20. In muscoli ed ossa

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«Possibile che la serratura si inceppi sempre quando devo chiuderla io, la porta?» biascico al limite della pazienza. Con i borsoni da spiaggia in mano che mi limitano i movimenti, il cappello a tesa larga che mi impedisce di avere una visuale completa e il caldo opprimente che già alle nove del mattino si fa sentire, sono ad un passo dal far saltare il mio piano di fuga. Sono passati meno di due giorni da quando ci siamo chiariti, mettendo per la prima volta le carte in tavola, conversando in maniera civile. Ciò però non mi ha impedito di mantenere un clima freddo con tutti e sei i ragazzi. Non è un caso che per il secondo giorno di fila io mi sia svegliata alle sette e mezza, sacrificando qualche ora in più di sonno solo per essere certa di avere casa libera, o quasi. Quando la squadra sta dormendo, infatti, è come se fossi l'unico essere vivente presente, soprattutto se stiamo parlando della fascia oraria antecedente alle 10.30, molte volte anche 11.00.

Mi sono preparata la colazione, lasciando pronti alcuni biscotti con grandi gocce di cioccolato che quasi sicuramente si mangerà il Rosso della casa. Ho scoperto questa sua ossessione quasi per caso, cogliendolo con le mani nel sacco una delle prime notti a Miami, o meglio: una mano era in un sacchetto di biscotti, mentre l'altra teneva in mano una barretta di cioccolato. Quella notte mi ero svegliata a causa di un incubo e avevo deciso così di scendere in cucina e bere un bicchiere d'acqua. Arrivata alla porta della stanza, avevo scorto una figura seduta su uno sgabello, curva in avanti, con lo sguardo puntato fuori dalla finestra. Non mi dimenticherò mai il suo sguardo e ancora percepisco la pelle d'oca che mi aveva colpito quando mi sono immedesimata in quegli occhi vacui. Quante volte James mi ha visto con quell'aria affranta, persa, chiusa in un vortice di dolore dal quale solo tu stesso puoi decidere di evadere. Nonostante la distanza che ci divideva, ho potuto scorgere gli occhi lucidi di Scott e la sua espressione tormentata grazie alla luce della torcia del suo cellulare che lo illuminava dal basso. Sotto questi strani giochi di luce, le sue guance sembravano più incavate, gli zigomi più marcati, le occhiaie, che già gli avevo notato addosso, più evidenti. Non c'era alcun raggio di sole che mascherasse il suo dolore, come se una volta calata l'oscurità Scott si togliesse la maschera e lasciasse che la tristezza lo divorasse, sospiro dopo sospiro.
Non credo di saper dire, se me lo chiedessero, quanto sono stata ferma sull'uscio, con un braccio piegato e la mano poggiata sullo stipite della porta ad osservarlo. So solo che ad un certo punto non sono riuscita a sopportare più l'oppressione che sentivo all'altezza del petto. Un macigno pesante giaceva sui miei polmoni. Non mi era mai capitato di provare tali sensazioni e l'instabilità emotiva che mi ha suscitato vedere una persona tanto indifesa, mi ha obbligato a tornare filata in camera senza bere. Era fuori discussione irrompere come se nulla fosse, ignorare il suo dolore come se non l'avessi riconosciuto. Così mi sono girata e ho cominciato ad allontanarmi dalla cucina. Con le gambe malferme, il respiro affannoso, il battito del cuore impazzito e la mia precipitazione nel voler mettere distanza tra i miei demoni e quelli di Scott, sono inciampata su uno dei gradini provocandomi un acuto dolore fisico. È in quel momento che mi sono permessa di lasciare qualche lacrima. Era da tanto che non le sentivo bruciare così tanto sulla pelle. A fatica mi sono rialzata, ma non credo che Scott mi abbia sentito, e se anche avesse udito quel piccolo trambusto, né la mattina dopo, né i giorni successivi ha fatto alcun accenno. Inutile precisare che quella notte non sono riuscita più a chiudere occhio, angosciata da quel che avevo visto. Ciò che mi ha resa realmente agitata, a tal punto da obbligarmi a rigirarmi tra le lenzuola, è stata una consapevolezza schiacciante. Il volto di Scott in realtà non diceva assolutamente nulla ed è proprio questo il problema: in quel vuoto io ho fatto riflettere tutte le paure e le emozioni che avevo provato tanto incessantemente durante i primi mesi, se non anni a partire da quando Dylan mi ha violentata.

Rabbrividisco al ricordo, non ha importanza quanti anni siano passati da quel fatidico giorno, Dylan è stato in grado di lacerarmi l'anima e la sua presenza nella mia vita ha lasciato un segno indelebile che difficilmente riuscirò a superare. Ripongo con mani tremanti il mazzo di chiavi nella borsa e mi volto verso la strada con un nuovo sorriso a sfiorarmi le labbra, che per quanto io mi sforzi non riesce a raggiungere gli occhi, come vorrei.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 25, 2020 ⏰

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