La stazione Termini è gremita, sto camminando dietro ad uno sconosciuto incontrato su un treno la notte stessa e, il tempo è sorprendentemente meno rigido di quanto mi aspettassi. Perdo spesso di vista Damiano ma lui almeno ogni venti passi si ferma a cercarmi, guardando dietro di se per assicurarsi che la folla non mi abbia inglobata.
"Giuliè, te movi?" mi chiama da 10 metri di distanza, lo guardo male e di risposta sorride facendomi l'occhiolino.
Approfitta della mia lentezza per fermarsi davanti alle vetrine dei negozi e quando finalmente lo raggiungo mi fa una smorfia di approvazione.
Si ferma per un attimo alla carta della metro di cui lui, a sua detta, sarebbe un vero e proprio esperto, e dopo aver letto l'orario stabilisce che abbiamo il tempo necessario per fermarci a mangiare un panino. Ci guardiamo intorno e dopo aver bocciato almeno 5 punti ristoro diversi, ci decidiamo ad entrare in uno di essi.
"Quindi qual è il piano?" gli dico rubandogli una patatina dal vassoio del fast food in cui ci siamo appena accomodati.
"Che piano?" risponde picchiandomi leggermente la mano allontanandola dal suo cibo.
"Io ti conosco circa sei ore fa e scopro che ti chiami Damiano David e che sei di Roma, a questo punto mi convinci a vedere con te una delle città più grandi del mondo promettendomi una casa e del cibo fino a che non troverò un lavoro e potrò pagarti l'affitto, quindi qual è il piano?"
Damiano continua a non capire e io cerco di spiegarmi meglio.
"Io ti conosco circa sei ore fa e mi dici che vivi da solo nel condominio dietro a quello dei tuoi genitori, che per la precisione è di vostra proprietà e nel quale ti sei trasferito per essere più libero. Quindi a questo punto mi dici anche che affitti gli appartamenti del palazzo a privati ma io ti ricordo che ho solo 200 euro in tasca e tanti obiettivi della macchina fotografia, perciò qual è il piano?" enfatizzo sull'ultima frase.
Capisce dove voglio andare a parare e una luce si illumina in lui. "Be', Giuliè, se abitassi con me non dovresti pagare nessun affitto nè a me nè ai miei genitori."
Lo guardo riluttante, l'idea mi fa venire la nausea: ho sempre avuto bisogno dei miei spazi e condividere una casa con qualcuno non è mai stato tra miei piani. Smetto di mangiare.
"Non credo che si possa fare." dico allora.
"È proprio un peccato, perché Signore e Signora David hanno le braccine corte..".
Mi sta provocando, sa che non ho altra scelta. "..e gli hotel della città eterna so' costosi, donzella." continua.
"Tu non la vuoi una sconosciuta in casa." affermo.
"Te fidi?" ora mi sta guardando fisso negli occhi.
Mi fido di lui, anche se non dovrei.
"No." esclamo comunque.
Esito un attimo. "Si.." e mi correggo.
"Allora n'te preoccupa, starai da me fino a che non troverai un lavoro, i miei non lo sapranno."
Finiamo di pranzare, offre lui, usciamo dalla stazione per prendere la metro.
"Allora, adesso te spiego" esordisce di punto in bianco mentre stiamo camminando. "Nel condominio, oltre noi, vive gente che fa più casino de noi." continua.
Siamo fermi al semaforo e aspetto che proceda con la spiegazione.
"Ar piano de sopra ce sta Victoria con sua sorella Nika, nell'appartamento de fianco ar nostro Ethan che è sempre zitto ma suona la batteria e poi de sotto ce vive er Cobra con su ma' che è sempre via per lavoro, ma quando ce sta urla sempre 'na cifra."
Il biondo mi guarda in attesa di un commento o un'opinione ma io sto ancora cercando di immaginare i personaggi che mi ha descritto.
"Non ce stanno solo loro là dentro però sono gli unici di cui me frega perché sono amici miei." finisce.
Il racconto non mi convince per niente, non mi piace dover essere inserita in un gruppo completamente nuovo di cui non faccio parte, ma la sua è un'offerta più che conveniente.
"Ho capito" rispondo soltanto.
La sua espressione è insoddisfatta ma la metropolitana è in dirittura d'arrivo e subito dopo saliamo lasciando che il silenzio faccia da padrone.
Mentre viaggiamo nel sottosuolo penso che non sono abituata a questo genere di cose grandi, mi sembra di star vivendo la giornata di oggi in un romanzo di formazione, scritto anche fin troppo male: la metro, i treni, le folle e l'avventura che sto portando avanti; la confusione e la spericolatezza di chi non si fida di nessuno se non che del destino e di uno strano giovane affascinante con i capelli disordinati. Damiano gioca con il suo telefono appoggiato alla parete del mezzo che lo trascina prima a destra e poi a sinistra, e io osservandolo rinnovo la sensazione di tranquillità della notte prima.
Scendiamo poco dopo, mi meraviglio della velocità e dell'efficacia con cui arriviamo a destinazione e, impacciata mi muovo nei sotterranei ancora una volta seguendo la chioma bionda.
Il quartiere nel quale dovrò soggiornare è ancora lontano, e per raggiungerlo prendiamo altri due autobus e percorriamo un piccolo tratto a piedi.
Stremata, non faccio che lamentarmi e Damiano non fa che prendermi in giro, dandomi della campagnola e giurandomi ogni dieci minuti che il nostro arrivo sarebbe stato previsto per i dieci minuti dopo.
Quando finalmente la strada mi concede la vista di Roma dall'alto, simile alla foto di mia sorella a cui non faccio che pensare, mi fermo ad osservare per un attimo tutta quella magia che bramavo di provare da anni.
"È bellissimo qua su." dico flebilmente.
"Te piace la vista donzella?" mi chiede Damiano che è dietro di me.
"Tantissimo." rispondo decisa.
"Me fa piacere, perché semo arrivati."