monteverde

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Il condominio che ho davanti è perfettamente adagiato di fronte al panorama della città, e la struttura di costruzione antica è ringiovanita sulla facciata da dettagli lineari che la valorizzano. La squadro da cima a fondo e non posso fare a meno di notare che il portone d'ingresso è pesante e pressoché enorme, Damiano stesso fa fatica nell'aprirlo e nel tenerlo aperto per farmi entrare.
Si precipita subito su di noi il portinaio, che nel grande atrio, scusandosi infinite volte per la disattenzione, mi aiuta con i bagagli e consegna nel frattempo ad un'altra persona appena entrata una chiave della posta.
Mi stupisco di come l'edificio sia perfettamente in ordine ed elegante per una persona dal carattere di Damiano e, mentre mi domando se vivere in un posto del genere possa realmente farlo sentire più libero come mi aveva confessato il giorno prima, d'improvviso il soggetto del pensiero mi si materializza accanto indicandomi la strada per l'ascensore, che si rivela stretto e per i miei gusti troppo chiuso.
Le valigie inoltre fanno in modo di lasciare ancora meno spazio tra di noi, rendendo il ragazzo visibilmente non tanto infastidito dalla situazione quanto me.
Ridendo sotto ai baffi, seleziona l'ultimo piano.
Secondi di imbarazzo prevalgono nella cabina, dove è appeso uno specchio nel quale lui non smette di guardare, o meglio, guardarsi.
Osservando la scena sospiro e mi batte il cuore, rimugino sull'avventura nella quale mi sto per addentrare e in fondo ammetto a me stessa che ne sono un po' spaventata.
Tuttavia credo che il mio nuovo coinquilino apprezzi talmente tanto il suo essere da non potersi focalizzare su nessun altro: in lui non vedo secondi fini, solo freschezza, un pizzico d'arroganza e tanto sacro egocentrismo.
A confermare la mia teoria sono proprio io: che sentendo l'ascensore arrivare a destinazione glielo faccio notare, scuotendolo appena e deconcentrandolo dalla sua figura riflessa, nel quale era stato fino ad ora molto impegnato.
Prende le borse e mi tiene nuovamente la porta aperta, il gesto mi fa sorridere.
"Te premetto, Giulietta, che casa mia non è er massimo." mi dice estraendo un mazzo colorato dalla tasca.
"Penso di potermi adeguare, andrà bene tut.."
"Eccole cazzo!" mi interrompe dopo aver frugato qualche attimo tra tutte le chiavi che aveva nel cappotto, scegliendo infine quella rossa.
Le sue mani impazienti torturano la serratura ma l'ingresso sembra comunque non spalancarsi.
"Prova a girarla" suggerisco dopo poco.
"Calcola che ce vivo dall'anno scorso qua e secondo te non so da che parte se'nfila la chiave?" mi rimprovera con lo sguardo più acido che mi avesse fatto fino ad allora.
Opto per il silenzio, questo suo lato mi è ancora poco familiare e a tratti mi destabilizza.
Testa tutte e quante quattordici le chiavi, quando sfinito lo vedo finalmente provare a capovolgere quella rossa e, sorpreso, accorgersi fosse effettivamente il verso giusto per aprire la porta.
"Sei praticamente già la padrona di casa.." si rivolge a me ridendo e sciogliendo tutto il ghiaccio creatosi durante lo scambio precedente "..dopo di lei" continua infine.
Varco la soglia e appena entrata mi giro subito verso di lui per vedere l'espressione sul suo volto dovuta alla mia reazione, ma incredula non apro bocca.
L'appartamento di Damiano è più precisamente un attico, perfettamente arredato ma reso giovanile da grandi mobili bianchi e poster di vecchi gruppi musicali. Una smisurata porta finestra mostra il luminoso terrazzo mentre una lunga scala parte dal soggiorno e termina al piano superiore.
La cucina è attrezzata delle migliori forniture ma sul tavolo principale risaltano vecchie buste di take away, ormai andato a male.
"Non avevo troppo tempo di pulire quando sono partito, poi le tolgo ma n'ce fare caso per adesso" dice lui notando il mio sguardo fisso su quel dettaglio. Allora non mi concentro più sul cibo, ma sul perché non avesse avuto il tempo di buttare via le scatole e sul come mai non mi sia mai chiesta o fatta dare una reale risposta in merito alla sua presenza sopra al treno durante la notte scorsa.
Mentre immagino che avrò il tempo per scoprirlo, mi fa cenno di seguirlo per le scale.
"Questa è la zona notte, ce sono mille stanze quindi vai pure dove te pare." dice velocemente una volta su, poi incurante ripercorre la scalinata per scendere e andare chissà dove, lasciandomi da sola nell'immensità del secondo piano di casa sua.
Esploro le camere, scelgo una delle tante e appoggio la valigia accanto al letto di questa, che più delle altre vanta dalla finestra una visione sulla zona incantevole, ma che come un po' tutto il resto dell'appartamento mi sembra vuota e un poco malinconica.
L'unica a non darmi questa impressione in realtà è la camera che mi sembra aver capito essere di Damiano, qualche metro dopo la mia, che avevo notato un momento prima e nella quale entro per curiosità una volta finito di sistemare le mie cose.
Finalmente ritrovo in quelle quattro pareti l'essenza del ragazzo: confusione, musica, fogli sulla scrivania e per terra, tanti vestiti colorati in giro e il grande letto disfatto.
Mi soffermo sulle foto che ha sopra il comodino e stento a credere che gli scatti raffigurino proprio lui, il quale senza capelli lunghi e lo sguardo scavato mi sembra totalmente un'altra persona.
Prendo il quadretto in mano per cercare di vedere meglio, ma nel frattempo noto che la sua finestra sporge sul panorama della capitale che mi aveva deliziato appena mezz'ora fa. Come di mio solito mi lascio trasportare, senza pensare troppo, dalle emozioni che mi pervadono il cuore, sbattendo gli occhi una volta di più per provare a me stessa di non essere stata catapultata in una strana realtà parallela.
Vedo nello skyline i miei genitori che mi urlano contro e mi implorano di tornare a casa, ma vedo ben chiaro anche il mio futuro e miliardi di posti da fotografare.
"Hai bisogno di qualcosa?" d'improvviso la porta si apre e sbattendo sull'anta dell'armadio per la foga, rivela il ragazzo, che credevo fosse al piano di sotto, con un'espressione stranita.
Cerco disperatamente di riorganizzare la mia testa e trovare una giustificazione, ma niente sembra essere abbastanza convincente per spiegare la mia presenza nella sua stanza e l'immagine di lui che ho ancora in mano.
"Quando ho detto che potevi andare dove te pareva n'intendevo proprio proprio dove te pareva" sembra essere molto serio, e io del tutto mortificata.
Dal nulla scoppia in una delle sue risate fragorose e si avvicina pericolosamente a me.
"Stavo a scherzà, non piagne però, se te piace più di qua prendi la tua roba e portacela, il letto è grande" esclama ironico continuando a ridere.
Tiro un sospiro di sollievo lungo quasi un minuto e appoggio la cornice di nuovo sul comò, mi scuso e ri-scuso almeno dieci volte ma colgo con piacere che Damiano non sembra per nulla preoccupato.
"No, scusami davvero, stavo guardando fuori poi ho visto la foto e quindi.." balbetto ancora imbarazzata.
"Quindi ho detto che non fa niente, è bello lì fuori no?" mi domanda voltandosi verso il vetro.
"Si vede San Pietro piccolissima" rispondo.
"Domani allora ce la vediamo grande, te va?"

take me out | måneskinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora