
Perché nonostante tutto, forse non mi piace pensarlo lontano.
Così, tutto d'un tratto, troppo presto.
"A che pensi?" chiede ancora la riccia con gli occhi blu puntati addosso ai miei verdi.
"Io non ti conosco, perché sei qua?" le domando indietro.
"Perché non gli permetterò di lasciarti andare via." replica ferma.
"È quello che desidera." controbatto.
"Non lo è." afferma di nuovo.
"È quello che sta dimostrando, allora." rispondo osservando schifata tutto quello che mi circonda.
"Quello che si dice a volte non è quello che si desidera, Giulia." esclama con tono saggio.
"Allora è quello che desidero io." dico impettita.
"Desideri andare via?" chiede aggiustandosi i capelli mossi. "Via da lui o via da te?" continua.
"Perché sei qua?" ripeto la domanda di poco fa.
"Perché desideri solo la seconda cosa, non la prima."
Sento che ha ragione dalla parte più profonda del mio cuore, ma non lo dico: non lo dico quasi mai.
"Ha ragione lui, Victoria, io sono stata la sua puttana.." esclamo "..niente di più!".
Fa per rispondermi ma non le do il tempo necessario.
"Mi ha fottuto la mente, capisci? Nessun'altra parte del corpo, solo la testa, il cranio e quello che ci sta dentro. E poi mi ha buttata via.." continuo "..quindi sí, desidero andare via."
Fissa il pavimento del bagno e cerca di darmi una risposta degna del discorso appena fatto.
Il tempo sembra non passare e posso ascoltare il vociare della bolgia da discoteca in lontananza.
"Andiamo a casa mia, ti va?" mi propone sorridendo, quasi tutto non fosse mai successo.
"Ok." dico a bassa voce.
"Solo una fermata prima, insomma, che tu vada via."
"Ok." ripeto.
Il pub quindi mi sembra più malmesso di quando sono entrata, le luci più forti e la musica meno gradevole. L'aria fuori meno pulita e Porta Settimiana, alla quale sono davanti, non mi trasmette nessuna emozione contrariamente alle altre opere architettoniche di Roma.
Passandoci sotto, provo un sentimento di sottomissione mescolato ad angoscia, come se la struttura potesse inghiottirmi da un attimo all'altro.
Mentre avanziamo e fisso le ciottole che costituiscono il pavimento, Victoria si arresta davanti ad una Punto nera con dentro un ragazzo dai lunghissimi capelli dello stesso colore.
"Sali!" mi indica con la mano piccola.
"Ma.." dico tremando dall'incertezza.
"È solo Ethan, se non te la senti di parlare non lo fare, nemmeno a lui piace molto." sorride mostrando la bocca giovane e curvata verso l'alto.
"Io non ho la patente, lui è il mio meraviglioso lupo taxista." continua questa volta rivolgendosi più a lui che a me, incitando uno scherzo che io non capisco.
"Ciao!" esclamo salendo sul l'autovettura, cercando di nascondere l'imbarazzo.
"Ciao." risponde l'individuo seduto davanti.
La conversazione è minima e osservo con piacere che il viaggio è più breve di quanto credessi, ma appena arriviamo a destinazione, il ragazzo scende con noi davanti all'imponente palazzo che da qualche mese avevo il piacere di chiamare casa mia.
Ethan estrae le chiavi dalla tasca e apre il portone per tutti e tre, confondendomi ancora di più.
Solo allora nella mia mente riaffiora il ricordo di Damiano che descrive i suoi amici mentre mi racconta di quanto sia bello averli anche come vicini d'appartamento.
"Piacere di averti conosciuta.." indugia lui prima di salire le scale e lasciarci il privilegio dell'ascensore.
"Giulia, mi chiamo Giulia." completo per lui la frase.
"Piacere di averti conosciuta, Giulia." ripete sorridendomi.
"Piacere mio, lupo taxista" rispondo ricambiando e ridendo leggermente.
"Per gli amici Ethan." dice ironico.
"Piacere mio, Ethan." ribadisco come lui poco prima.
"Sei bella Giulia, non piangere più." mi sussurra dall'alto prima che l'elevatore arrivi al piano terra, e lui se ne vada improvvisamente.

take me out | måneskinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora