"E immagino che ora non avrò altra scelta se non tener duro, quando mi scenderanno queste lacrime sprecate a ricordarmi che ti ho mandato via.
E immagino che quando ripenserai al mio viso pallido e asciutto non potrai fare a meno di vederci una perdita di tempo.
Mi dispiace, ma l'amore è un gioco a cui si perde, sai?
Me lo ha insegnato Victoria: sono stata da lei in questo periodo. Ci siamo conosciute la sera del litigio e mi ha portata a casa sua per evitare di farmi partire subito, ha funzionato per un po', sono qui senza di te da quasi un mese.
Poi ho cominciato ad avvertire fitte allo stomaco ogni volta che varcavo il portone del palazzo: mi ricordava che avrei potuto incontrarti, magari per le scale, magari aspettando l'ascensore.
Non è mai successo, ma in fondo forse avrei preferito, piuttosto che farla finire così: io davanti al tuo letto che ti parlo sussurrando per l'ultima volta, con la valigia e la chiave rossa in mano, che non ti ho mai ridato.
Io domani torno a casa, sono passata a dirtelo.
Oggi ha piovuto tutto il tempo, come quando siamo andati al Colosseo e mi hai raccontato quella storia triste.
Non volevo che la nostra diventasse una storia triste, ma qualunque cosa ci sia stata, io l'ho persa.
Perché l'amore è un gioco a cui si perde.
È un gioco spietato, soprattutto per due come noi: due cannibali.
Ho creduto potessi diventare la soluzione ai miei problemi e io la tua per i tuoi, ma adesso Damiano non lo so, magari semplicemente non siamo fatti per queste cose, per questo gioco.
Quindi vado, non ho più nessuna voglia di girare per la città che senza di te mi sembra solo calcestruzzo. Non ho nessuna voglia di averti a qualche parete di distanza ma non averti. Non averti come prima.
Mi dispiace, non penso che tu sia un fallito.
La colpa è stata mia, per aver pensato troppo a me e troppo poco a te; per non averti capito; per essere stata troppo piccola e stupida.
In realtà tu sei un po' come un'arte complicata da intendere, di quelle astratte e difficili, ma bellissime.
Non ti ho mai detto una cosa simile, ma in fondo che importa se non mi stai ascoltando?
Adesso me ne dovrei proprio andare, prima che tu ti svegli e mi sbatta in faccia quanto sono codarda e patetica, a venirti a dire che ho disperatamente bisogno che mi chieda di non andare quando non puoi sentirmi.
Ah, volevo dirti anche che io e Ethan siamo usciti per un caffè la settimana scorsa.
Credo che sia davvero un buon amico: mi ha detto della band e, in particolare, che tu canti.
Mi sarebbe piaciuto saperlo, avrei voluto avere la possibilità di crederti e magari farti arrabbiare tanto che invece di urlare, mi avresti scritto una canzone.
Una bella, una da convincermi a rimanere per sempre, quasi quanto l'immagine di te davanti a me ora, che riposi inconsapevole e spoglio di quell'armatura che porti e non levi mai.
Ti voglio bene, spero un giorno tu possa perdonarmi."
Afferro il trolley che sembra più pesante di prima, forse maggiormente carico di emozioni e di parole straziate.
Cerco di fare silenzio uscendo dalla porta, anche se la mia testa è piena di caos.
"Ci sono un sacco di cose che puoi perdere, lo sapevi?" dice all'improvviso alle mie spalle la voce roca del ragazzo che pensavo addormentato.
"Puoi perdere un treno, una coincidenza; puoi perdere la fiducia in te stessa Giulia; puoi perdere il portafoglio sulla metro o qualche libro in un trasloco." continua mentre mi volto e realizzo dove sono e perché ci sono.
"Puoi perdere la speranza, quello ti capiterà spesso; puoi perdere la ragione o un'occasione importante." avanza col discorso senza farmi capire quale sia il punto.
"Poi perderai l'amore: se vuoi puoi perdere pure quello." afferma mentre raddrizza il cuscino ancora stropicciato dal sonno.
"Allora facciamo qualcosa di diverso, ti va?
Non amiamoci: famo altro, famolo meglio."
mi chiede infine.
"Non pensavo fossi sveglio.." dico imbarazzata e ferma immobile nel buio della stanza.
"Parti da qua, donzella. Parti dal non pensare, dal fare le cose che vuoi senza chiederti se sia giusto o sbagliato!" esclama sorridendo.
"Io dovrei andare, scusa." rispondo.
"Quanto ci hai pensato? A partire, si intende" domanda con aria saggia.
"Tantissimo."
"Vieni a Fontana Di Trevi con me?" mi sollecita di punto in bianco.
"Si." replico immediatamente lasciando cadere tutta la mia corazza difensiva.
"Quanto ci hai pensato?"
"Non ci ho pensato."
"Allora è quello che devi fare." enuncia alzandosi e venendo verso di me.
"Partiamo da qua.." continua mentre mi toglie dalle mani la valigia e la lascia cadere a terra.
"Ok." mormoro soltanto.
In men che non si dica stiamo uscendo dalla porta e correndo in mezzo al vento gelido di una Roma, che sebbene di notte, mi sembra ben più colorata di qualche ora fa.
I mezzi scavalcano Trastevere e ci portano in Via Poli, dove una volta girati a destra troviamo l'aulico fontanone illuminato da luci circostanti.
In alto vedo la luna che da un po' ha fatto tramontare il sole.
Grazie a Dio, penso, noi non siamo tramontati.
Non siamo scomparsi, non ci siamo smarriti come la grande arancia rossa nel buio.
"Tira una monetina!" mi esorta.
"Così sarò obbligata a tornare?"
"Esatto, tipo domani.." scherza "..non te lo impongo io, te lo impone la fontana: è una tradizione, e non puoi infrangere le tradizioni." continua ridendo.
"Magari qui tornerò, ma non tornerò da te" dico più seria.
"È davvero quello che vuoi?"
"Si." rispondo secca.
"Quanto ci hai pensato a non tornare da me?"
"Un mese e qualche ora.."
"Allora non è quello che vuoi." ribadisce Damiano guardandomi negli occhi.
"Lo so." rispondo.
"E perché quindi vai via?" domanda.
Ci avviciniamo lentamente, tanto che l'uno può sentire il battito accelerato dell'altro.
"Perché continuerai a farmi male" dico lasciando cadere il mio sguardo sulle sue labbra.
"Lo so." annuisce lui.
"E perché quindi non smetti?" chiedo io questa volta.
"Voglio vedere fino a dove puoi amarmi." bisbiglia al mio orecchio e torna poi alla posizione di prima.
"Potrei amarti per intero, se ricominciassimo da capo" spiego un po' intontita.
Non fiata, ma d'improvviso intona sottovoce la melodia di una canzone che conosco bene.
"I'm not sleeping at night, but i'm going from bar to bar, why can't we just rewind?"
"Nutini.." chiedo con le guance rosse fiammanti, conoscendo già la risposta.
"È abbastanza questa per farti restare?" sorride compiaciuto.
Soli nella notte danziamo viso contro viso, senza mai staccare il contatto e l'energia che si è creata.
Le mura soltanto sono testimoni del nostro valzer.
Nel momento lui mi libera dal dolore, io uguale: lo libero dal male.
Mi bacia e lascia che lo baci, poi si stacca, chiede se mi ha convinta. Piano e sorridendo sussurro "taci".