È notte quando Mario arriva finalmente a Roma. La casa del padre sembra un luogo perfetto per nascondersi, almeno per qualche mese. Tanto non sanno nulla di lui, soltanto che appartiene a un "Gruppo di giovani criminali semianalfabeti che si diverte a creare disordini in Milano". Così avevano scritto le guardie austriache nell'ordine di cattura, glielo aveva detto Piero, il fratello di Augusto che per questi crimini era finito in carcere.
<<Vai via Mario, tornatene a Roma e stai lì per un po'. Mio fratello è in carcere, Giovanni è stato ammazzato. Ci dobbiamo fermare per un po'. Tra qualche mese ci rivediamo tutti qui ma ora...ora dobbiamo far perdere le nostre tracce>> .
Gli aveva detto anche questo tre sere prima, nell'osteria di Ubaldo dove ogni notte, a chiusura, lui e i compagni si riunivano a parlare di politica, di lotte, di sogni. Non è vero che i Papaveri Rossi erano dei criminali, dei malviventi che mettevano in subbuglio Milano. Loro Milano la volevano salvare, volevano salvare tutta la loro Italia, la sognavano unita, senza la dominazione straniera, senza sovrani e senza ricchi sfruttatori. Neanche lui sapeva quando queste idee gli fossero entrate in testa, quando cominciò a credere nella possibilità di un futuro migliore anche per uno come lui. Mica come suo padre o suo fratello che si spaccavano la schiena per quattro monete e un po' di pane zappando le terre del Marchese di Stocazzo. Lui no, lui immaginava altro per il suo futuro e se lo voleva costruire da solo, senza l'aiuto di nessuno. Se lo ricorda ancora il momento in cui decise di voler imparare a leggere. Agnese, la figlia più grande del marchese, aveva la sua età e se ne stava sulle scale intenta a leggere un libro. E rideva, rideva come se stesse leggendo la cosa più divertente del mondo. Quant'era antipatica Agnese. Chissà se si era sposata. Chissà che fine avevano fatto gli altri marchesini... bah. <<Che stai a leggè Agnè?>> Le aveva chiesto. Non l'avesse mai fatto. Non solo l'aveva insultato e fatto richiamare da Gigio il maggiordomo – del tu alla marchesuccia? nun sia mai – ma gli aveva anche dato dell'ignorante, del poveraccio che non sapeva leggere e non l'avrebbe mai saputo fare perché "per zappare la terra mica servono i libri"?
Fu in quel momento preciso che Mario volle imparare a leggere. A 16 anni andò da Marinella, la puttana della zona. Marinella era bella, sembrava una signora. Sempre vestita per bene, sempre truccata, con i cappelli acconciati. Solitamente li teneva tirati indietro sulla fronte, con dei boccoli neri che scendevano sulla schiena e una rosa rossa che si abbinava al suo rossetto. Non sapeva bene da dove venisse e perché si era ritrovata a fare quel mestiere. Sapeva solo che lei era felice, le piaceva fare l'amore; si sentiva importante, diceva, perché rendeva felici gli uomini, pure quelli ricchi. Erano diventati molto amici e quando Mario era a Milano si scrivevano ogni tanto. Quando Marinella quel pomeriggio di 14 anni prima l'aveva visto entrare sembrava felice:
<< Oh! Finalmente un bel fregnone>> disse.
Ma Mario non tardò a deluderla:
<<Mio fratello mi ha detto che sai leggere. Voglio imparare. Ti pago>>.
Così da puttana a maestrina fu un attimo. Da maestrina ad amica pure. Si fece pagare solo le prime tre lezioni. Ecco. Così imparò a leggere Mario e da quel momento non ha mai smesso.
Mario era bello, bello di una bellezza acerba. Aveva la pelle scura e gli occhi neri che potevano pietrificarti o riempirti il cuore, a seconda del suo umore. Era anche buono Mario, gentile con tutti e molto simpatico. Fare il contadino non gli era mai piaciuto, lui preferiva i cavalli. Ogni volta, di nascosto, entrava nelle stalle del marchese e pettinava Achille, il suo cavallo preferito. Quando Achille morì decise di andare via anche lui. <<Papà io vado a Milano>> gli aveva detto una sera dopo cena. E così fece. Prese i suoi quattro stracci e andò a Milano da Piero e Augusto. Fu un viaggio orribile, metà a piedi e metà in carrozze di fortuna. Ma arrivò a Milano dai suoi amici e iniziò a lavorare come "ragazzo dei giornali". Così conobbe il pensiero di Mazzini e i Papaveri Rossi. Ecco, così iniziò tutto. E ora invece? Ora era costretto a tornare a Roma, con la coda tra le gambe, da suo padre e nelle proprietà del Marchese Sona, o di stocazzo come lui preferiva chiamarlo.
7ũ
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Papaveri Rossi
FanfictionRoma 1848. Due giovani uomini si incontrano. Nulla di più diverso. Nulla di più imprevisto. Nulla di più emozionante. Nulla di più scandaloso. Nulla, però, di impossibile. È nella Roma risorgimentale, assetata di vita, di lotte e di rinascita, che C...